
Il viceministro alle infrastrutture e trasporti Edoardo Rixi: «Caso Siri? Negli atti la pistola fumante non c'è. Ma loro per qualche voto sono pronti a screditare tutti. Non parlano, non dialogano. È un'escalation insensata».«I 5 stelle ogni tanto hanno venature totalitarie». Edoardo Rixi è viceministro alle infrastrutture e trasporti. Leghista di Genova, sta esaurendo la pazienza con i colleghi di governo: «Purtroppo continuano a rigirare il coltello nella piaga. Se pensano davvero di essere alleati con personaggi che fanno gli interessi della mafia, allora in qualche modo sono mafiosi anche loro, e dovrebbero staccare subito la spina». Insomma, l'atmosfera di governo è quella che è. Sentirlo parlare di totalitarismo a 5 stelle, peraltro a pochi giorni dalla festa per la liberazione dal nazifascismo, ci fa capire che la temperatura, tra i due partiti, è ancora bollente. Cosa intende con «venature totalitarie»?«Ultimamente i 5 stelle hanno una visione manichea del mondo. Non parlano, non discutono, non condividono nulla». Insomma, è ancora gelo. Il ministro Toninelli, dopo aver tolto le deleghe al sottosegretario Armando Siri in seguito all'indagine per corruzione, dice che «non bisogna confondere politica e rapporti personali». «Invece la politica è densa di valori umani: se non rispetti il tuo compagno di banco difficilmente rispetti il cittadino. Atteggiamenti come questi hanno portato a eventi aberranti nella storia dell'umanità».Con Siri ci ha parlato?«L'ho sentito qualche giorno fa. Più che per la vicenda giudiziaria, ci è rimasto male proprio per il trattamento ricevuto dagli alleati».Ma questo famoso passaggio dei 30.000 euro, contestato dai pm, c'è stato oppure no? «Io negli atti la pistola fumante, l'intercettazione che inchioda, non la vedo. Se ci fosse, ne parleremmo. Ma ormai siamo arrivati al punto che uno è colpevole fino a prova contraria. Poi per carità, siamo i primi a voler capire come stanno le cose. Però siamo anche stufi: queste vicende vanno gestite a livello di governo e non sui giornali». Il movimento 5 stelle chiedono quasi coralmente le dimissioni di Siri. «Può anche dimettersi domattina, non ci cambia il mondo. Però se poi salta fuori che è innocente, senza neanche un rinvio a giudizio, qualcuno ne risponderà politicamente. E comunque quello delle dimissioni è un falso problema».Perché? «Siri a livello governativo non ha più deleghe. Non guadagna nulla dal suo ruolo di sottosegretario, percepisce solo lo stipendio da semplice senatore. Quindi è già impossibilitato ad agire. La cosa che mi dispiace è la mancanza di comunicazione: se avessimo discusso serenamente dell'argomento, magari Siri si sarebbe già dimesso motu proprio e non per imposizione dall'alto. Delle volte, il metodo è sostanza. Per questo parlo di atteggiamento con vene di totalitarismo». Se le dimissioni invece venissero imposte da Giuseppe Conte tramite decreto, cadrebbe il governo?«Questo bisogna chiederlo non a me, ma a Matteo Salvini. Io penso che il governo debba andare avanti, almeno in questa fase. Però questi continui attacchi stanno mettendo a dura prova la pazienza di chiunque. È un'escalation insensata, adesso c'è addirittura qualcuno che chiede le dimissioni di Giorgetti. Assurdo. Per una manciata di voti sono disposti a screditare chiunque». Giorgetti aveva assunto il figlio dell'imprenditore Arata a Palazzo Chigi. Lo conosce? «Non conosco gli Arata. Ho visto il curriculum del figlio, e mi sembra sicuramente superiore a quello di tanti altri che hanno avuto incarichi nei ministeri guidati dai 5 stelle».Secondo i magistrati Arata avrebbe pagato Siri per far approvare un emendamento legato all'eolico. «A parte il fatto che quell'emendamento Siri l'ha proposto da senatore semplice e non è uscito dagli uffici del ministero, che non ha competenza sull'eolico. Ma sta di fatto che alla fine la norma è stata bocciata. E la Lega non si è certo battuta per introdurre quelle regole in finanziaria. Sono i 5 stelle, semmai, ad aver voluto l'eolico nel contratto di governo. Ora dicono che sono stati loro a bloccare gli emendamenti per via di chissà quale sentore. Se sospettavano qualcosa, perché non l'hanno detto subito? Potevano parlare, e non l'hanno fatto». Il presidente della Camera Fico dice che quando c'è l'ombra della mafia, servono atti durissimi.