2018-12-04
Qualcuno morirà, ma la Luna non è gratis
Esce oggi la raccolta di articoli che Oriana Fallaci scrisse da Cape Kennedy durante la corsa allo spazio. Dopo l'incendio dell'Apollo 1 ricordò i tre astronauti caduti, diventati suoi amici. Dicevano: «Una tragedia avverrà, però tu non piangere. È il prezzo per il nuovo».Sono partiti stamani, per restituire alla Terra quei corpi che in fondo al cuore temevano di lasciar sulla Luna. [...] Se mi va male, diceva Eddie White, voglio essere sepolto a West Point: cercate di farcela. Se mi va male, dicevano Roger Chaffee e Gus Grissom, voglio essere sepolto ad Arlington: tentate di riuscirci. Gli è andata male. [...] Il dottor Wanger piangeva. Il dottor Wanger, un generale sui 50 anni, coi baffi, è il medico che per 24 ore ha tentato di esaminare Gus Grissom, Eddie White, Roger Chaffee, ormai ridotti a carbone. È anche l'uomo che li avrebbe salvati se la capsula Apollo non li avesse arsi vivi. […]Eran tre tipi talmente diversi. Non ridevano delle medesime cose. Poi ci mettemmo a parlare del prossimo volo e dell'ipotetico gruppo cui sarebbe toccato sbarcar sulla Luna. [...] «Ma cosa farete dopo essere stati lassù sulla Luna? Tutto sembrerà privo d'interesse al confronto» dissi a un tratto. «Ci ho pensato, sai» disse Eddie. «Tutti ci pensano, magari anche Roger» disse Gus. Roger sorrise, con la sua timidezza. «Be', cosa farete?» insistetti. «Io lo so» disse Gus. «Tornerò a collaudare gli aerei ma prima comprerò una barca e andrò per un mese a pescare. In Alaska». «Io invece mi prenderò un anno di vacanza, un anno intero, e viaggerò la Terra insieme a mia moglie e ai bambini» disse Eddie «è tanto che ho voglia di viaggiare la Terra. Di andare in Africa per esempio. Voglio vedere i leoni e gli elefanti e le tigri. Mica per ammazzarli, mi spiego? Solo vederli». «Ragazzi, aspettiamo a fare programmi» interruppe Roger, arrossendo. «Magari sulla Luna non ci arriviamo o ci crepiamo e addio Alaska, addio tigri leoni elefanti.» «In tal caso, pazienza. Fa parte di questo mestiere» tagliò corto Grissom. […]Cominciamo dall'ultimo che lanciò il grido: «C'è fuoco a bordo!». Quello di cui si sa meno, il piccolo Chaffee. Nel mio libro scrissi che assomigliava ad un resuscitato James Dean: identico il viso, il corpo, il sorriso, rompeva il cuore pensare che lo avrebbero messo dentro quell'imbuto e spedito lassù, come un cucciolo cavia. [...] Roger se n'ebbe un po' a male perché se dall'aspetto sembrava un bambino, in realtà era un ometto pieno di ambizioni, maturità. [...] Il suo dovere lo faceva con scrupolo perfino irritante: sai, il tipo che vuol essere il primo della classe a ogni costo e non sopporta di arrivare secondo. La domenica si alzava alle sette e fino alle dieci studiava. Alle dieci andava in chiesa con la moglie e i bambini: era un presbiteriano convinto. Dopo la chiesa giocava un poco coi bambini o coi cani, aveva due bambini e tre cani, mangiava, e si rimetteva a studiare. Fisica, astrofisica, geologia. «E poi tu scrivi che sembro che sono un bambino». «Ma è così, Roger». […]Ora, Gus Grissom. Finché frequentai il loro mondo per scrivere il libro non fui mai capace di scambiare con Grissom più di cinque parole per volta. [...] Conobbi Grissom quando il libro era già stampato. O forse proprio perché il libro era già stampato: a quel punto non poteva temere che scrivessi di lui. Odiava talmente la pubblicità, la notorietà. La sua preoccupazione maggiore era passare inosservato: impresa difficile per uno che era stato scelto fra i primi sette. Un giorno me ne parlò. «V'è qualcosa di volgare, capisci, intorno alla fama. Qualcosa di indecente». […] Be', credo che questa sia stata la sola volta in cui Grissom abbia confidato a un estraneo i suoi sentimenti: riusciva a comunicare con gli altri solo in termini professionali, era un tecnico puro e malgrado quel viso arguto cordiale era un uomo infinitamente scontroso. Severo. [...] Il fatto è che Gus non era stato educato nell'indulgenza: per lui la vita non era mai stata un letto di rose. L'università l'aveva fatta in tre anni, in quei tre anni la moglie aveva dovuto lavorare per sé stessa e per lui [...]