2022-09-28
Qualche mito da sfatare sul presunto isolamento internazionale del centrodestra
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Le sprezzanti parole della premier francese rivolte all’esito delle ultime elezioni italiane hanno nuovamente innescato la vulgata che dipinge il centrodestra come isolato dal punto di vista internazionale e, in particolare, disallineato rispetto all’europeismo. Ma le cose stanno davvero così? Non esattamente. Cominciamo col dire che nella narrazione di certo giornalismo italiano per “europeismo” si intende vicinanza (se non addirittura reverenza) nei confronti dell’asse franco-tedesco. Ora, partendo da questa definizione, è chiaro che il centrodestra italiano a trazione Fdi non possa dirsi pienamente “europeista”. Tuttavia il punto è che l’Unione europea non è un monolite in mano a Parigi e Berlino: è, semmai, un blocco molto più complesso. Sotto questo aspetto, non bisogna dunque dimenticare che Giorgia Meloni, in quanto leader dei conservatori europei, gode di stretti legami con il governo polacco. Governo che alle nostre latitudini viene tacciato di ogni nefandezza autoritaria, ma che – a ben vedere – è in prima linea non solo nell’opporsi a Vladimir Putin ma anche nell’accogliere i profughi di guerra che arrivano dall’Ucraina. Tale impegno contro il Cremlino non è invece riscontrabile in un alleato del Pd come la Spd tedesca che, al contrario, vanta storici (e saldi) legami proprio con Mosca. Ne consegue che ci sono vari modi di essere “europeisti”, al di là degli acritici allineamenti all’asse franco-tedesco. Ma non è finita qui. Eh sì, perché la vicinanza politica della Meloni a Varsavia accredita ulteriormente la leader di Fdi agli occhi di Washington, che vede storicamente nella Polonia un alleato di primo piano in Europa orientale. E qui veniamo a un altro aspetto importante. Durante la campagna elettorale, la Meloni ha mostrato una posizione nettamente atlantista. Ora, in Italia si tende spesso a ripetere che atlantismo ed europeismo siano due concetti inscindibilmente legati. In realtà, se – come abbiamo detto – con europeismo si intende vicinanza all’asse franco-tedesco, la situazione è ben diversa. Washington non nutre storicamente troppa simpatia per Parigi e per Berlino, soprattutto in ragione del fatto che queste ultime hanno spesso tenuto una posizione piuttosto ambigua nei confronti di Russia e Cina. È poi ovvio che si sono registrate delle differenze tra le varie amministrazioni americane. Tuttavia va ricordato che un anno fa, con la questione dei sottomarini, scoppiò di fatto una crisi diplomatica tra Joe Biden ed Emmanuel Macron. Tutto questo, mentre il mondo conservatore americano non perdona a Berlino le politiche energetiche di Angela Merkel che, avallate da Olaf Scholz quando era suo vicecancelliere, hanno condotto la Germania e l’Unione europea a diventare sempre più dipendenti dal ricatto del Cremlino. Tra l’altro, nella storia italiana è già capitato che Roma giocasse di sponda con l’anglosfera per controbilanciare le politiche di Francia e Germania (si pensi al terzo e al quarto governo Fanfani all’inizio degli anni Sessanta o al secondo governo Berlusconi). D’altronde, le alleanze internazionali non sono un totem intoccabile e dovrebbero avere come primario obiettivo quello dell’interesse nazionale. Ora, oggettivamente non è che Parigi e Berlino in questi anni abbiano sempre attuato politiche in linea con gli interessi di Roma. La Meloni, dal canto suo, può invece anche far leva sui buoni rapporti che ha costruito nel tempo con il Partito repubblicano americano: partito che, secondo i sondaggi, a novembre dovrebbe essere in grado di riconquistare almeno la Camera dei rappresentanti. Uno scenario, questo, che – qualora si concretizzasse – metterebbe in seria difficoltà l’amministrazione democratica di Biden, aumentando le possibilità che l’elefantino espugni la Casa Bianca nel 2024. Insomma, il fatto che piaccia poco a Macron e a Scholz non significa che il nuovo governo di centrodestra sarà isolato dal punto di vista internazionale.