2020-01-14
Putin stringe con Haftar e Al Serraj. La crisi libica si risolve al Cremlino
L'accordo per cessare le ostilità, nonostante le ultime rivendicazioni del leader della Cirenaica, è vicinissimo Mosca ha usato Ankara come sponda e acquisito la leadership nell'area. All'Ue non resta che ratificare i patti.Nel giorno in cui la crisi libica è giunta a una svolta in Russia, il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio erano rispettivamente in Turchia e Tunisia. L'avvocato del popolo per una foto ricordo con Erdogan, il capo del M5s per «coinvolgere tutti, anche Algeria e Marocco».Lo speciale contiene due articoli È ormai sempre più chiara la centralità della Russia nel complicatissimo dossier libico. A testimoniare questo stato di cose è il fatto stesso che ieri Fayez al Serraj e Khalifa Haftar si siano recati a Mosca per siglare un accordo. È vero che la firma dell'intesa alla fine è saltata. Ma attenzione: non si tratta - per il momento - di un naufragio totale. Come ha dichiarato infatti il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, sarebbe stato il generale della Cirenaica a chiedere qualche ora in più per esaminare la questione. Il diplomatico del Cremlino ha inoltre voluto sottolineare come vi siano stati buoni progressi nei negoziati. Il ruolo cardine di Mosca nella vicenda libica continua quindi a rivelarsi fuori discussione. Non solo - a livello generale - il presidente russo Vladimir Putin ha condotto gran parte della mediazione, riuscendo, almeno per ora, a frenare l'escalation militare sul campo. Ma, più nello specifico, i punti dell'intesa che i due contendenti libici dovrebbero sottoscrivere sembrano favorire - non poco - proprio la Russia. Secondo quanto riportato ieri da Al Arabiya, l'accordo prevedrebbe - tra le altre cose - che la Turchia blocchi l'invio delle proprie truppe sul territorio libico e che il cessate il fuoco venga sottoposto alla supervisione della Russia e delle Nazioni Unite. Ne conseguono alcuni risvolti interessanti. In primo luogo, si va delineando sempre di più il fatto che sul dossier libico sia Mosca, e non Ankara, a dettare realmente la linea. Da un lato Putin pare poter spingere Recep Tayyip Erdogan a riconsiderare il dispiegamento di soldati turchi in loco, dall'altro non bisogna trascurare che - a livello geopolitico - Russia e Turchia hanno avviato un processo di profondo avvicinamento almeno dal 2017. Il rapporto si è del resto progressivamente cementato in più di un'occasione. Innanzitutto Mosca ha venduto ad Ankara il sistema missilistico S-400, iniziando così lentamente a sganciare Erdogan dall'orbita della Nato. Inoltre non va trascurata la stretta cooperazione, avvenuta tra «Zar» e «Sultano» in autunno, sul complesso scacchiere siriano. Infine va rilevato che Ankara dipende - e non poco - da Mosca in termini energetici. Tutto questo fa dunque supporre che, nonostante siano ufficialmente schierate in Libia su fronti contrapposti, le due potenze puntino in realtà (sin dal principio) a una spartizione dell'area. In tale scenario è tuttavia il Cremlino a condurre le danze. Certo è pur vero che - secondo alcune fonti - i mercenari russi del Wagner Group si starebbero ritirando dal fronte meridionale di Tripoli. Ma è altrettanto indubbio che, nelle ultime settimane, l'influenza di Putin sulla regione sia significativamente aumentata grazie a costoro. E questo graduale ritiro potrebbe significare che il leader russo si sente ormai vicino a conseguire il risultato. In secondo luogo, un altro aspetto da sottolineare è che la supervisione della tregua sarebbe affidata congiuntamente a Russia e Nazioni Unite. Uno scenario che, se rappresenta un colpo per il Palazzo di Vetro, costituisce invece un risultato di prim'ordine per il Cremlino, che assume nei fatti una posizione fondamentalmente paritetica