. Finita l'università lo avevano scaraventato in Corea, qui aveva compiuto ben 100 missioni aeree, era stato ferito: dell'esistenza lui conosceva tutte le rinunce, tutte le amarezze. Compresa quella di non essere molto brillante, molto attraente. Voglio dire: le donne si aggirano come mosche sul miele intorno agli astronauti perché di solito son bei ragazzi, tipi interessanti; ma intorno a Gus non ne ho mai vista una. […]Infine, Eddie White. L'Angelo. [...] Lo chiamavo l'Angelo per la sua bellezza: una bellezza così celestiale da non provocare nemmeno pensieri profani. […] V'era in lui qualcosa di mistico, di assurdamente santo. Il suo amore per le bestie, ad esempio. Pressoché francescano in quel primo incontro gran parte del tempo lo impiegò parlandomi dello scimpanzé Prosciutto, lanciato nel cosmo prima di Al Shepard. Eddie conosceva bene Prosciutto perché in previsione del progetto Mercury lui e Slayton avevano usato Prosciutto per gli esperimenti in assenza di peso. «Be', fui così lieto quando decisero di usare noi come cavie e di smetterla con Prosciutto. Nessuno aveva mai chiesto a Prosciutto il permesso di sballottarlo così». [...]Sognava la Luna in senso romantico, non tecnologico: segretamente lui detestava la tecnologia, i pistoni, i bottoni, le macchine. […] Tutto il contrario di Grissom. Di solito l'equipaggio di un'astronave è scelto dal comandante. Il comandante era Grissom. E io capisco che Grissom avesse voluto Chaffee, non capisco che avesse voluto Eddie White. Forse per la splendida prova che Eddie aveva dato con la sua passeggiata spaziale, per la disciplina con cui aveva accettato quell'ordine assurdo e imprevisto. La passeggiata spaziale non era nel programma del Gemini IV. Era stato Johnson ad esigerla, per ragioni politiche. [...] «Ma non siamo pronti, potremmo perdere un uomo, forse due» protestarono quelli della Nasa. Johnson fu irremovibile. Eddie sapeva bene ciò che rischiava. Lo sapevano tutti. Ricorderete che proprio in quei giorni il direttore della Nasa, James Webb, pronunciò la lugubre e giusta dichiarazione: «Siamo stati molto fortunati fin oggi. Non abbiamo avuto perdite umane. Ma non sarà sempre così. Secondo il calcolo delle probabilità, il limite massimo è già superato: è inevitabile che un lutto prima o poi ci colpisca». Inevitabile? Quando il Gemini IV si alzò dalla rampa molti si sentirono male. [...] Solo Eddie era ottimista. Giunto il momento aprì lo sportello, si fece il segno della croce, uscì e… «Ora basta, Eddie, rientra» diceva McDivitt. «Ma è meraviglioso!» rispondeva Eddie. «Ho detto basta, Eddie, rientra!» «Ora vengo, un minuto appena, ora vengo». Neanche fosse stato a galleggiare in mezzo a una piscina. [...] «Sei venuta per scrivere un pezzo?» mi chiese un giorno della scorsa estate a Cape Kennedy. «No, Eddie. Sono venuta così. Per vedere». «Già. Siamo rimasti in pochi, vero, a gioire di un razzo che parte. Sembra che i nostri voli non interessino più nessuno, ormai. A meno di una tragedia. Che del resto avverrà. Ma quando avverrà non dovrai chiamarla tragedia. Dovrai chiamarla parentesi, e non piangere, e ricordarti che per trovare il nuovo si è sempre morti. Perché niente si ottiene gratis». [...] Quante volte ho udito il discorso che Eddie conosceva: «Che noia questi voli spaziali. A chi importano, ormai? Se non ci scappa il morto, son sempre la medesima cosa».Ecco, il morto è scappato. Anzi, tre insieme. In un colpo solo. Ad alleviare la loro noia. E allora giù a fare i pietosi, gli scandalizzati, gli addolorati [...]. «Andar sulla Luna, perché? Spendere soldi e vite umane per viaggiare nel cosmo, perché?». Come se sulla Luna si potesse andar gratis, senza nemmeno un morto. Come se il mondo fin oggi fosse andato avanti gratis, senza nemmeno un morto. Come se il dovere dell'uomo non fosse di spander la vita, cercare altre Terre, altri soli, diventare più bravo e curioso. […] C'è una grande tristezza qui a Houston ora che Gus, Eddie, Roger sono partiti. E qualcuno ci informa che, bando alle illusioni, tutti e tre si accorsero di star per morire. Per 12 lunghi secondi. Ce lo racconta il nastro magnetico con le loro voci. Il primo a gridare fu White: «Fuoco… fuoco… Fuoco a bordo». E la sua voce era concitata, insistente. Il secondo fu Grissom, dopo due o tre secondi: «Vi è un brutto incendio qui nella capsula». E la sua voce era quasi isterica. Il terzo fu Chaffee, dopo sette secondi. Di nuovo gridò: «Fuoco a bordo… Fuoco… Via di qui». E si udirono movimenti frenetici, grida inintelligibili, come se si agitassero, si pestassero, si urtassero per cercare di aprire lo sportello chiuso. C'è una grande tristezza, dottor Wanger. Ma c'è una grande allegria, dottor Wanger, se pensi che i morti non sono loro: sono gli altri. Loro son vivi. Non bisogna piangerli. Perché sono vivi.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)