David Ojstrach, Jascha Heifetz, Isaac Stern e Yehudi Menuhin sono stati i miei maestri. Ascoltarli suonare dal vivo significava assistere a un miracolo.Nella mia vita ho avuto il privilegio e la fortuna di ascoltare dal vivo alcuni fra i leggendari artisti del Novecento. Quando ero ragazzo, i concerti dei grandi violinisti rappresentavano per me quasi riti sacrali. Ricordo ancora il batticuore che mi assaliva prima che il mio idolo, David Ojstrach, apparisse. La mia attesa era carica di emozione e di apprensione, come se avessi dovuto esserci io, là sul palco. Non appena il momento magico era giunto, non appena mi trovavo a contatto con l'artista che dominava con personalità e carisma la musica, lo strumento e il pubblico, sentivo esplodere in me la gioia. Mi ricordo bene quando ascoltai Ojstrach per la prima volta: la sua autorità s'imponeva su tutto, ancora prima di suonare; aveva la solidità del granito. Non aveva mai un attimo di debolezza o di cedimento. Era un esempio di perfezione tecnica e di profonda sapienza musicale. È ancora vivo in me il ricordo della magia del suo suono caldo, pieno. Eseguiva Johannes Brahms, Petr Čajkovskij e Dmitrij Šostakovič con potenza ed equilibrio. Incontrai Ojstrach varie volte: lo ammiravo sempre di più. L'ultima volta fu ad Amsterdam in occasione di un concerto dove eseguì, nella doppia veste di solista e direttore, il Concerto per violino e orchestra di Brahms. Andai a salutarlo in camerino, dopo l'esecuzione. Mi sembrava affaticato. Mi disse che non si sentiva bene, e mi accorsi che era più pallido del solito. Gli rinnovai il mio affetto e la mia gratitudine per la gioia che ci donava, e mentii affermando che lo trovavo in ottima forma. Lessi nel suo sguardo un'ombra di tristezza. Probabilmente fui una delle ultime persone a vederlo in vita. Mancò quella stessa notte.Jascha Heifetz era considerato il re del violino per la sua precisione tecnica. Non sbagliava una nota. Ebbi modo di ascoltarlo a Parigi al Theatre des Champs-Elysees: interpretò la Sonata per violino e pianoforte di Cesar Franck e il Concerto per violino e orchestra K 219 di Wolfgang Amadeus Mozart. Ebbi l'impressione di un violinismo strabiliante, ma freddo. Aveva una postura di un'immobilità assoluta, che non tradiva la minima emozione. La sua genialità esplodeva nel repertorio tardo-romantico e virtuosistico, per esempio nella Fantasia scozzese di Max Bruch. Non credo che sia mai esistito un violinista capace di emularlo. La sua facilità tecnica lo portava qualche volta a eccedere in rapidità nelle interpretazioni dei tempi veloci. George Enesco ha scritto che Heifetz trasformava il finale della Sonata a Kreutzer beethoveniana, dal carattere eroico e vittorioso, in una sfrenata e travolgente tarantella.Di tutt'altra pasta era Isaac Stern, multiforme e versatile: interpretava ogni autore con perfezione stilistica e partecipazione emotiva. Per esempio nell'Adagio del Concerto per violino n. 1 di Franz Joseph Haydn, Stern riusciva a esprimere l'innocenza di un bambino, qualcosa di immateriale e di angelico, mentre, se suonava Brahms, era una scatenata forza della natura.Yehudi Menuhin è stato uno dei maggiori artisti del Novecento. Mi sentivo legato a lui da una particolare comunione d'intenti, da un'affinità forse dovuta al fatto che entrambi avevamo attinto, in tempi diversi, alla stessa sorgente, George Enesco. Dotato di una precocità unica, Menuhin sembrava uno strumento divino, capace di trasmettere l'arte sulla terra. Lo incontrai per la prima volta a Londra: avevo 17 anni e gli feci ascoltare la Sonata per violino e pianoforte di Franck e la Ciaccona di Johann Sebastian Bach. Ero molto emozionato: i suoi dischi erano il mio pane quotidiano, il mio modello interpretativo. La sua figura avrebbe ispirato fortemente la mia vita musicale. In seguito frequentai assiduamente la sua famiglia. Divenni amico dei figli, che erano quasi miei coetanei: Zamira, Jeremy e Gerard. Invitai Menuhin al mio festival a Venezia, e accettò. Suonò il Concerto per violino e orchestra di Beethoven e, insieme a me, il Doppio concerto di Bach. Successivamente mi invitò in Inghilterra, al festival di Windsor, ed ebbi ancora l'opportunità di suonare, con lui alla viola, la Sinfonia concertante per violino e viola di Mozart. La sensibilità e la propensione alla ricerca spirituale trasparivano da ogni sua esecuzione: emanava un'aura magnetica, una misteriosa energia che non ho mai avvertito in altri interpreti. Le registrazioni che realizzò tra i 15 e i 20 anni di età rimangono autentici capolavori. Ricordo ancora quando suonò il Concerto per violino e orchestra di Edward William Elgar alla Festival Hall di Londra. Dopo un inizio incerto - si avvertiva un po' di nervosismo - tutto si trasformò, e il suono del suo violino riempì la sala. In realtà, non era un semplice suono: era un miracolo che scaturiva da una fonte sonora, un universo che si rivelava. Il suono era solo un mezzo, non il fine. Quando i lunghi applausi si esaurirono, rimasi seduto, da solo, nella sala vuota. Avevo smarrito il senso dello spazio e del tempo. Mi ci volle molto per tornare alla realtà, alla dimensione normale.
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