Nuovo colpo per la difesa degli Elkann nel procedimento penale sull’eredità Agnelli. Il giudice per le indagini preliminari di Torino, al quale le difese di John, Lapo e Ginevra Elkann si erano rivolti contestando la legittimità delle perquisizioni dell’8 febbraio scorso sulla base di quanto previsto dalla legge Cartabia, ha respinto il ricorso e dato ragione piena ai pubblici ministeri titolari dell’inchiesta. Di fatto, «blindando» gli atti d’indagine svolti finora dalla procura torinese sulle vicende legate all’eredità di Marella Agnelli.
I legali degli Elkann - Paolo Siniscalchi e Federico Cecconi - si sono rivolti al gip lo scorso 25 marzo, presentando una istanza per la retrodatazione della iscrizione al registro degli indagati di John Elkann e dei fratelli Lapo e Ginevra. Una novità procedurale, quella della istanza per la retrodazione, introdotta dalla riforma Cartabia. Secondo i legali, i tre fratelli avrebbero dovuto essere iscritti al registro degli indagati già dal 23 dicembre 2022, data nella quale l’esposto della madre Margherita Agnelli è stato depositato in cancelleria. O al più tardi in maggio, quando sono stati iscritti il commercialista torinese Gianluca Ferrero e il notaio svizzero Urs von Gruningen. Mentre John Elkann è stato iscritto solo il 7 febbraio, alla vigilia delle perquisizioni. E i due fratelli un mese dopo, il 6 marzo, unitamente alla contestazione del reato di truffa, precedentemente non previsto. Questo, sulla base delle Cartabia, avrebbe importo tempi molto più rapidi per la conclusione delle indagini. Ma soprattutto avrebbe di fatto reso illegittime le perquisizioni dell’8 febbraio di quest’anno e quindi inutilizzabili nel procedimento i materiali sequestrati dalla Guardia di finanza in quella occasione. Questo perché la legge Cartabia prevede il termine di un anno dall’iscrizione al registro degli indagati come termine per le indagini preliminari.
Secondo il giudice, che non ha ritenuto necessario il contraddittorio ma si è limitato a ricevere una memoria dei pubblici ministeri, la richiesta di retrodatazione è infondata perché alla data dell’esposto - dicembre 2022 e peraltro contro ignoti - i pm avrebbero dovuto iscrivere i tre fratelli sulla base di una denuncia di una parte interessata, cioè Margherita Agnelli, che avrebbe potuto rivelarsi infondata fin dalle prime verifiche. Ovvero, proprio uno di quei «problemi» della nostra procedura penale che la riforma Cartabia si è proposta di eliminare.
L’iscrizione di Ferrero e von Gruningen, annota l gip, è stata effettuata a fine maggo del 2023 sulla base della prima informativa della Guardia di finanza sul caso, consegnata il 9 maggio ai pm in virtù della delega d’indagine assegnata nel gennaio precedente. Nell’informativa, venivano indicati come «esecutori» del presunto reato - la dichiarazione fiscale fraudolente relativa alla residenza fittizia di Marella in Svizzera anziché in Italia - solo i due professionisti e la stessa Marella, che però è mancata nel febbraio del 2019 e quindi per ovvie ragioni non può essere indagata. La successiva iscrizione di John, il 7 febbraio, è stata invece motivata con l’analisi delle dichiarazioni dei redditi integrative dello stesso John Elkann, dalle quali sono emersi i beni detenuti all’estero e ricevuti come erede di Marella Caracciolo Agnelli. A giustificare la perquisizione della residenza di John, seppure non fosse stato ancora indagato, erano comunque le intercettazioni della polizia giudiziaria da metà gennaio, dalle quali era emerso che la documentazione di Marella era custodita a casa di John.
Il Tribunale del riesame di Torino ha respinto il ricorso dei legali dei fratelli Elkann e del commercialista Gianluca Ferrero sui sequestri effettuati dalla Procura nell’ambito dell’inchiesta sull’eredità Agnelli. La decisione, depositata ieri mattina, consente ai pm torinesi di utilizzare per la propria indagine tutto il materiale sequestrato lo scorso 8 febbraio. Compreso una gran mole di documenti relativi alla Dicembre, la società della famiglia che a cascata controlla Exor e le sue partecipazioni, da Ferrari a Stellantis fino a Cnh, Iveco e Juventus. Inoltre, potranno essere utilizzati per acquisire elementi di prova i telefoni, computer, tablet e schede di memoria acquisite nella perquisizione.