rispetto all'Onu. Quello stesso Onu, per intenderci, che ha sempre puntato su Serraj e che adesso si ritrova a dover accettare Haftar come interlocutore, oltre all'ingombrante presenza dello stesso Putin. Una presenza che produrrà probabilmente i suoi effetti anche nella conferenza di Berlino sulla Libia che - secondo informazioni ufficiose diffuse dalla Germania - dovrebbe tenersi il prossimo 19 gennaio. Sotto questo aspetto, è probabile che il leader russo auspichi al più presto la formalizzazione dell'intesa tra Serraj ed Haftar, con l'obiettivo di mettere così in secondo piano il vertice tedesco: il consesso sarebbe sostanzialmente chiamato a ratificare accordi già stretti a Mosca. La strategia libica di Putin, insomma, pare al momento funzionare. Estendere la propria influenza geopolitica su quel territorio consente infatti al presidente russo di consolidare ulteriormente un'ambizione: quella di diventare il nuovo punto di riferimento nello scacchiere mediorientale e in parte di quello nordafricano. Un ruolo che la stessa amministrazione di Donald Trump ha cominciato - sottotraccia - a riconoscergli già dai tempi della crisi siriana. Non sarà un caso, in quest'ottica, che la Casa Bianca appaia particolarmente «distratta» sul dossier libico. È vero che il presidente americano ha sentito telefonicamente la cancelliera tedesca, Angela Merkel, nelle scorse ore sulla questione. Ma è altrettanto indubbio che Trump - attualmente alle prese con lo spinosissimo caso iraniano - non abbia troppa voglia di interessarsi a quello che considera poco più di un pantano, senza eccessivi significati strategici per gli States. Anzi, esattamente come sta accadendo per il Medio Oriente, è plausibile che Washington veda alla fin fine quasi di buon occhio l'iperattivismo libico di Putin: il peso politico e militare del Cremlino - secondo gli analisti degli Usa - sarebbe in grado di condurre alla stabilità regionale che le nazioni europee (Italia in testa) non sono state finora capaci di favorire. Combinando armi e diplomazia, il presidente russo sta quindi riuscendo a consolidare la propria influenza nell'area mediterranea e mediorientale. E adesso scommette tutto sulla possibilità risolvere il caos libico, scoppiato dopo l'intervento bellico del 2011. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/putin-stringe-con-haftar-e-al-serraj-la-crisi-libica-si-risolve-al-cremlino-2644743065.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-e-di-maio-in-tour-nei-paesi-sbagliati" data-post-id="2644743065" data-published-at="1757623079" data-use-pagination="False"> Conte e Di Maio in tour nei Paesi sbagliati La pax russo-turca, nonostante alcuni intoppi, sta prendendo forma in Libia. Determina la centralità di Mosca e Ankara nel controllo di migranti e petrolio, coi quali influenzare l'Unione europea. Alle nazioni del Vecchio continente non rimane che spartirsi le briciole, a partire dalla conferenza di Berlino che si dovrebbe tenere - salvo ennesimo rinvio - domenica prossima. Alla Germania della cancelliera Angela Merkel non resta quindi che organizzare l'evento nella capitale, un modo per rafforzare i legami con Mosca: basti pensare che ieri il quotidiano Süddeutsche Zeitung commentava gli ultimi sviluppi della crisi in Libia scrivendo che, nonostante la Russia abbia aggravato il conflitto schierandosi al fianco del generale Khalifa Haftar e del suo autoproclamato Esercito nazionale libico contro il governo di accordo nazionale di Tripoli, una stabilizzazione del Paese è possibile «soltanto» grazie al presidente russo Vladimir Putin. E l'Italia? Al premier Giuseppe Conte e al suo portavoce Rocco Casalino non rimane che tentare di attribuirsi qualche merito per l'intesa. Basta però riflettere sul luogo della firma dell'accordo per capire come l'Italia sia ormai soltanto