2025-10-16
Il processo Eni-Shell è stato un flop ma c’è chi ancora vuol difenderlo
Rispuntano le Ong alla vigilia dell’appello contro gli accusatori De Pasquale e Spadaro.Nonostante il clamoroso flop del processo Eni-Shell per la presunta tangente nigeriana e la condanna in primo grado a Brescia, una parte del mondo legato alla lotta contro la corruzione internazionale continua a difendere i magistrati milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Alla vigilia della sentenza d’appello, che sarà pronunciata oggi, le stesse organizzazioni che avevano sostenuto l’accusa contro i due colossi petroliferi tornano a parlare, e lo fanno attraverso le colonne del Financial Times. Nel lungo articolo pubblicato ieri, il quotidiano britannico dà voce a una serie di organizzazioni non governative secondo cui i due pubblici ministeri «stanno pagando il prezzo per aver tentato di processare la più grande azienda italiana, di cui lo Stato è azionista di maggioranza». Il pezzo riprende parole del co-fondatore di Global Witness (che aveva presentato un esposto su Eni Shell ma poi non era stata ammessa come parte civile), Simon Taylor, secondo il quale il procedimento contro i due pm «stinks of political interference» - «puzza di interferenza politica» - e sarebbe «un tentativo deliberato di fermare le indagini per corruzione internazionale che coinvolgono aziende italiane». Il Financial Times riporta anche le dichiarazioni di Drago Kos, storico amico di De Pasquale per anni presidente del gruppo di lavoro dell’Ocse sulla corruzione, che difende apertamente i due magistrati e critica l’impianto del procedimento: «Anche se i fatti stabiliti dal tribunale fossero veri, un errore di questo tipo da parte dei pubblici ministeri non è perseguibile come reato in nessun Paese, inclusa l’Italia». È la stessa linea che Kos aveva già espresso in più occasioni negli anni passati, arrivando a definire De Pasquale e Spadaro «esempi luminosi per altri pm nel mondo» in una lettera indirizzata alla Procura di Milano. Parole che, pronunciate alla vigilia della decisione della Corte d’appello di Brescia, suonano come una forma di pressione sul giudizio dei giudici italiani. Eppure, nel grande dibattito internazionale, sembra quasi scomparso il dato essenziale: il processo Eni–Shell sulla vicenda OPL 245 si è chiuso con l’assoluzione definitiva di tutti gli imputati, dopo tre gradi di giudizio, «perché il fatto non sussiste». Quello che doveva essere il più grande processo per corruzione internazionale della storia italiana, con una tangente superiore al miliardo, si è rivelato un fallimento giudiziario. Le sentenze, dal Tribunale di Milano alla Cassazione, hanno riconosciuto l’assenza di prove e definito «inconsistenti» gli indizi su cui si fondava l’accusa. I due magistrati che avevano guidato quell’inchiesta si ritrovano oggi di nuovo imputati per omissione di atti d’ufficio: secondo la sentenza di primo grado, avrebbero trattenuto alcune prove favorevoli alle difese, fra cui un video e conversazioni WhatsApp che mettevano in dubbio la credibilità del testimone chiave Vincenzo Armanna, ex dirigente Eni poi licenziato. Condannati a otto mesi, hanno presentato appello; la decisione è attesa nelle prossime ore. Drago Kos non è una persona qualunque. Ex poliziotto e funzionario dell’apparato pubblico sloveno, è stato considerato vicino a Milan Kučan, ultimo segretario del Partito comunista della Slovenia. In patria il suo nome è legato al caso «Patria», l’inchiesta che nel 2008 fece cadere il governo di centrodestra di Janez Janša e che si concluse anni dopo con l’annullamento delle condanne per mancanza di prove. Kos è oggi una delle voci più attive nel difendere De Pasquale e Spadaro e nel criticare la magistratura italiana che li ha condannati. Dimenticando l’assoluzione degli imputati.
Il cpr di Shengjin in Albania (Getty Images)
L'ad di Eni Claudio Descalzi (Ansa)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 16 ottobre con Flaminia Camilletti