2023-10-10
Quel filo mai reciso tra i dem Usa e Teheran
Mentre sempre più prove portano a vedere la mano iraniana dietro l’attacco di Hamas, la Casa Bianca prende tempo. Joe Biden manda portaerei verso Israele, ma resta ambiguo con gli ayatollah, con cui continua a trattare. Ma anche pare giocare sui due tavoli.L’aggressione di Hamas contro Israele ha innescato una serie di complicate dinamiche geopolitiche. Innanzitutto non passa inosservato l’ambiguo comportamento dell’amministrazione Biden. Certo, il presidente americano ha condannato l’attacco e inviato la portaerei Gerald Ford nel Mediterraneo orientale, garantendo inoltre a Gerusalemme ulteriore assistenza militare: una serie di elementi indubbiamente positivi. Tuttavia la Casa Bianca continua a nicchiare sulle responsabilità iraniane.Secondo la Cnn, un alto funzionario del governo americano avrebbe detto che è troppo presto per capire se Teheran abbia contribuito all’aggressione di Hamas contro Israele. Eppure è stato proprio un portavoce della stessa Hamas a rendere noto il supporto di Teheran, mentre il Wall Street Journal aveva riportato che, secondo quanto riferito da esponenti di Hamas ed Hezbollah, funzionari iraniani avrebbero aiutato a pianificare l’attacco di sabato. Probabilmente l’atteggiamento ambiguo di Joe Biden è dettato dall’imbarazzo di aver tenuto finora una politica di appeasement nei confronti dell’Iran: non solo ha cercato di rilanciare il controverso accordo sul nucleare iraniano ma ha anche recentemente stretto con Teheran un’intesa per lo scambio di alcuni prigionieri: un’intesa che, mediata dal Qatar, aveva sbloccato sei miliardi di dollari di asset iraniani, precedentemente congelati. Non a caso, Biden, nelle scorse ore, è finito sotto attacco dei repubblicani, che lo hanno tacciato di essere stato eccessivamente arrendevole verso l’Iran. Un’accusa, questa, che è entrata anche nella campagna elettorale per le presidenziali del 2024, visto che Donald Trump ha duramente criticato il presidente sulla questione. Nel mentre, anche il regime degli ayatollah ha smentito di aver sostenuto l’attacco di Hamas. «Le accuse legate al ruolo iraniano si basano su ragioni politiche», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Nasser Kanani. Peccato però che, oltre alle suddette dichiarazioni degli aggressori, il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, abbia avuto conversazioni con i leader di Hamas e della Jihad islamica nelle ore successive all’attacco, mentre dall’ufficio dell’ayatollah Ali Khamenei arrivavano elogi dell’offensiva contro Israele. A tutto questo vanno aggiunti gli storici legami che intercorrono tra Hamas e l’Iran. In tutto questo, un funzionario israeliano ha detto ieri sera al Times of Israel che Gerusalemme ha indicazioni del fatto che l’Iran avrebbe spinto Hamas ad attaccare.Nel mentre, Mosca si mantiene per ora su posizioni retoriche. «Crediamo che sia necessario portare questa situazione in una direzione pacifica il più presto possibile», ha detto il Cremlino. D’altronde Vladimir Putin è in un dilemma. Da una parte, l’Iran è per lui uno stretto alleato che fornisce alla Russia droni da usare contro l’Ucraina. Inoltre, lo zar ha tutto l’interesse a vedere deragliare una normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita mediata dagli Usa. Senza trascurare che il Cremlino spera nel ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano: quell’accordo che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, contribuì a negoziare nel 2015 assieme all’amministrazione Obama. Tuttavia, dall’altra parte, Putin non può mettere a repentaglio le relazioni di Mosca con Gerusalemme: relazioni che sono piuttosto importanti per la politica mediorientale del presidente russo.La stessa Pechino spera probabilmente in un deragliamento della normalizzazione dei rapporti tra Riad e Gerusalemme negoziata da Washington: i cinesi hanno del resto mediato a marzo una distensione diplomatica tra sauditi e iraniani. Il loro obiettivo è quello di incrementare l’influenza del Dragone sul Medio Oriente a discapito degli Usa. È forse anche per questo che il Dragone si è tenuto piuttosto vago sulla crisi israeliana, limitandosi a invitare alla calma e auspicando la soluzione dei due Stati. Un atteggiamento che ha irritato Yuval Waks: un funzionario dell’ambasciata israeliana a Pechino, secondo cui la Cina avrebbe dovuto esprimere «una condanna più forte». Non dimentichiamo d’altronde che, a marzo 2021, proprio la Cina siglò con l’Iran un accordo di cooperazione venticinquennale.Attenzione poi al Qatar: sabato aveva detto di considerare lo Stato ebraico responsabile della crisi in atto, mentre ieri Reuters ha riferito che starebbe portando avanti un tentativo di mediazione per consentire uno scambio di prigionieri tra Israele e Hamas. Un tentativo che, pur smentito da Gerusalemme, starebbe avvenendo, sempre secondo Reuters, in coordinamento con gli Usa. Non va tuttavia dimenticato che il Qatar intrattiene solidi rapporti con l’Iran e che come detto ha mediato il recente accordo tra Washington e Teheran sullo scambio di prigionieri. Doha è inoltre fautrice di un rilancio della controversa intesa sul nucleare iraniano e mantiene storicamente opachi legami con Hamas. Perché Biden si sta coordinando con un Paese tanto ambiguo? Perché continuare a nicchiare sul ruolo iraniano? Ci si sarebbe aspettati che l’aggressione subita da Israele avrebbe finalmente convinto l’attuale Casa Bianca a una risposta limpidamente energica in sostegno dello Stato ebraico: una risposta che, in particolare, archiviasse risolutamente il deleterio appeasement bideniano nei confronti di Teheran, ereditato dall’amministrazione Obama. E invece, almeno per ora, non si intravede alcun sensibile cambio di rotta. E questo rischia di essere un problema: per Israele e per l’Occidente tutto.