2023-03-10
Nel Qatargate spunta anche un libanese in affari con l’Equality
Antonio Panzeri (Ansa). Nel riquadro a sinistra Hassan Dergham
Fra il 2018 e il 2019 la ditta riconducibile ad Antonio Panzeri e a Francesco Giorgi ha fatturato 200.000 euro alla Team organizasyon di Hassan Dergham.«Il Marocco diede 50.000 euro già per la campagna elettorale 2014».Secondo «Deutsche welle», l’ex europarlamentare avrebbe ammesso il contributo.Lo speciale contiene due articoli.Anche il Qatargate, come la vicenda della Banda della Magliana ha il suo Libanese. Infatti il turco Hakan Camuz, il «consulente legale» attraverso il quale è stato finanziato uno dei presunti veicoli della corruzione, l’italiana Equality consultancy riconducibile a Francesco Giorgi e Pier Antonio Panzeri, non è il solo mediorientale protagonista di questa vicenda. Accanto a lui, compare anche un giovane di Tripoli, in Libano. Il suo nome è Hassan Dergham e dai nomi dei suoi profili social e dalle foto postate dovrebbe essere nato nel 1991. Per capire meglio il suo ruolo nella vicenda dobbiamo fare un passo indietro. Il grosso dei ricavi della Equality consultancy srl di Opera tra dicembre 2018 e febbraio 2019 sono stati fatturati in Turchia per un totale di 200.000 euro. A pagare quella somma è stata la Team organizasyon basin yayin ticaret limited şirketi. Una ditta il cui nome significa tutto e niente: ci sono le parole stampa, trasmissione, commercio e azienda. Il suo sito è inattivo, ma in una delle banche dati delle imprese turche emerge qualche dettaglio in più: la Team organizasyon è stata fondata il 28 giugno del 2016, ha un capitale di 123.456 lire turche (un po’ più di 6.000 euro), è amministrata da Hassan Dergham che risulta anche l’unico azionista. L’oggetto sociale è quello di «realizzare tutti i tipi di congressi, seminari, simposi e attività simili in patria e all’estero», ma anche di «fornire tutti i tipi di servizi relativi alle pubbliche relazioni, svolgere attività pubblicitarie in patria e all’estero», e ancora «effettuare servizi lavori di marketing, indire gare d’appalto aperte da istituzioni e organizzazioni pubbliche e private, fornire servizi di consulenza». Insomma, indicazioni molto vaghe.Ma chi è Dergham? Secondo le fonti aperte che La Verità ha consultato, quasi un fantasma. Attraverso i social network, però, arriva qualche informazione interessante. Ad esempio sul suo profilo Twitter c’è la sua foto sotto quella di una moschea: barba curata, completo elegante, Apple watch al polso, posa professionale con lo sfondo di quella che sembra una sala eventi e come localizzazioni Tripoli in Libano e Istanbul. L’ultimo cinguettio risale al 23 febbraio 2020 ed è un commento alla foto postata da un altro utente (un attivista palestinese «specializzato nella gestione di piattaforme di social media e campagne digitali») che la definisce «l’immagine di un bulldozer israeliano che ha investito il corpo di un martire palestinese e lo ha fatto a pezzi». Hassan commenta in arabo citando Allah: «Un crimine efferato e la profanazione del corpo di un martire palestinese disarmato davanti agli occhi dei suoi fratelli e del mondo intero». Dergham ha anche un profilo su Instagram, ma l’account è privato. Ci si legge solo che è libanese, vive a Istanbul, ma ha il «cuore» in Palestina. Nella biografia campeggia in arabo anche la frase «lode a Dio» in arabo. Ha poi un profilo su Linkedin (dove scrive di lavorare come contabile alla Team organization - all’inglese - e di avere «otto anni di esperienza dopo aver lavorato per alcune società in Libano e in Turchia») e su Facebook. Ed è qui che si possono trovare maggiori dettagli sulla vita del giovane libanese