La decisione de Riesame lascia dunque aperto quello che è il filone più delicato dell’indagine, relativo al riassetto della Dicembre seguito alla morte di Gianni Agnelli nel 2003. La Dicembre è una società semplice (s.s.), con obblighi molto limitati di pubblicità dei propri atti societari. Tra le altre cose, non è tenuta a redigere e depositare un bilancio o un rendiconto finanziario. Fondata negli anni ‘80, aveva inizialmente tra i soci oltre a Gianni e Marella anche Umberto Agnelli, fratello di Gianni, e Cesare Romiti, allora top manager del gruppo Fiat. Negli anno ‘90, dopo l’uscita di Umberto e di Romiti, erano entrati John Elkann, Franco Grande Stevens - avvocato ed esecutore testamentario di Gianni Agnelli - e la figlia Cristina. Tra il 2003 e il 2021, attraverso una serie di passaggi, la quote della finanziaria sono finite ai tre fratelli Elkann. Di questi passaggi però si è avuta certezza solo nel giugno del 2021, quando con un unico atto è stato deciso il deposito di tutta la documentazione della società relativa ai passaggi di quote sociali. Una serie di passaggi contestati anche in sede civile da Margherita Agnelli, figlia di Gianni e Marella, autrice dell’esposto che ha fatto partire l’inchiesta della Procura. La questione della Dicembre è centrale non solo per le vicende ereditarie, ma anche per il controllo del gruppo. La Dicembre è infatti il primo socio con il 40% della Giovanni Agnelli & C., che ha altri soci, con quote molto inferiori, gli esponenti dei vari rami della famiglia Agnelli - gli eredi di Umberto, i Nasi, i Camerana -. Alla Giovanni Agnelli & C. fa capo a sua volta il 52% di Exor, la holding guidata da John Elkann che controlla tutto il gruppo.
Se l’inchiesta penale arrivasse a determinare degli illeciti, si potrebbe riaprire la questione del riassetto della Dicembre anche in sede civile, con ovvie ricadute sull’intero gruppo. Una ipotesi esclusa categoricamente dai legali Elkann, che hanno peraltro ricordato a più riprese come tutti i vari procedimenti avviati da Margherita tra Svizzera e Italia negli ultimi venti anni si siano conclusi con un nulla di fatto.
I sequestri decisi dalla Procura erano già passati al giudizio del Riesame una prima volta, con il giudice che aveva concluso come una parte consistente non fosse giustificata sulla base del reato contestato inizialmente, la dichiarazione fiscale fraudolenta relativa al 2018 e 2019 per i redditi di Marella Agnelli, scomparsa nel febbraio di quell’anno. Dopo questo primo pronunciamento, i pm avevano emesso un nuovo decreto che ampliava le ipotesi di reato alla truffa ai danni dello Stato e aggiungeva tra gli indagati, oltre a John Elkann, anche i fratelli Lapo e Ginevra. Aggiungendo anche il mancato versamento della tassa di successione relativamente a 750 milioni di euro conservati in conti all’estero che, secondo i pm, sarebbero stati parte dell’eredità della nonna Marella.
A rafforzare le ipotesi investigative, anche la documentazione acquisita con i sequestri, dalla quale emergerebbero tra l’altro le prove - secondo i pm - della residenza fittizia di Marella in Svizzera, mentre la donna avrebbe trascorso la maggior parte del tempo, almeno a partire dal 2016, in Italia.
Contro questo nuovo decreto, i legali delle difese avevano presentato un nuovo ricorso, sostenendo tra l’altro che il codice non prevede espressamente il mancato versamento della tassa di successione come reato, ma lo punisca con una semplice sanzione amministrativa.
In attesa di conoscere le motivazioni, che saranno depositate nei prossimi giorni, il giudice ha ritenuto evidentemente non sussistenti le ragioni della difesa su questo punto.
«Siamo naturalmente delusi dalla decisione del tribunale e rimaniamo convinti della solidità degli argomenti giuridici che abbiamo sostenuto. Attendiamo comunque il deposito delle motivazioni per decidere se presentare ricorso per Cassazione», hanno dichiarato Paolo Siniscalchi, Federico Cecconi e Carlo Re, gli avvocati che difendono John, Lapo e Ginevra Elkann.
Il prossimo passaggio formale sarà l’incidente probatorio richiesto dalla difesa degli indagati per estrarre i dati ritenuti rilavanti dai dispositivi elettronici sequestrati nel corso delle perquisizioni. La data dell’incidente probatorio non è stata ancora fissata.
È il 17 dicembre del 2013 quando scoppia la cosiddetta «tangentopoli del Bosforo». Un’ondata di arresti e perquisizioni nell’ambito di una maxi indagine per corruzione e riciclaggio che va a colpire politici e imprenditori fino a sfiorare l’allora primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Poche ore dopo, nell’ambito della stessa inchiesta, Erdogan viene intercettato mentre parla con il figlio Bilal: «Sto dicendo che il figlio di Muammar, il figlio di Zafer, […] le case di 18 persone sono sotto perquisizione nell’ambito di una grossa operazione sulla corruzione… Sto dicendo che qualunque cosa tu abbia in casa la porti via ok?». Bilal replica: «E cosa dovrei avere padre? I tuoi soldi sono nella cassaforte». «È proprio quello di cui sto parlando. Manderò tua sorella, ok?».
