2025-11-22
«Giovani madri», gli effetti speciali sono la forza della realtà e della vita
Una scena dal film «Giovani madri»
Il film dei fratelli Dardenne segue i passi di cinque ragazze-mamme, tra sguardi e silenzi.L’effetto speciale è la forza della realtà e della vita. Niente fronzoli, niente algoritmi, niente ideologie. Giovani madri è un film che sembra un documentario e racconta la vicenda - già dire «storia», saprebbe di artificio - di cinque ragazze madri minorenni. Non ci sono discorsi o insistenze pedagogiche. Solo gesti, sguardi e silenzi. E dialoghi secchi come fucilate. Non c’è nemmeno la colonna sonora, come d’abitudine nel cinema dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, autori anche della sceneggiatura, premiata all’ultimo Festival di Cannes.Distribuito da Bim in collaborazione con Lucky Red, il film, 105 minuti in tutto, è uscito il 20 novembre, accolto dagli elogi di gran parte della critica. Certamente non scalerà il botteghino, ma merita che se ne parli perché è un film diverso. Che ci introduce in una maison maternelle con operatrici laiche che aiutano ad avere figli dopo che il termine per abortire è superato. E non è merito da poco, visto che finora il cinema d’autore e da festival (Magdalene, Leone d’oro alla Mostra di Venezia nel 2002 e Philomena, miglior sceneggiatura sempre a Venezia nel 2013) ha indugiato sugli istituti di suore che, soprattutto in Irlanda, maltrattavano le ragazze madri, per costringerle ad abbandonare i neonati in favore di ricche adozioni.In questo film, però, non si cerca la denuncia, ma di indagare la fragilità del rapporto fra tre generazioni di genitori e figli. Senza, tuttavia, cedere alla sociologia. «Cerchiamo sempre di rimanere sulla persona, non vogliamo mai rappresentare un “gruppo sociale”», hanno sottolineato di recente i registi. «Il nostro obiettivo è che i personaggi esistano come individui, come esseri umani, ovviamente in dialogo con lo spettatore». Che qui partecipa da subito a uno scambio intenso.Nella prima scena Jessica parla al cellulare mentre aspetta una persona alla fermata del bus. Incinta di qualche mese, si avvicina a una signora sconosciuta per chiederle se è lì per incontrare una ragazza di nome Jessica. Subito dopo scopriamo che è stata abbandonata alla nascita e che ora si sente tradita dall’appuntamento mancato. Poi la vediamo chiamare un’infermiera perché non sente battere il cuore del feto. Con il suo neonato dentro la carrozzella, Perla, una teenager di colore, va ad aspettare il compagno che esce finalmente di galera, ma si mostra disinteressato all’idea di costruire un futuro insieme. Tornata a casa, l’operatrice la esorta alla sua responsabilità: «Il tuo bambino piange, lo prendi in braccio?». «Piango anche io», replica Perla. «Ha fame», insiste la donna. «Anche io ho fame», ribatte lei.Il domino del disamore e della solitudine produce anaffettività verso i piccoli, i più indifesi della catena. Ma queste adolescenti strette dentro una sproporzione esistenziale e psicologica rivendicano il diritto a essere ascoltate e amate. E a vivere la loro età. Ancora figlie, sono già madri o si accingono a diventarlo senza che nessuno abbia insegnato loro cosa voglia dire. Mentre provano a capirlo, cercando il loro posto nel mondo, devono maneggiare biberon, pannolini, carrozzine. Senza un sostegno di madri, padri o nonni. Salvo quello, discreto, di infermiere e operatrici che suggeriscono e consigliano. Ariane ha una madre alcolizzata con un compagno violento: «Se c’è lui, noi non entriamo», dice la ragazza davanti alla soglia di casa della donna. Che tenta di riguadagnare la fiducia dopo troppe promesse disattese. Vuole coccolare la piccolina per dissuadere la figlia a darla in adozione: «La tengo io». Ma da fuori arriva una voce maschile... Julie è un’ex tossicodipendente che, con il suo ragazzo, pure lui con un passato di strada, prova a credere in un futuro ancora fragile. Bisogna recuperare un equilibrio per svezzare la loro bambina, l’unica «cosa vera» in una vita di bugie. Naïma, che ha trovato lavoro alla stazione dei treni e con il suo bimbo si trasferirà in una casa lì vicino, è il motivo di una festicciola con le compagne. Intanto, Jessica ritrova finalmente la madre... Quell’enorme sproporzione può essere alleviata anche da una poesia di Apollinaire, da un abbraccio improvviso o da una lettera alla figlia, da aprire quando compirà 18 anni.A Repubblica che ha chiesto loro quale sia «la funzione del regista politico oggi», i fratelli Dardenne hanno risposto: «Una singola lacrima che cade da un volto aggiunge più umanità e spiritualità nella mente di uno spettatore di quanto non faccia un film di protesta sociale o una manifestazione di piazza. Dobbiamo chiederci cosa ci rende più umani quando usciamo dal cinema».
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