2023-02-26
«Dal Qatar soldi all’uomo della Camusso»
Antonio Panzeri (Getty Images)
Il pentito Antonio Panzeri tira in ballo l’ex leader Cgil: organizzai un incontro tra lei e gli arabi e dopo consegnai al suo collaboratore 50.000 euro. Accuse anche a Lara Comi su una borsa di contanti: «Gettai il denaro nella spazzatura per paura quando fu arrestata».Panzeri files, nuova puntata. Escono a rate le rivelazioni dell’ex europarlamentare, bandiera della sinistra lombarda, protagonista principale del Qatargate che continua ad allungare la sua ombra sulla credibilità delle istituzioni europee. Questa volta il palcoscenico è tutto femminile: nelle migliaia di pagine degli interrogatori di Antonio Panzeri, in carcere da due mesi e mezzo, compaiono Susanna Camusso, senatrice del Pd, e Lara Comi, eurodeputata di Forza Italia, a conferma di una tentacolare vicenda che sembra ramificarsi in ogni corridoio e ufficio del palazzo simbolo dell’Unione. Le interessate smentiscono con decisione.In attesa di approfondire la portata giudiziaria di certe rivelazioni, negli interrogatori guidati dai pm di Bruxelles, Michael Claise e Raphael Malagnini, spuntano altre valigette di denaro, altre promesse elettorali, altri incontri dai contorni sfumati. Dell’ex segretaria Cgil Camusso, Panzeri parla a proposito della volontà dei qatarioti di comprare il consenso dei sindacati internazionali nei confronti di un un Paese in cui i diritti umani erano stati principalmente violati proprio durante la costruzione degli stadi per i campionati del mondo di calcio. Secondo la ricostruzione dei quotidiani Le Soir e Knack, nel 2018 il dignitario Ali bin Samikh Al Marri (allora presidente della Commissione per i diritti umani) riteneva che Camusso potesse essere la candidata ideale per guidare il sindacato mondiale (Ituc) dopo avere sconfitto il rivale Sharan Barrow. Calcolo rivelatosi errato. Panzeri spiega così l’abboccamento: «Eravamo Giorgi, Al Marri, il suo braccio destro algerino Boudjellal e io. Mi è stato chiesto chi fosse l’italiana candidata. Dissi che conoscevo Camusso perché eravamo stati nello stesso sindacato (erano entrambi totem della Cgil, ndr ). Mi dicono che l’avrebbero incontrata volentieri e l’avrebbero aiutata. Ho parlato con lei a Milano e mi ha detto di essere disponibile per questo incontro, che si è tenuto poche settimane dopo. Non si parlava di soldi ma di aiuti ai sindacati africani e al medio Oriente». Prosegue Panzeri: «In precedenza, avevamo individuato una cifra di 600.000 euro […] che mi sono stati dati dall’algerino in una borsa e sono una buona parte dei soldi trovati nella mia casa. Poi ho saputo che bastavano solo 50.000». Secondo la ricostruzione del principale accusato, quel denaro sarebbe stato consegnato all’assistente della Camusso, secondo la ricostruzione dei quotidiani belgi. All’interno del capitolo, Panzeri avrebbe chiuso così la deposizione: «Mi restavano quindi 500.000 che ho tenuto».Interpellata dopo il coinvolgimento nelle carte della Procura, Camusso ha replicato: «Non mi è stato chiesto di supportare il Qatar in nessun modo, né si è parlato mai di denaro. So che alcune donazioni sono state ricevute da altri sindacati per le organizzazioni più povere. Non ero coinvolta direttamente e non conosco i dettagli». Per la cronaca, l’ex leader del sindacato rosso era stata una delle prime a indignarsi quando scoppiò lo scandalo. Parlò di «sconcerto e rabbia», evocò «la perdita della credibilità delle istituzioni europee». Mostrò accenni di autentica sorpresa che alla luce della ricostruzione di Panzeri va valutata con una certa diffidenza.Camusso sembrava cadere dalle nuvole quando dichiarava (16 dicembre scorso): «Vivo un momento di grande sconcerto e di grande rabbia. Non avrei mai immaginato che si potessero accostare diritti umani e ipotesi di grave corruzione». Poi una tirata da convegno in un centro studi sindacale: «Quello che emerge dall’inchiesta belga è un’altra picconata alle istituzioni e alla loro credibilità. Ed è una picconata alla sinistra. Resto fermamente convinta che la sinistra debba utilizzare il potere come leva e strumento per cambiare l’esistente. Il potere non è un fine e non è un aggiustare le cose per se stessi. Occorre reagire da subito cominciando a cambiare le leggi sul lobbismo».In una sorta di ecumenismo politico, Panzeri fa anche il nome di Lara Comi. Si legge nei report degli interrogatori pubblicato dai quotidiani belgi: «Nel 2019 lei mi ha chiamato chiedendo un favore, se potevo ritirare una borsa dal suo appartamento a Bruxelles e metterla da parte». L’ex colonnello di Pd e Sinistra italiana, allora titolare della Ong Fight Impunity (poi chiusa dalla commercialista Monica Bellini ora ai domiciliari) racconta di aver chiesto all’assistente Giuseppe Meroni di ritirare la borsa. Quando Comi venne coinvolta nell’inchiesta «Mensa dei poveri» (fu arrestata a Milano nel 2019), Panzeri si allarmò. «Sono andato da Meroni e abbiamo aperto la borsa. Ho visto dei vestiti e dei libri vuoti all’interno, con contanti tra 60 e 70.000 euro, non li ho contati. Quindi ho preso tutto, ho deciso di buttare via i soldi nella spazzatura. Meroni ha visto i soldi ma non ha preso niente».Tempo dopo Panzeri avrebbe parlato con Comi «e le ho detto che i soldi non c’erano più». Una storia con buchi enormi, un puzzle che i pm sono chiamati a comporre. Gian Piero Biancolella, legale di Lara Comi, ha dichiarato: «La mia assistita non ha mai accettato finanziamenti illeciti per la campagna 2019». Dalla Procura di Bruxelles trapela il sospetto che si tratti di un tentativo di Panzeri, l’uomo al centro dell’inchiesta, «di smontare l’idea che fosse il grande capo dello smistamento».