sullo sfondo dello scenario libico. Il patto tra Fayez Al Serraj e Khalifa Haftar ha visto la luce a Mosca, dopo che mercoledì scorso a Roma era andata in scena la figuraccia internazionale: il premier, dopo essersi fatto fotografare con il generale aggressore di un governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, veniva ignorato dal capo dell'esecutivo libico che, indispettito, sceglieva di disertare la visita a Roma. Soltanto il lavoro dei nostri servizi segreti e dell'ambasciata italiana a Tripoli è riuscito a ricucire lo strappo e a portare Serraj nella capitale (sabato) per un incontro con il premier Conte. Per comprendere le dimensioni di quella gaffe è sufficiente riflettere sul fatto che perfino ieri a Mosca, durante la firma, è saltato il faccia a faccia tra Serraj e Haftar. Secondo quanto riferito, infatti, ad Al Arabiya dal capo dell'Alto consiglio di Stato, Khaled Al Mishri, il premier tripolino ha rifiutato il colloquio diretto con l'uomo forte della Cirenaica e che accetta di negoziare solo con «russi e turchi». Nel giorno della firma il premier Conte era nella capitale sbagliata, cioè ad Ankara, per incontrare il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. «Abbiamo condiviso con Erdogan l'urgente necessità di porre fine all'escalation sul terreno libico per garantire un cessate il fuoco duraturo», ha affermato Conte, aggiungendo che «il percorso deve essere condotto sotto l'egida delle Nazioni Unite» e che queste cose saranno discusse a Berlino il prossimo weekend. Secondo il premier l'Italia può avere un ruolo chiave: «Vogliamo usare l'influenza per indirizzare il processo verso autonomia e indipendenza del popolo libico», ha spiegato. Poi ha tentato di difendere il suo operato dichiarando, a margine dell'incontro con Erdogan, che il ruolo o la credibilità di un Paese «non si misura su singoli episodi». Sulla Libia non vi è «una rincorsa a chi fa prima e di più», bisogna lavorare «tutti nella medesima direzione, altrimenti non si va da nessuna parte». Ma è stato sufficiente ascoltare i continui riferimenti a quanto stava accadendo a Mosca per rendersi conto che Conte, che oggi si recherà anche in Egitto per vedere il presidente Abdel Fattah Al Sisi (sostenitore di Haftar), era a parlare di Libia nella capitale sbagliata. Sempre ieri, il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, era a Tunisi, tappa di una sorta di tour che dovrebbe dimostrare che il nostro Paese sulla questione mediterranea è sempre sul pezzo. Il numero uno della Farnesina, che ha aperto a una missione Onu nella nostra cosiddetta «Quarta sponda», si è incontrato con il presidente tunisino Kais Said, in un colloquio piuttosto breve di 45 minuti: «Abbiamo affrontato vari temi tra cui ovviamente la Libia», ha detto alla televisione di Stato tunisina al termine dell'incontro. «Come Italia riteniamo sia importante coinvolgere la Tunisia e i Paesi limitrofi alla conferenza di Berlino. Non ci può essere una soluzione concreta e duratura senza il coinvolgimento di stati vicini alla Libia, così come l'Algeria e il Marocco. È insieme che bisogna lavorare verso un nuovo approccio, che coinvolga tutti al tavolo del dialogo». All'elenco di chi invoca, come Conte e Di Maio, una non ben specifica soluzione europea - che pare quantomeno fuori tempo massimo - si è aggiunto Romano Prodi. Intervistato da Quarta Repubblica su Rete 4, ha sostenuto che «se Francia e Italia si mettessero d'accordo, gli altri Paesi europei seguirebbero e noi avremmo voce in capitolo». L'ex premier riconosce che la Libia è a due passi ma l'Europa «non comanda nulla» ma sembra peccare di ottimismo, visto che nessuno nel Vecchio continente, a differenza di Mosca e Ankara, sembra deciso a «morire» per la Libia. Cioè a inviarci dei soldati.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».