
La mostarda deve il nome all'unione di due parole latine: l'olio essenziale dei semi di senape viene aggiunto a frutta e zucchero. Nata per allungare la stagione di consumo di cibi e ortaggi, nel tempo è diventata delizioso accompagnamento di carni e formaggi.La cremonese? Bella e buona. Un trionfo di rotondità e colori con un vispo caratterino. Ama sposarsi con partner tosti, sapidi. La vicentina, al confronto, è un po' più aggressiva e pungente. S'accompagna volentieri con caratteri forti, anche selvaggi, capaci di reggere la sua personalità. La mantovana è rinascimentale, aristocratica. Adora l'ambiverso, amaretto o dolce che sia. La bolognese è asprigna, ma estroversa, pronta ai matrimoni borghesi e a quelli contadini. Ogni riferimento è alla mostarda e ai cibi con i quali si abbina: formaggi, carni bollite, arrosti, selvaggina, tortelli di zucca, ravioli, dolci contadini. Alcune mostarde stanno bene perfino con i gelati.L'Italia è ricca di mostarde, diverse - anche diversissime - l'una dalle altre. Proprio per la loro differenza vocabolari e ricettari faticano a catalogare la mostarda, preparato culinario al confine tra le salse, i condimenti e i dolci. Pellegrino Artusi, il biblista della gastronomia italiana, non sapendo dove collocarla nell'indice di La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene (1891) relegò la ricetta della mostarda all'uso toscano («eccita l'appetito e favorisce la digestione») nella sezione «Cose diverse», insieme con il caffè, al the e ai funghi sott'olio. La stragrande maggioranza degli italiani quando pensa alla mostarda la vede sottoforma di frutta- intera o a fette o pestata- sposata a cotechini, zamponi, lingua bollita, cappone. O maritata a formaggi saporiti: grana, caciocavallo, provolone, bagoss, pecorino, asiago e avanti popolo. La mostarda, come la intendiamo noi oggi, nasce negli ultimi due secoli del medioevo e sale con un'identità già sua sulle tavole dell'era moderna. I primi riferimenti storici risalgono alla fine del 1200. Il liber de coquina nato alla corte angioina di Napoli, sollecitato con tutta probabilità dallo stesso Federico II, tratta de musto et mustarda e insegna la ricetta per preparare il composto lombardico: mosto bollito e semi di senape da lavorare insieme e conservare in una piccola botte per quattro mesi prima di usarla come salsa su carni di maiale o sulla tinca sotto sale. Di mostarda parla un testo francese del 1288. Il nome nasce dall'unione di due parole latine: mustum ardens. L'«ardente» è riferito sia al mosto bollente, sia, soprattutto, al mordace sapore del composto, dovuto ai semi di senape che infiammano la bocca. A questo punto s'impone una distinzione tra mostarda italiana e gallica, anche se l'origine del nome è comune. I francesi chiamano moutarde la pianta della senape, la senape e, per estensione, tutti i prodotti senapati. La nostra mostarda, invece, è, nella versione più conosciuta, a base di frutta con l'aggiunta di zucchero ed olio essenziale di senape.Il primo uso che si fa del mustum ardens riguarda la conservazione dei cibi. Della frutta, innanzitutto. Sciroppandola si poteva allungare la stagione di consumo di cotogne, pere, ciliegie, fichi e altri frutti. Anche di ortaggi come la zucca. Un'arte ben conosciuta nelle cucine conventuali del XIV secolo anche se i monaci non avevano inventato niente: già gli antichi romani, vedi Columella e Apicio, usavano il mosto addensato dopo lunga cottura ottenendo la sapa, o defructum, per conservare mele, more, fichi. Era un uso che non prevedeva l'impiego della senape, adoperata piuttosto per la preparazione di salse e conosciuta per le proprietà digestive. Plinio il Vecchio consigliava di frantumarne i semi con pinoli e mandorle tritate.Grazie alla senape e all'aggiunta di zucchero e spezie come la cannella e i chiodi di garofano, la mostarda veniva utilizzata per conservare le carni, oltre che per insaporirle. Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano dal 1395 al 1402 non aveva dubbi sulla mostarda da scegliere e come impiegarla. Goloso della frutta candita e senapata, se la faceva arrivare da Voghera. Nel dicembre del 1397 spedì un'epistola al podestà del paesotto dell'Oltrepò pavese, raccomandandogli di far preparare allo speziale «Petrus de Murris uno zebro grande de mostarda de fructa cum la senavra cum lu sa fare che la piace alla illustrissima madonna nostra consorte (Caterina) e a tucti li familiari et che la sia cume semper stata bona che bone fa le robbe de lo disnare et li caponi el la cacciagione et li viteli boliti et allo spiedo. Haremo gratissimo questa mostarda che ve racomandemo de mandare in persona prima de Sancto Natale».L'epistola del Visconti è un punto di riferimento per la storia della mostarda e delle tradizioni gastronomiche. Innanzitutto ci informa che già 623 anni fa si abbinava la mostarda con bolliti e arrosti. Secondo: era considerata dai signorotti medioevali - il popolo non poteva permettersela - cibo rituale natalizio, una tradizione arrivata fino ai nostri giorni: non c'è pacco regalo natalizio che tra un pandoro, uno spumante, una confezione di lenticchie e un pezzo di grana non presenti anche un vaso di mostarda. Interessante, infine, il cenno allo «zebro», cioè alla botticella che conteneva la mostarda. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, prima dell'avvento dei supermercati e del confezionamento industriale degli alimenti, non c'era negozietto alimentare che per Natale non esponesse un mastello di mostarda cremonese a frutti interi e coloratissimi da vendere sciolta, a peso, nella carta oleata.I ricettari del '400 traghettano la mostarda dal medioevo al rinascimento. Maestro Martino, l'Enrico Crippa del 15° secolo, cuoco del patriarca di Aquileia, famoso in tutta Europa, nel Libro de arte coquinaria suggerisce tre ricette di mostarda, ma sono, più che altro, salse per insaporire i cibi: la prima è generale (senape, mandorle, aceto, mollica di pane bianco), la seconda, mostarda roscia o pavonaza, conta tra gli ingredienti anche uva passa e cannella, la terza è una mostarda da viaggio, da portar in pezi cavalcando: polpette con senape, uvetta passa, cannella e chiodi di garofano da stemperare con aceto o vin cotto.Sull'insegnamento di Martino si muovono i cuochi e i cronisti che non disdegnavano di intrecciare la storia con la gastronomia. Brillano, tra loro, due scrittori nati e cresciuti in terre dove la mostarda è una religione: il cremonese Bartolomeo Sacchi, detto Platina, che fu dopo la metà del '400 al servizio di due papi, e il mantovano Teofilo Folengo, il Dante Alighieri del latino maccheronico. Il primo parla della mostarda nel De honesta voluptate et valetudine, il secondo descrive nel Baldus la teoria di piatti serviti in un banchetto reale: «lexi, rostum, pernas (prosciutti), fasanos, caprettos, lepores...» accompagnati dalle salse più svariate, tra le quali la mostarda «quae per nasum mittit senapram». Che manda, cioè, la senape su per il naso pungendo le mucose. Oltre alle celebrate mostarde di Cremona e Voghera (a frutta intera), di Mantova - fatta, quella tradizionale, con le sole mele campanine - e Vicenza, godeva un tempo di buona fama anche la mostarda di Carpi. Era degna del desco papalino. Il modenese Alessandro Tassoni ne La secchia rapita (1621) testimonia che a un alto papavero della corte pontificia furono donate «due cupelle di mostarda di Carpi isquisitissime».E le mostarde dell'Italia del Sud? Invertono la rotta, tendenzialmente, verso il dolce. In Puglia chiamano mostarda una confettura d'uva. La mostarda siciliana è un dolce gustoso e aromatizzato a base di mosto cotto e farina di grano duro. Sempre in Sicilia, a Militello, la si produce col succo dei fichi d'India e viene celebrata a ottobre in una sagra. Da non dimenticare i mustazzoli preparati con farina e miele o con mosto caldo dal quale prendono il nome. La mostarda calabrese è un antico dolce al cucchiaio che si prepara nel periodo della vendemmia: mosto cotto, farina, una spolveratina di cannella e frutta secca varia.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





