
Manipolata mediaticamente la discussione che spacca il Comitato nazionale di bioetica. E che impone uno stop.Siamo alle solite: su un tema cruciale per lo statuto antropologico del nostro Paese quale quello dell'eutanasia e della legittimazione del suicidio assistito, si sta proditoriamente costruendo una campagna mediatica finalizzata a confondere le idee, magari utilizzando anche notizie a mezzo fra verità e menzogna. La notizia che sta circolando è che il Comitato nazionale di bioetica (Cnb) abbia espresso una sorta di parere favorevole all'aiuto al suicidio. Il documento prodotto, che parla in realtà di «riflessioni», viene giornalisticamente venduto chiudendo un occhio sugli spunti critici che sono emersi durante il dibattito fra i membri del Comitato, e spalancandolo sugli aspetti pro.In realtà, il dibattito all'interno del Comitato è un po' lo specchio di quanto sta accadendo nella società civile, registrando una spaccatura quasi alla pari fra pro e contro. L'atteggiamento più corretto dovrebbe essere quello cui ci invita da secoli la saggezza latina «in dubiis abstine»: se di «riflessioni» deve trattarsi, bisogna evitare di esprimere pareri pesanti che hanno l'aspetto di vere sentenze. Entrando, se pur sinteticamente, nel merito del documento del Cnb, appare inaccettabile che si proponga di fatto una vera e propria «dittatura» del principio di autodeterminazione, presentato come unico riferimento etico per valutare ogni scelta che riguardi la persona umana. Anzi, si va anche più in là, proponendo un'equazione fra autodeterminazione e dignità: il rispetto dell'autodeterminazione di una data persona significa il rispetto della sua dignità. È un passaggio culturale, con ricadute giuridiche, pericolosissimo e dannoso. Come dire che se un soggetto non è in grado di autodeterminarsi, è un soggetto a «dignità limitata». Il pensiero corre a decine di categorie di nostri simili che non sono appieno dotate della capacità di autodeterminarsi e che dunque sarebbero dotate di una dignità inferiore. Dignità e autodeterminazione sono categorie diverse e, tanto per essere chiari ed evitare equivoci, ogni persona umana gode della pienezza della dignità per il fatto stesso di esistere, dal momento stesso della sua esistenza in vita, dal concepimento alla morte naturale ed essa non dipende affatto dalla sua capacità di autodeterminarsi. Anzi, se questa viene esercitata in senso suicidario – gettandosi dal ponte o chiedendo l'iniezione letale – la morale comune ha sempre chiesto che si facesse di tutto per evitarlo, consapevole che la vita è il maggior bene da proteggere e difendere. Un secondo aspetto mi sembra altrettanto inaccettabile, quando cioè si afferma (non senza un pizzico di ipocrisia) che c'è differenza fra aiuto al suicidio ed eutanasia. Come dire che uccidere direttamente una persona o dargli una mano perché possa gettarsi da un ponte non sono pragmaticamente, eticamente e giuridicamente la stessa cosa. A me, personalmente, è capitato molti anni fa il caso di un paziente, paralizzato su di una sedia a rotelle, che voleva gettarsi dall'ottavo piano del mio ospedale. Non era in grado di superare la barriera architettonica che non gli consentiva di porre in atto la sua «autodeterminazione» di lanciarsi nel vuoto. Mi chiese una mano, forse proprio perché medico e dunque più «sensibile» (sic!). Che dovevo fare? Rispettare la sua dignità autodeterminata e gettarlo giù? È tutta qui la questione, cari amici: è segno di civiltà assecondare e portare a compimento un suicidio? Il suicidio è un «bene» civile e sociale che deve essere garantito e tutelato dal diritto? Personalmente trovo vergognoso e disumano che anche solo ci si ponga il quesito. Dunque, con forza invochiamo l'azione del Parlamento: si fermi l'onda che vorrebbe il suicidio legalizzato, e si dia una risposta chiara alla Corte costituzionale, rivendicando quel ruolo legislativo che spetta solo ai rappresentanti eletti del popolo italiano. Di eutanasia, che non è suicidio assistito, c'è tempo per parlare. Gli italiani oggi hanno ben altri problemi e non fa certo migliorare il Pil se l'Italia raggiunge il nefasto risultato di essere il quarto Paese al modo a legalizzare quella pratica odiosa e obbrobriosa che si chiama eutanasia.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
iStock
A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





