
Romano Prodi si sveglia e indica i nemici della democrazia: Giorgia Meloni e il diritto di veto nell’Ue.In preda a un attacco di sindrome di Kronos, Romano Prodi ne ha per tutti non rendendosi conto che più parla male dell’Europa più parla male di sé stesso: lui è uno dei principali autori dell’errore continentale. Il Professore parla malissimo di Ursula von der Leyen, definita una «leader barometrica che cambia idea secondo i venti e le pressioni» e di Elly Schlein - a cui non concede neppure l’onore di essere nominata - affermando: «Al centrosinistra per fermare la deriva autoritaria in Italia basterebbe esistere». E se esistesse - pare sentenziare Mr Mortadella - potrebbe scalzare il governo, perché «il malcontento è crescente». I suoi non devono averlo informato che al Meeting di Rimini - area cattolica - Giorgia Meloni è stata accolta con un’ovazione da stadio. A Claudio Tito, che lo ha intervistato su Repubblica, il fu presidente del Consiglio e prima ancora della Commissione Ue detta una livorosa pagina e mezzo di problemi, ma neppure una mezza soluzione se non quella di far secca la democrazia che al vertice di Bruxelles già non sta simpaticissima. La ragione è semplice: Prodi fa parte del problema come Mario Draghi, che egualmente ha tuonato contro l’Ue, e non possono avere soluzioni. Sostiene però profetico che «adagio adagio si assiste al cedimento delle democrazie, mentre l’avvicinamento dei grandi poteri sta portando al trilateralismo Cina, Stati Uniti, Russia. C’è una tendenza all’accordo tra autoritarismi». Verrebbe da dire che il Professore, grazie ai buoni uffici degli Agnelli, a cui mai ha negato un favore sia da presidente dell’Iri che da Palazzo Chigi: si pensi al gentile cadeau prima dell’Alfa Romeo e poi della Telecom fatto ai torinesi, da anni ha una lucrosa cattedra a Pechino e che è stato lui ad aprire le porte del Wto alla Cina, ma sono pettegolezzi a livello portineria. Questo eccelso candidato al premio Bocca di Rosa (dare buoni consigli quando non si può più dare cattivo esempio) sostiene che l’autoritarismo c’è anche in Italia: «Con la strategia di non permettersi mai di fare un torto agli Stati Uniti; l’assoluzione da ogni peccato viene dal giudizio di Dio che è dato da Trump». Ecco la domanda leninista: che fare? Per contrastare l’autoritarismo togliamo democrazia. «Con l’unanimità», dice Prodi, «l’Europa è bloccata». E allora via il diritto di veto perché, per esempio, «l’Europa dovrebbe riconoscere la Palestina, ma non è in grado di decidere nulla. Finché non finisce l’unanimità non si esiste. È il suicidio dell’Europa». Arriva la «mandrakata»: «Facciamo un grande referendum informale e chiediamo alle persone: volete un’Europa in grado di decidere? Volete togliere l’unanimità che è nemica della democrazia? Di fronte alle grandi scelte, la passione per l’Europa ritorna perché si fa politica solo se si affrontano i veri problemi. Bisogna scegliere di decidere, oppure andare a casa e fare dell’Unione europea un semplice trattato commerciale». Come mai allora Prodi non fece il referendum per chiedere agli italiani se volevano entrare nell’euro? All’economista alla bolognese sfugge che se ci siamo impiccati al Patto di stabilità, se abbiamo visto erodere (unici in Europa) i nostri redditi mentre tutti gli altri crescevano per fare un piacere alla Germania, se abbiamo svenduto la capacità industriale dell’Italia per arrivare a questa conclusione il risultato del referendum è scontato: via dall’Europa. Perché quella che lui vuole è l’Europa a due velocità; quella dove contano solo Francia e Germania (oggi sono quelli messi peggio) perché l’idea del vincolo esterno è dura a morire. È l’Europa dei «volenterosi» che devono riconvocare anche la Gran Bretagna per illudersi di contare. È l’Ue «spettatrice» davanti a Trump che però lui ha contribuito a costruire. Perciò ciancia ancora di «difesa comune» - affidandosi ai non europei britannici? -, di politica estera comune. «Dobbiamo fare politica», ammonisce Prodi, «altrimenti restiamo vassalli». Ma è lui che ha fatto dell’Italia il vassallo di questa Europa.
Avenue Magazine © Fadil Berisha
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