«C'entra davvero la mafia? Dobbiamo mettere un bel punto interrogativo alla fine della frase. La verità è che se non fossimo in campagna elettorale, forse avremmo aspettato almeno l'interrogatorio di Siri prima di lanciare queste accuse». Perché avete chiesto lo stralcio delle norme Salva-Roma?«Diamo pure una mano a Roma, ma non dimentichiamoci che ci sono tantissime altre città con problemi analoghi. Si è tagliato troppo agli enti locali negli ultimi dieci anni. Servono norme generali che evitino il perenne pre-dissesto. Ma non è che possiamo salvare Roma e ammazzare tutti gli altri». Se la norma venisse riproposta, fareste le barricate in Parlamento?«Se si intestardissero nel voler ripianare solo i debiti di Virginia Raggi, quello diventerebbe un provvedimento a rischio. Non possiamo prendere decisioni ad personam: se il sindaco non si chiamasse Raggi il problema del debito non esisterebbe». Intende dire che i vostri compagni di viaggio pensano solo al proprio tornaconto?«I 5 stelle continuano a ripetere che uno vale uno, che siamo tutti uguali, ma alla fine pensano soltanto ai loro sindaci, ai loro territori e ai loro problemi interni. E su quello ci costruiscono sopra le norme di governo. Sono episodi spot, come il discorso sugli ecoincentivi. Si è voluto introdurre per forza una nuova tassa anziché dare benefici economici a sgravio che avrebbero potuto rilanciare l'industria automobilistica». Che effetto le fa Luigi Di Maio che arriva in ritardo al Consiglio dei ministri per presenziare in televisione?«Non do consigli a nessuno. Dico solo che questo governo si fonda su un rapporto personale, quello tra Salvini e Di Maio. E quel rapporto va salvaguardato. Matteo Salvini è molto deluso. Nelle manifestazioni del 25 aprile ho sentito volare insulti contro il leader della Lega, paragoni con Mussolini, ma non ho letto molte prese di distanza da parte degli alleati». Giuseppe Conte ha detto che Salvini non sarà premier in questa legislatura. Vi ha deluso anche lui? «Conte si sta comportando in maniera equilibrata: d'altronde sta gestendo una situazione molto difficile. Però questo stato di cose segna i rapporti». Nel pieno della bufera, lei ha detto che si potrebbe votare a giugno. Scherzava?«Stiamo cercando di evitarlo. I vasi rotti si possono riparare: ma non se si rompono male. Piuttosto, vedo un desiderio dei 5 stelle di far cadere il governo. Questo mi dispiace, perché questo esecutivo ha la capacità di portare a casa dei risultati, molto più di un eventuale governo di centrodestra».Come mai?«Perché il centrodestra ha prima bisogno di un bagno di umiltà e di una nuova fondazione. Finché Forza Italia, con cui governiamo bene in molte regioni, non sceglie un percorso per il futuro, potrà esserci solo la Lega, e Fratelli d'Italia». Sembra che Giovanni Toti stia lavorando a una nuova avventura «repubblicana». «Giovanni Toti sta facendo un buon lavoro in Liguria, ma senza l'imprimatur di Berlusconi dubito possa esserci una transizione soft in quel partito. Fu così anche con Umberto Bossi, nella Lega». È vero che la vostra base vorrebbe un governo anche solo con l'appoggio di Giorgia Meloni?«La nostra base di queste cose se ne infischia. I litigi non li capisce. Chiede solo un governo che lavori bene». Di Maio dice che i rimpatri promessi da Salvini sono al palo.«Purtroppo ogni tanto va a ruota del Pd. Sta cercando di riprendersi l'elettorato di sinistra, perché teme di essere superato da Zingaretti alle europee. Il problema è che questa rincorsa alla sinistra contribuisce a disorientare il governo». È Di Maio che guarda a sinistra, o tutto il movimento? «In realtà vedo tanti 5 stelle sulle nostre posizioni. Di Maio deve fare attenzione, perché il suo gruppo parlamentare non è sbilanciato a sinistra. Rischia di chiudere un varco da una parte per aprirlo dall'altra». Preferisce Di Battista?«Più che altro lo invidio. Anche io vorrei vivere in vacanza con la famiglia come fa lui. Mentre certa stampa lo dipinge come un rivoluzionario alla Garibaldi». Che pensa della bufera sull'immagine di Salvini alle prese con il mitra? «Un'altra polemica senza senso. Salvini stava toccando un'arma della polizia, e allora? C'è chi vuole combattere la mafia mandando i poliziotti in giro con la fionda? Ebbene, noi combattiamo la mafia anche con il mitra».