con gli affari in Turchia ma col cuore in Palestina. Tra gli ultimi post, risalenti a gennaio 2020, anche una sorta di «meme» di Donald Trump e Benjamin Netanyahu alla presentazione del piano di pace per il Medio Oriente e un omino disegnato che orina sull’accordo. Il commento di Dergham è eloquente: «Questa è la risposta del popolo palestinese e la risposta di tutto il popolo libero del mondo». Questi continui riferimenti alla Palestina potrebbero essere dei dettagli importanti. Come abbiamo già ricordato, l’ex assistente parlamentare di Panzeri, Giorgi, ha dichiarato che in Turchia un emissario del Qatar di origini algerine, lo avrebbe messo in contatto con una persona «di origine palestinese» che avrebbe consegnato, di volta in volta, numeri di telefono belgi di soggetti da chiamare «per avere i soldi» e che suggerì di rivolgersi ad Hakan Camuz e alla sua compagnia in Inghilterra. Il palestinese e il libanese sono lo stesso uomo? Chissà.Ma torniamo su Facebook. Sul profilo di Dergham si trova anche qualche sua foto poco recente in montagna, al mare, insieme ad amici e parenti, ma anche in giacca e cravatta a eventi di lavoro. Tra gli scatti in cui è taggato da altri utenti, spunta a dicembre 2022 un fotomontaggio fatto da un amico che lo immortala a fianco di Lionel Messi con sullo sfondo la bandiera dell’Argentina e subito dopo lo stesso amico che commenta: «Come tifosi della nazionale italiana (che non ha partecipato ai Mondiali, ndr) e dopo aver discusso con il mio consigliere sportivo Hassan Dergham, abbiamo deciso di tifare la nazionale argentina». Al netto degli scherzi degli amici, un post curioso è il messaggio inviato il 12 febbraio scorso dal libanese a una community di ingegneri, in cui chiede di «entrare in contatto con ingegneri marini che hanno capacità di calcolare lo spazio navale, capacità di utilizzo delle navi e altri dettagli». Sicuramente sarà solo una coincidenza, ma il giorno dopo, ovvero il 13 febbraio, il Qatar ha annunciato l’invio alla Turchia e alla Siria di 10.000 cabine e roulotte utilizzate durante la Coppa del mondo in grado di ospitare le persone rimaste senza casa dopo il devastante terremoto che ha colpito il Paese. La spedizione è avvenuta via mare e i container sono partiti dal porto di Doha verso la Turchia.Un’altra coincidenza: a Istanbul c’è anche una società di Hakan Camuz che si chiama Opal e si occupa di consulenza nei settori «marittimo, trasporti, turismo, edilizia, industria e commercio». In questa società, Camuz è socio al 50% con la moglie Fatma.Il grosso degli affari del consulente legale è, però, a Londra. Il suo nome compare in dieci società o enti. Di questi, quattro sono ancora attivi a oggi: Black pearl management, Sirone limited, Nomos international e Stoke white consultancy. Nella capitale inglese Camuz, molto vicino alla famiglia di Recep Tayyip Erdogan, si era occupato anche degli affari di un altro politico turco molto in vista, Mehmet Simsek. Ex ministro dell’Economia e delle finanze durante i governi Erdogan, poi vicepremier sino al 2018. Con doppio passaporto, si è stabilito a Londra dove nel 2021 ha fondato con un imprenditore turco-londinese la società immobiliare London rs properties. Tra gli amministratori sino al 2022 c’era anche Camuz. Ma torniamo alle società coinvolte nel Qatargate. Che molte di queste società siano scatole vuote o scatole da riempire con il fundraising e poi risvuotare lo si intuisce anche dai file depositati nella banca dati britannica delle imprese. Le informazioni sono scarse, ma apprendiamo per esempio che la Stoke white consultancy limited (di cui Camuz risulta amministratore) al 31 maggio 2021 aveva un rosso di 40.558 sterline