Fino alla sua svolta contro l’ideologia woke, che lo ha avvicinato a Donald Trump, i media sostenitori dei dem lo portavano a esempio. Paragonandolo perfino a Henry Kissinger.Certi vizi sono come le erbacce: duri da sradicare. E tra questi, uno brutto è fare come le banderuole, ovvero cambiare opinione a seconda di come girano i venti della propaganda. È quello che succede a certa sinistra e ai suoi megafoni mediatici. A un certo punto, in massa, improvvisamente cambiano tutti idea su un fatto o una persona. E così questa volta tocca a Elon Musk, magnate sudafricano naturalizzato statunitense, miliardario, nonché uomo più ricco del mondo e patron di diverse aziende, quali Tesla, Space X, Starlink, X, ovvero il nuovo nome di Twitter. Il tycoon era lodato come un visionario, un innovatore, un vate del progressismo e della transizione verso le energie rinnovabili. Tesla era vista come una delle realtà che hanno reso le auto elettriche un bene commerciale e desiderabile e per questo molti lo consideravano un paladino nella lotta contro il cambiamento climatico. Ma poi qualcosa è cambiato e Musk è diventato fastidioso. Ha criticato apertamente le ideologie della sinistra americana, su tutte il wokismo, e si è avvicinato a Donald Trump; ha assunto posizioni giudicate controverse su temi come la regolamentazione dell’intelligenza artificiale, il lavoro sindacale e le politiche sociali; ha acquistato Twitter e lo ha riformato, promuovendo una politica di «assoluta libertà di parola», come aveva egli stesso dichiarato. «Libertà» che però alcuni hanno percepito come un sostegno implicito alla disinformazione e all’estremismo, per il principio secondo cui ciascuno è libero di dire la sua, purché le opinioni siano ben incasellate nei cassetti del politicamente corretto. Una valanga che ha portato così alla rielezione di The Donald e di qui il grande esodo di personalità più o meno influenti che, pappagallando il Guardian, in segno di protesta avevano deciso di abbandonare la piattaforma per via della sua «inospitalità»: Roberto Saviano, Enrico Mentana, Piero Pelù, Elio di Elio e le Storie Tese avevano preso molto sul serio le parole del giornale britannico: «Riteniamo che i benefici di stare su X siano adesso superati dagli aspetti negativi e che le risorse per promuovere il nostro giornalismo possano essere usate altrove». E ancora: «La campagna elettorale per le presidenziali americane è servita solo a sottolineare ciò che consideriamo da tempo, cioè che X è una piattaforma mediatica tossica e che il suo proprietario, Elon Musk, è stato in grado di usare la sua influenza per plasmare il discorso politico».Ma c’è stato un tempo in cui la solfa era un po’ diversa e i successi del Paperon de’ Paperoni di Pretoria erano su tutti i giornali, anche quelli dell’intelligencija snob che ora lo schifa. Il 22 febbraio 2017 Il Corriere della Sera titolava: «Renzi dalla California: “La sfida è hi-tech”. A Palo Alto l’incontro con Elon Musk della Tesla: “Green economy, auto elettrica, città intelligenti. La rivoluzione tecnologica nel lavoro crea opportunità, non solo problemi”». Poi il giornale riportava alcuni passi del diario di viaggio che Matteo Renzi aveva scritto sul suo blog durante la visita di allora negli Stati Uniti: «Musk mi ha colpito, ha una personalità che mi aveva sempre incuriosito molto e che non avevo mai conosciuto prima di oggi. Difficile sintetizzare in breve i contenuti della chiacchierata. La scommessa sulle energie alternative per la mobilità, ma anche per la casa, il sogno di rendere possibile la vita su Marte, il super treno chiamato HyperLoop che sta facendo i primi esperimenti proprio in questi mesi, il design, l’Europa, la sostenibilità».E non meno cortigiani erano stati i titoli di Repubblica, che sulle colonne del quotidiano battevano una notizia dietro l’altra sulla bravura di quest’uomo in grado di progettare il futuro. «L’Islanda si muove sulle auto elettriche e chiama Musk: “Tesla investa da noi”», 14 maggio 2018; «Robot, gelato e super caffè per la Stazione spaziale internazionale. La navicella Dragon di Space X, la società di Elon Musk, ha recapitato all’equipaggio un carico speciale da parte della Nasa», 2 luglio 2018; «La piccola Tesla spicca il volo. Pronta l’invasione del mercato. Raggiunto l’obiettivo di produrre 5.000 auto a settimana. Svolta per le vetture elettriche di Elon Musk che ora punta su modelli più economici», ancora 2 luglio 2018; «Dragon ha agganciato la Stazione spaziale internazionale. Lanciata ieri da Cape Canaveral è la prima navetta senza pilota creata dalla Space X di Elon Musk: a bordo il manichino Ripley», 3 marzo 2019. E poi, dulcis in fundo, Repubblica salutava con giubilo l’attivazione di Starlink in Ucraina neanche un mese dopo lo scoppio della guerra. «L’imprenditore ha risposto alla richiesta d’aiuto del vice primo ministro ucraino». Si tratta di un servizio di internet satellitare sviluppato da Space X, la cui principale caratteristica è quella di fornire connessioni a banda larga in aree remote o difficili da raggiungere tramite infrastrutture terrestri tradizionali, come appunto l’Ucraina nelle prime fasi del conflitto. Ma la partita dell’ipocrisia la vince il quotidiano Il Domani, che mentre oggi lancia titoli graffianti sul conto del miliardario, («Anche a Londra Musk fa il tifo per l’estrema destra contro Starmer», «Il Congresso salva gli Usa dallo “shutdown” e apre la superpresidenza Musk», «Le ingerenze di Musk nella politica Ue ma i suoi interessi sono tutti economici») fino a due anni fa lo paragonava a un grande statista della Realpolitik, tanto che il 4 ottobre 2022 si poteva leggere: «Sull’Ucraina Musk dice quello che i realisti come il papa pensano. L’imprenditore cerca una via di uscita all’impasse e, come un novello Kissinger, propone il suo piano di pace a Kiev e Mosca».
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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