Galeazzo Bignami (Ansa)
Malan: «Abbiamo fatto la cosa istituzionalmente più corretta». Romeo (Lega) non infierisce: «Garofani poteva fare più attenzione». Forza Italia si defila: «Il consigliere? Posizioni personali, non commentiamo».
Come era prevedibile l’attenzione del dibattito politico è stata spostata dalle parole del consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani a quelle del capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio Galeazzo Bignami. «L’onorevole Bignami e Fratelli d’Italia hanno tenuto sulla questione Garofani un comportamento istituzionalmente corretto e altamente rispettoso del presidente della Repubblica», ha sottolineato il capo dei senatori di Fdi, Lucio Malan. «Le polemiche della sinistra sono palesemente pretestuose e in mala fede. Ieri un importante quotidiano riportava le sorprendenti frasi del consigliere Garofani. Cosa avrebbe dovuto fare Fdi, e in generale la politica? Bignami si è limitato a fare la cosa istituzionalmente più corretta: chiedere al diretto interessato di smentire, proprio per non tirare in ballo il Quirinale e il presidente Mattarella in uno scontro istituzionale. La reazione scomposta del Pd e della sinistra sorgono dal fatto che avrebbero voluto che anche Fdi, come loro, sostenesse che la notizia riportata da La Verità fosse una semplice fake news.
Giorgia Meloni e Sergio Mattarella (Ansa)
Faccia a faccia di mezz’ora. Alla fine il presidente del Consiglio precisa: «Non c’è nessuno scontro». Ma all’interlocutore ha rinnovato il «rammarico» per quanto detto dal suo collaboratore. Del quale adesso auspicherebbe un passo indietro.
Poker a colazione. C’era un solo modo per scoprire chi avesse «sconfinato nel ridicolo» (come da sprezzante comunicato del Quirinale) e Giorgia Meloni è andata a vedere. Aveva buone carte. Di ritorno da Mestre, la premier ha chiesto un appuntamento al presidente della Repubblica ed è salita al Colle alle 12.45 per chiarire - e veder chiarite - le ombre del presunto scontro istituzionale dopo lo scoop della Verità sulle parole dal sen sfuggite al consigliere Francesco Saverio Garofani e mai smentite. Il colloquio con Sergio Mattarella è servito a sancire sostanzialmente due punti fermi: le frasi sconvenienti dell’ex parlamentare dem erano vere e confermate, non esistono frizioni fra Palazzo Chigi e capo dello Stato.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Altro che «attacco ridicolo», come aveva scritto il Quirinale. Garofani ammette di aver pronunciato in un luogo pubblico il discorso anti premier. E ora prova a farlo passare come «chiacchiere tra amici».
Sceglie il Corriere della Sera per confermare tutto quanto scritto dalla Verità: Francesco Saverio Garofani, ex parlamentare Pd, consigliere del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, finito nella bufera per alcune considerazioni politiche smaccatamente di parte, tutte in chiave anti Meloni, pronunciate in un ristorante e riportate dalla Verità, non smentisce neanche una virgola di quanto da noi pubblicato.