Parte da qui l’esposto che due anni dopo, il 18 ottobre del 2015, Murat Hakan Uzan presenta alla Procura di Bologna. L’uomo d’affari turco chiede ai magistrati italiani di accertare se Bilal Erdogan, all’epoca a Bologna per un master alla John Hopkins University, abbia sfruttato il periodo di studi per riciclare denaro di famiglia. Murat Uzan cerca una rivincita contro l’uomo che ritiene responsabile della rovina economica della sua famiglia. Nei primi anni 2000, la famiglia Uzan era una delle più potenti e ricche della Turchia. Una rete di 278 società con circa 40.000 dipendenti nei settori dell’energia, dei media, dell’edilizia. Poi nel 2002 il fratello di Murat, Cem Uzan, compie la scelta sbagliata: fonda un partito e si contrappone apertamente all’Akp di Erdogan. Alle elezioni del novembre di quell’anno, vinte dall’Akp, prende il 7,5% dei voti e per il futuro presidente turco gli Uzan e il loro partito sono «l’unico vero avversario». Quando, nei mesi successivi, Erdogan prende le redini del partito e diventa primo ministro, consuma la sua vendetta contro gli Uzan. Tra il 2003 e il 2004 le imprese degli Uzan vengono confiscate e 69 membri della famiglia portati a processo. Murat è inseguito da un mandato di cattura turco, si rifugia in Francia e ottiene lo status di rifugiato politico. Nell’esposto alla Procura di Bologna, l’uomo d’affari turco riepiloga anche tutta la vicenda familiare. Erdogan ha sempre detto che l’intercettazione con Bilal – come altre che lo chiamavano in causa nell’inchiesta – sia semplicemente falsa. Già poche settimane dopo sono iniziate le purghe nella polizia, nella magistratura, negli apparati dello Stato di tutte le figure viste come «nemiche» del futuro presidente.
Secondo gli oppositori del presidente turco, i soldi che Bilal avrebbe dovuto nascondere venivano dai traffici di famiglia con il petrolio. Nel 2015, quando Bilal torna a Bologna, è già il principale azionista di Bmz Group, che si occupa di commercio di petrolio via mare. In aeroporto si sarebbe presentato con un gruppo di guardie del corpo armate che, fermate dalle autorità italiane, avrebbero ottenuto un passaporto diplomatico turco a tempo di record. Secondo i servizi russi – in quel momento Erdogan e il Cremlino sono su fronti contrapposti per la guerra civile in Siria – proprio la Bmz sarebbe stata utilizzata per commercializzare petrolio dell’Isis, in violazione dell’embargo internazionale. La questione arriva anche alle istituzioni europee: nel dicembre del 2015 l’europarlamentare greco Georgios Epitideios (indipendente di estrema destra) chiede di sapere dalla Commissione se è vero che la Turchia stia «facilitando» il traffico di petrolio da parte dell’Isis e quali misure intende prendere la Ue. La replica arriva quattro mesi dopo da Federica Mogherini, all’epoca responsabile della Politica estera Ue. Si può riassumere in poche parole: i turchi si sono impegnati a rispettare le sanzioni e a combattere il terrorismo dello Stato islamico e noi ci fidiamo dei loro impegni.
La Bmz non è l’unica attività di famiglia nel settore del trasporto di petrolio. Nei documenti dei Paradise Papers compare ad esempio una oscura società dell’Isola di Man, Bumerz Limited. Nel 2008 la Bumerz aveva commissionato la costruzione di un tanker per il trasporto di prodotti petroliferi da 25 milioni di dollari. A finanziare la costruzione, un prestito di una banca lettone. Il rimborso del prestito è arrivato da due uomini d’affari vicini alla famiglia Erdogan: il miliardario turco-azero Mübariz Mansimov Gurbanoglu e Sitki Ayan, ritenuto dalla stampa turca indipendente una delle figure più vicine al clan Erdogan: è amico del presidente dai tempi del liceo e al clan Erdogan deve molto della sua fortuna. I documenti dei Paradise Papers svelano anche che la Bumerz e la sua petroliera sono in realtà degli Erdogan. L’amministratore è stato a lungo Ziya İlgen, marito della figlia di Erdogan. E la petroliera è in sostanza un «regalo» alla famiglia del presidente. Ayan compare anche nelle intercettazioni della tangentopoli del Bosforo. In una, in particolare, Erdogan dice sempre al figlio Bilal che «il signor Sitki» avrebbe dovuto pagare di più dei 10 milioni di dollari promessi. Nel dicembre del 2022, «il signor Sitki» è stato inserito nella lista delle sanzioni del Tesoro Usa. L’accusa è di aver facilitato, attraverso le sue società, il commercio di petrolio iraniano sotto embargo. Il principale beneficiario del traffico è la Quds Force, organizzazione paramilitare iraniana che secondo Usa e Unione europea finanzia a sua volta attività terroristiche anche fuori dall’Iran. Un commercio che Ayan non avrebbe potuto portare avanti senza il benestare di Erdogan e della quale probabilmente gli Usa erano a conoscenza da tempo. Ma proprio la sua vicinanza al presidente turco avrebbe spinto Washington alla prudenza.





