2024-10-27
Quando il manager indagato diceva: «Figuratevi se chiedo dati riservati»
Gianni Melillo e Marcello Viola (Ansa)
Una fonte, nel 2023, ci aveva anticipato l’inchiesta per accesso abusivo sul presidente della Fondazione Fiera. Ma lui aveva negato al telefono il suo coinvolgimento: «È una polpetta avvelenata, ditemi chi ve l’ha detto».Era una Milano uggiosa, novembrina, quella in cui i giornalisti della Verità incrociarono la storia della centrale dei dossier che ruotava intorno a Enrico Pazzali, il presidente della Fondazione Fiera Milano. Un nostro giornalista incontrò una di quelle fonti che i cronisti compulsano con periodicità per capire come giri il fumo. Quel giorno, l’informatore, quasi spaventato, fece un focus su Pazzali: «È un uomo molto potente e molto temuto. La gente ha paura a metterselo contro». Il discorso sembrava vago, ma improvvisamente arrivò la dritta: «C’è un’inchiesta che lo riguarda. Si dice che si tratti di mafia. Una persona che lavora nel suo ufficio è stata chiamata in Procura».La notizia va verificata. A questo punto scatta la fase due. Dopo pochi giorni riusciamo a incontrare un’altra fonte, di livello superiore. Questa, davanti a un caffè, prova a minimizzare, ma in realtà ci mette sulla strada giusta: «La mafia non c’entra. O meglio, l’indagine è partita da un fascicolo della Dda che riguarda un traffico di rifiuti nella zona di Varese, ma Pazzali è stato iscritto per accesso abusivo a sistema informatico». Siamo sorpresi. Ma la fonte prova a smorzare il nostro interesse: «Un collaboratore di Pazzali ha contattato un maresciallo della Guardia di finanza e ha chiesto un’informazione riservata a nome del presidente dell’ente Fiera. Ma visto che non si tratta di un contatto diretto tra Pazzali e il finanziere, bisogna verificare che il nome del “capo” non sia stato usato a sproposito dal collaboratore». Insomma, a credere alla nostra fonte, un anno fa, l’inchiesta era ancora in alto mare. In realtà oggi scopriamo che il presidente della fondazione era già stato intercettato e ripreso mentre si incontrava con i suoi presunti complici. Gli investigatori gli stavano addosso da diversi mesi. Per esempio, i pm che ne hanno chiesto l’arresto contestano a Pazzali di aver chiesto nell’agosto del 2022 all’ex poliziotto Carmine Gallo di cercare notizie riservate (precedenti di polizia e dati fiscali) sul manager Paolo Scaroni. Una caccia effettivamente affidata a un maresciallo delle Fiamme gialle.Ma noi, di fronte all’annacquamento della notizia e senza carte in mano, nel novembre scorso, decidiamo di mettere in stand by il possibile «scoop». Lo tiriamo fuori dal cassetto il 26 dicembre, giorno di Santo Stefano, quando le redazioni tornano a lavorare e le notizie scarseggiano. Ma come si può pubblicare la storia senza ulteriori conferme? L’unica speranza è che l’indagato sia stato sentito in Procura e che, magari, accetti di farci parlare con il suo avvocato. E così, subito dopo il pranzo, scriviamo a Pazzali, che è fuori Milano per le feste comandate, un messaggio in cui chiediamo delucidazioni sulla vicenda. Gli comunichiamo che «da alcuni giorni in città si vocifera di un’inchiesta aperta dalla Procura nei suoi confronti». Risposta: «Mi sembra uno scherzo di cattivo gusto […] che mi sta rovinando la giornata con la mia famiglia. Quindi veda di non disturbarmi per simili scemenze! Non so davvero di che cosa parli. Mi sembra una boutade. Ora attivo i miei avvocati e i responsabili della comunicazione x capire di che cosa si parli».Passano pochi minuti e ci contatta al telefono. «Non ho notizie di nessuna inchiesta. Mi sembra una follia. La sua fonte non è attendibile». Citiamo la storia del collaboratore che avrebbe chiesto notizie a un sottufficiale e Pazzali nega tutto: «Escludo qualsiasi accesso abusivo anche perché non conosco marescialli a cui poter far chiedere cose di questo genere». Una difesa declinata in diverse sfumature: «Io non faccio fare screening sulle persone e ho contatti diretti con la Guardia di finanza: lavoro con loro da anni, come Fiera stiamo preparando un protocollo insieme. Si figuri se ho bisogno di un maresciallo…». Il manager, temendo di essere frainteso, precisa: «Ma, soprattutto, queste cose non si fanno. Io non le faccio per definizione. Non ho bisogno di sapere se uno sia sotto indagine».Pazzali ci spiega anche che l’unico maresciallo delle Fiamme gialle che conosce «è quello della Fiera che è andato in pensione sei mesi fa». Nel corso della conversazione il nostro interlocutore ci chiede ripetutamente il nome del collaboratore che avrebbe fatto «una roba del genere». Ma noi lo ignoriamo. Lui probabilmente no, e sta cercando conferme. Per questo è molto insistente. Nega di aver fatto effettuare controlli: «Zero, ma su che cosa poi?». Ammette di far fare visure reputazionali sui fornitori della Fiera, ma che «nessuno chiede informazioni riservate…». Accessi all’archivio delle forze dell’ordine con i precedenti di polizia (lo Sdi)? «Noooo… lo escludo assolutamente. Io sono molto attento al tema della legalità. Le hanno detto cose imprecise», giura. Quindi ci richiede ancora il nome del collaboratore «o dell’azienda» a cui avrebbe commissionato i controlli abusivi. Forse ha capito che il discorso riguarda la sua agenzia investigativa, la Equalize.Poi minaccia: «Io glielo dico: se pubblica qualcosa di sbagliato dovrò querelare il giornale. O ha un documento che prova quello che dice o la diffido dallo scrivere qualsiasi cosa». Gli chiediamo se abbia ricevuto un avviso di garanzia e Pazzali replica: «Non ne ho mai ricevuto uno, si figuri se me lo aspetto sotto Natale. Aspetti che mi tocco. Mi sembra una boutade megagalattica. È una cosa che non ha senso». Poi butta lì: «Purtroppo c’è gente che non mi vuole bene perché, come ha capito, sono molto rigido sul tema della reputazione […] se lei non fosse un giornalista che sta verificando una notizia e fosse stato una persona qualunque che mi diceva una cosa del genere io sarei subito andato a denunciarla alla Guardia di finanza. Questo è il mio modus operandi». Continua: «Quando ho ricevuto il suo messaggio, essendo una roba iperbolica, pensavo fosse mio cognato che mi faceva uno scherzo. Un giornalista come lei non scrive certe puttanate».Per quasi mezz’ora l’indagato cerca di scoprire quali carte abbiamo in mano e se conosciamo l’identità degli altri soggetti sotto inchiesta: «Le chiedo cortesemente di aggiornarmi. Mi faccia sapere se scopre il nome del mio collaboratore. Anche io farò i miei approfondimenti perché non posso lasciar cadere una cosa tanto assurda e grave. Andrò a Milano domani. Ormai le vacanze sono rovinate. Andrò sino in fondo. Cercherò di capire tramite i miei avvocati e tutti quelli che ho a disposizione che cosa sia questa storia. Per avere eventuali conferme mi ci vorranno un paio di settimane, questa è una roba che va fatta con i legali e con le persone giuste…». Il flusso di coscienza prosegue: «Ciò che mi ha detto mi dà fastidio, perché io sono un tipo molto rigido». In realtà per il gip che ha firmato l’ordinanza che ha bloccato le attività di dossieraggio della presunta cricca, Pazzali era «perfettamente a conoscenza delle dinamiche illecite attraverso cui la propria società» di investigazioni acquisiva «le informazioni poi utilizzate per diverse finalità».Con noi il manager non riesce ad accettare che la notizia circoli a sua insaputa: «È impensabile che qualcuno dei miei collaboratori sia stato sentito in Procura, perché lo saprei dopo un minuto. Mi sembra davvero molto strano che nel mio ambiente giri questa voce e che io non l’abbia sentita e che la venga a sapere da un giornalista. Le suggerisco di fare ulteriori verifiche, non vorrei che ci fosse dietro uno mezzo matto che dice cose a vanvera. Io cercherò di smascherarlo. Se sapessi chi sia, lo avrei già denunciato. C’è gente che veramente non sta bene».Prima di salutarci lancia l’ultimo avvertimento: «Spero che lei non scriva subito così avrò modo di chiarire tutto. Non vorrei avere con il suo giornale un contenzioso per colpa di qualcuno che le ha passato una polpetta avvelenata». Alla fine abbiamo deciso di non pubblicare la notizia per non essere smentiti o accusati di rivelazione di segreto. Anche perché, un anno fa, le nostre fonti non ci avevano svelato quanto questa storia fosse clamorosa.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)