nonostante sia nel 2020 sia nel 2021 abbia chiesto prestiti alle banche (non sappiamo quali) per 50.000 sterline. Nella nota depositata non ci sono molti altri dettagli, a parte che nel 2020 e nel 2021 ha segnalato di avere un solo dipendente e che si tratta di una società a contabilità semplificata che non deve presentare un bilancio effettivo. Simile il copione per la Stoke white limited che, anche se risulta diretta dalla ventinovenne Cemre Eren Camuz, è comunque riconducibile ad Hakan. Ebbene, al 31 luglio 2021 i dipendenti erano sei, aveva realizzato un utile di 78.840 sterline e aveva chiesto 50.000 sterline alle banche. Con numeri così modesti era però riuscita, nel 2019-2020, a pagare fatture per 55.000 euro alla Equality.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/qatargate-spunta-libanese-affari-equality-2659568292.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-marocco-diede-50-000-euro-gia-per-la-campagna-elettorale-2014" data-post-id="2659568292" data-published-at="1678414791" data-use-pagination="False"> «Il Marocco diede 50.000 euro già per la campagna elettorale 2014» La campagna elettorale che nel 2014 ha portato alla rielezione di Pier Antonio Panzeri all’Europarlamento sarebbe stata finanziata dalle autorità marocchine. Secondo quanto riportato dall’emittente tedesca Deutsche welle, lo avrebbe ammesso lo stesso Panzeri in due interrogatori del mese scorso. Nei verbali l’ex eurodeputato avrebbe collocato l’inizio del suo rapporto con il diplomatico Abderrahim Atmoun, attuale ambasciatore del Marocco in Polonia, al 2012. Secondo le dichiarazioni di Panzeri, Atmoun avrebbe anche sborsato 50.000 per coprire le spese di uno dei suoi eventi elettorali, che si sarebbe svolto a Milano nel 2014. Secondo Panzeri, però, le borse colme di denaro contante hanno iniziato a essere consegnate dal Marocco solo dal 2019, quando lui e il suo assistente parlamentare Francesco Giorgi avrebbero accettato di intascare 50.000 euro all’anno per occuparsi di migliorare l’immagine dello stato nordafricano negli ambienti politici dell’Ue a Bruxelles. Ma le somme più consistenti per lui e Giorgi sarebbero arrivate dal Qatar. Dopo gli incontri all’inizio del 2018 con il ministro del Lavoro di Doha, Ali bin Samikh Al Marri, lo Stato del Golfo avrebbe infatti accettato di pagare a lui e Giorgi 1 milione di euro all’anno nel 2018 e nel 2019. Alcuni dettagli dei trasferimenti di denaro rimangono poco chiari. Panzeri ha affermato che gran parte del denaro del Qatar è stato incanalato loro attraverso «un uomo d’affari turco e il suo avvocato a Londra». Molto probabilmente un riferimento a quell’Hakan Camuz di cui ci stiamo occupando da giorni. Quella di Panzeri non sarebbe l’unica campagna elettorale in odore di mazzette. Secondo la ricostruzione dell’emittente tedesca, i verbali dell’uomo chiave del Qatargate raccontano che anche la compagna di Giorgi, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili, avrebbe incassato 250.000 euro dal Qatar per finanziare la corsa alla rielezione del 2019. Con i magistrati di Bruxelles Panzeri avrebbe poi cercato di «smantellare l’idea» di essere il «grande capo» dell’affaire, scaricando la responsabilità sul suo ex assistente. Giorgi, sarebbe stato il «conduttore» della corruzione e avrebbe consegnato le buste e i sacchi di denaro alle persone coinvolte, compreso lo stesso Panzeri. Che a quanto pare aveva così tanti contanti da non sapere «cosa farsene». Tanto da essere arrivato, dopo uno scambio di denaro, a «gettare i soldi in un bidone della spazzatura» quando il suo interlocutore «era tornato a casa». In un viaggio in treno, invece, un ladro gli avrebbe sottratto 15.000 euro.