2024-04-03
Quando la Polonia mostra i muscoli per l’Europa finisce sempre male
Le dichiarazioni bellicose di Varsavia verso la Russia si basano probabilmente su una sopravvalutazione delle proprie forze. Anche alla vigilia del secondo conflitto mondiale accadde lo stesso. E non andò bene. Il premier polacco Donald Tusk, nei giorni scorsi, in occasione di un’intervista rilasciata agli organi d’informazione del consorzio Lena, è tornato ad agitare lo spettro di una prossima guerra tra Paesi Nato e Russia, presentandola come pressoché inevitabile, tanto da potersi dire, a suo avviso, che l’Europa si trova ormai in una fase «prebellica», analoga a quella in cui si trovava nel 1939. Analogo concetto era stato già da lui espresso - come riferito a suo tempo dalla Verità - in un discorso tenuto al congresso annuale del Partito popolare europeo, l’ 8 marzo, a Bucarest, in cui era giunto ad affermare che noi europei saremmo destinati a «cadere» se non «intraprendiamo la lotta per difendere i nostri confini, il nostro territorio, i nostri principi e, di conseguenza, i nostri cittadini e le generazioni future». Il che, se le parole hanno un senso, dovrebbe significare, né più e né meno, che non dovremmo neppure aspettare l’attacco da parte della Russia - dato apoditticamente per certo una volta che la stessa avesse liquidato a suo favore la partita con l’Ucraina - ma dovremmo addirittura anticiparlo con un attacco preventivo, non prendendo neanche lontanamente in considerazione la possibilità, in alternativa, di negoziati che possano portare al ripristino di normali relazioni con la stessa Russia in condizioni di reciproca sicurezza. Quando si dice, infatti, che occorre «intraprendere» qualcosa, ciò altro non può significare se non che se ne deve assumere l’iniziativa prima che altri lo facciano al nostro posto e in nostro danno. Si tratta di una posizione che, al momento, non risulta, fortunatamente, condivisa da altri governi dei Paesi Nato, ivi compresa la Francia, il cui presidente Emmanuel Macron si è limitato, com’è noto, a prospettare soltanto, in termini volutamente ambigui, l’ipotesi di un possibile invio di militari francesi o di altri Paesi Nato a sostegno dell’ Ucraina ma (per quanto è dato capire) senza diretto impiego in combattimento. È, però, comunque, motivo di preoccupazione - considerando che la Polonia non è certamente l’ultimo, per importanza e capacità militare, tra i componenti dell’Alleanza - il fatto che da quella posizione nessuno degli altri governi europei abbia avvertito la necessità di prendere, ufficialmente ed esplicitamente, le distanze. La preoccupazione aumenta, poi, ove l’atteggiamento dell’attuale governo polacco venga posto a raffronto con quello tenuto dal governo dello stesso Paese proprio nell’evocato contesto prebellico del 1939. Gli storici sono, infatti, tutti pressoché concordi nel riferire che, a fronte della minaccia di Hitler di ricorrere alla guerra se non fossero state soddisfatte le sue richieste riguardanti essenzialmente la cessione di Danzica alla Germania, la Polonia rifiutò ogni e qualsiasi proposta di negoziato. E ciò ad onta delle sollecitazioni che in tal senso le pervenivano anche dalla Gran Bretagna, il cui governo era preoccupato dalla prospettiva - poi, purtroppo, realizzatasi - di dover a sua volta entrare in guerra, in caso di attacco tedesco, per onorare la garanzia che incautamente, nel marzo del 1939, aveva offerto alla Polonia. Ed è soprattutto da notare, a tale proposito, che l’indisponibilità del governo polacco al negoziato era fondata non solo e non tanto sulla fiducia in quella garanzia ma anche e soprattutto sul convincimento che la guerra sarebbe stata la benvenuta, giacché si sarebbe conclusa in breve tempo con una folgorante vittoria della Polonia sulla Germania, analoga a quella che la stessa Polonia, sotto la guida del maresciallo Joseph Pilsudski, aveva ottenuto nella guerra del 1920 contro la Russia sovietica. Di un tale convincimento riferisce, tra gli altri, nella sua Storia militare della seconda guerra mondiale, lo storico inglese Liddel Hart, secondo il quale i governanti polacchi coltivavano addirittura l’idea di una trionfale «cavalcata su Berlino». E, ad ulteriore conferma, può ricordarsi quanto riferisce Arrigo Petacco nel primo dei suoi nove volumi dedicati alla seconda guerra mondiale circa il fatto che l’ambasciatore polacco a Parigi, recatosi in visita al ministro degli Esteri il 15 agosto 1939 ed appreso da lui che Hitler si era vantato di poter conquistare la Polonia in tre settimane, aveva ribattuto che sarebbero stati i polacchi «a invadere la Germania fin dall’inizio delle ostilità». La storia, com’è noto, non si fa con i «se», e quindi nessuno può dire cosa sarebbe avvenuto se la Polonia, nel 1939, avesse acconsentito a scendere a patti con la Germania. Quel che appare certo, però, è che alla base del pregiudiziale rifiuto da essa opposto alla trattativa ci fu essenzialmente una macroscopica ed inescusabile sopravvalutazione delle proprie forze che trasse in inganno anche i governi della Gran Bretagna e della Francia i quali, proprio per questo, si indussero, due giorni dopo l’attacco tedesco alla Polonia, a dichiarare guerra alla Germania nella speranza - poi amaramente delusa - di non trovarsi costretti a farla sul serio con le proprie forze. E poiché il carattere dei popoli, come quello delle singole persone, fondamentalmente non cambia mai, non sembra affatto da escludere che un’analoga sopravvalutazione sia presente anche attualmente nel governo polacco e che ad essa si unisca, ora come allora, un forte desiderio di rivalsa, nutrito oggi nei confronti della Russia mentre, nel 1939, era nutrito nei confronti dell’altro tradizionale nemico storico della Polonia, costituito dalla Germania. Non dissimili, del resto, furono i fattori che spinsero la Polonia ad assumere essa, con molta baldanza, l’iniziativa della già ricordata guerra del 1920 contro la Russia bolscevica; guerra che, dopo iniziali successi, rischiò, a causa di un inaspettato contrattacco russo, di tramutarsi in un disastro evitato soltanto «in extremis» grazie ad una battaglia il cui esito fortunato fu definito, non senza ragione, come «il miracolo della Vistola». Alla luce di tali precedenti storici, la più elementare prudenza suggerirebbe, quindi, di guardare con estremo sospetto alle linee d’indirizzo proposte e seguite dai governanti polacchi quando sia in gioco un possibile uso della forza militare nei confronti di altri Stati, senza trascurare, nel contempo, il ricorso a qualcuna delle numerose formule scaramantiche suggerite dalla tradizione popolare partenopea. Il tutto con l’aggiunta, in casi estremi - quali potrebbero ravvisarsi proprio nelle ricordate affermazioni del presidente Tusk - di quelle particolari emissioni sonore dal cavo orale a finalità critico-dissuasiva che pure sono comprese nella medesima tradizione e il cui insuperabile modello fu offerto da Eduardo de Filippo in una nota scena del film Napoli milionaria.
Francesca Albanese (Ansa)