2023-03-28
L’ordine del padre: «Porta via tutto da casa»
Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
Le intercettazioni della tangentopoli del Bosforo. Gli affari col petrolio (anche dell’Isis) e la guerra ai rivali.È il 17 dicembre del 2013 quando scoppia la cosiddetta «tangentopoli del Bosforo». Un’ondata di arresti e perquisizioni nell’ambito di una maxi indagine per corruzione e riciclaggio che va a colpire politici e imprenditori fino a sfiorare l’allora primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Poche ore dopo, nell’ambito della stessa inchiesta, Erdogan viene intercettato mentre parla con il figlio Bilal: «Sto dicendo che il figlio di Muammar, il figlio di Zafer, […] le case di 18 persone sono sotto perquisizione nell’ambito di una grossa operazione sulla corruzione… Sto dicendo che qualunque cosa tu abbia in casa la porti via ok?». Bilal replica: «E cosa dovrei avere padre? I tuoi soldi sono nella cassaforte». «È proprio quello di cui sto parlando. Manderò tua sorella, ok?». Parte da qui l’esposto che due anni dopo, il 18 ottobre del 2015, Murat Hakan Uzan presenta alla Procura di Bologna. L’uomo d’affari turco chiede ai magistrati italiani di accertare se Bilal Erdogan, all’epoca a Bologna per un master alla John Hopkins University, abbia sfruttato il periodo di studi per riciclare denaro di famiglia. Murat Uzan cerca una rivincita contro l’uomo che ritiene responsabile della rovina economica della sua famiglia. Nei primi anni 2000, la famiglia Uzan era una delle più potenti e ricche della Turchia. Una rete di 278 società con circa 40.000 dipendenti nei settori dell’energia, dei media, dell’edilizia. Poi nel 2002 il fratello di Murat, Cem Uzan, compie la scelta sbagliata: fonda un partito e si contrappone apertamente all’Akp di Erdogan. Alle elezioni del novembre di quell’anno, vinte dall’Akp, prende il 7,5% dei voti e per il futuro presidente turco gli Uzan e il loro partito sono «l’unico vero avversario». Quando, nei mesi successivi, Erdogan prende le redini del partito e diventa primo ministro, consuma la sua vendetta contro gli Uzan. Tra il 2003 e il 2004 le imprese degli Uzan vengono confiscate e 69 membri della famiglia portati a processo. Murat è inseguito da un mandato di cattura turco, si rifugia in Francia e ottiene lo status di rifugiato politico. Nell’esposto alla Procura di Bologna, l’uomo d’affari turco riepiloga anche tutta la vicenda familiare. Erdogan ha sempre detto che l’intercettazione con Bilal – come altre che lo chiamavano in causa nell’inchiesta – sia semplicemente falsa. Già poche settimane dopo sono iniziate le purghe nella polizia, nella magistratura, negli apparati dello Stato di tutte le figure viste come «nemiche» del futuro presidente.Secondo gli oppositori del presidente turco, i soldi che Bilal avrebbe dovuto nascondere venivano dai traffici di famiglia con il petrolio. Nel 2015, quando Bilal torna a Bologna, è già il principale azionista di Bmz Group, che si occupa di commercio di petrolio via mare. In aeroporto si sarebbe presentato con un gruppo di guardie del corpo armate che, fermate dalle autorità italiane, avrebbero ottenuto un passaporto diplomatico turco a tempo di record. Secondo i servizi russi – in quel momento Erdogan e il Cremlino sono su fronti contrapposti per la guerra civile in Siria – proprio la Bmz sarebbe stata utilizzata per commercializzare petrolio dell’Isis, in violazione dell’embargo internazionale. La questione arriva anche alle istituzioni europee: nel dicembre del 2015 l’europarlamentare greco Georgios Epitideios (indipendente di estrema destra) chiede di sapere dalla Commissione se è vero che la Turchia stia «facilitando» il traffico di petrolio da parte dell’Isis e quali misure intende prendere la Ue. La replica arriva quattro mesi dopo da Federica Mogherini, all’epoca responsabile della Politica estera Ue. Si può riassumere in poche parole: i turchi si sono impegnati a rispettare le sanzioni e a combattere il terrorismo dello Stato islamico e noi ci fidiamo dei loro impegni.La Bmz non è l’unica attività di famiglia nel settore del trasporto di petrolio. Nei documenti dei Paradise Papers compare ad esempio una oscura società dell’Isola di Man, Bumerz Limited. Nel 2008 la Bumerz aveva commissionato la costruzione di un tanker per il trasporto di prodotti petroliferi da 25 milioni di dollari. A finanziare la costruzione, un prestito di una banca lettone. Il rimborso del prestito è arrivato da due uomini d’affari vicini alla famiglia Erdogan: il miliardario turco-azero Mübariz Mansimov Gurbanoglu e Sitki Ayan, ritenuto dalla stampa turca indipendente una delle figure più vicine al clan Erdogan: è amico del presidente dai tempi del liceo e al clan Erdogan deve molto della sua fortuna. I documenti dei Paradise Papers svelano anche che la Bumerz e la sua petroliera sono in realtà degli Erdogan. L’amministratore è stato a lungo Ziya İlgen, marito della figlia di Erdogan. E la petroliera è in sostanza un «regalo» alla famiglia del presidente. Ayan compare anche nelle intercettazioni della tangentopoli del Bosforo. In una, in particolare, Erdogan dice sempre al figlio Bilal che «il signor Sitki» avrebbe dovuto pagare di più dei 10 milioni di dollari promessi. Nel dicembre del 2022, «il signor Sitki» è stato inserito nella lista delle sanzioni del Tesoro Usa. L’accusa è di aver facilitato, attraverso le sue società, il commercio di petrolio iraniano sotto embargo. Il principale beneficiario del traffico è la Quds Force, organizzazione paramilitare iraniana che secondo Usa e Unione europea finanzia a sua volta attività terroristiche anche fuori dall’Iran. Un commercio che Ayan non avrebbe potuto portare avanti senza il benestare di Erdogan e della quale probabilmente gli Usa erano a conoscenza da tempo. Ma proprio la sua vicinanza al presidente turco avrebbe spinto Washington alla prudenza.