2025-10-26
Grasso si autoassolve: «Nessuna notizia del guanto marrone». Ma era nel fascicolo
L’ex capo del Senato, all’epoca pm dell’inchiesta, nega che la «prova regina» fosse agli atti. Le carte dicono il contrario.Con la riapertura dell’inchiesta per l’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello del presidente della Repubblica Sergio, è tornato alla ribalta un mondo che sembrava scomparso, soprattutto dopo la caduta in disgrazia di uno dei numi tutelari del circolino, quel Giuseppe Pignatone oggi accusato di rapporti opachi con personaggi in odore di mafia. Sono tornate sugli scudi storiche firme della cronaca giudiziaria, per mesi afflitte dalla sindrome del foglio bianco di fronte alle succitate disgrazie. Venerdì, alcuni di questi corazzieri dattilografi, hanno ritrovato lo sprint d’inizio carriera e anticipato online la notizia dell’arresto di un ex prefetto accusato di depistaggio proprio nell’ambito del nuovo cold case, riaperto con la comprensibile benedizione del Quirinale.Ma al revival dei bei tempi (giudiziari) andati si è unito a colpi di interviste il presidente-onorevole-senatore-direttore-dottore-procuratore Pietro Grasso, detto Piero, l’uomo che, tra i vari meriti, ha quello indiscutibile di avere rilanciato, un paio di lustri orsono, come proprio braccio destro, Pignatone, il quale, all’epoca, era da poco stato prosciolto da un’accusa di corruzione collegata all’acquisto di una casa da una società di proprietà di tre mafiosi. Una brutta storia ritornata d’attualità grazie alla pervicacia della Procura di Caltanissetta.Ma torniamo a Pietro detto Piero. Nelle ultime ore si è ripreso la ribalta mediatica con la riapertura dell’inchiesta sull’omicidio di Mattarella, avvenuto il 6 gennaio 1980.A dare il via alle danze è stato l’arresto dell’ex funzionario di polizia Filippo Piritore («un uccello del malaugurio» per la consorte) per un presunto depistaggio, contestato a seguito delle dichiarazioni rilasciate dall’ex prefetto il 17 settembre 2024. Una ricostruzione a cui la Procura di Palermo e il presidente aggiunto dell’ufficio gip, Antonella Consiglio (segnalata nel 2017 proprio da Pignatone all’allora consigliere del Csm Luca Palamara), non hanno dato il minimo credito, anche perché hanno ritenuto molto più plausibile la versione dell’allora pm Grasso.Per giudice e inquirenti è impossibile che la presunta «prova regina» a carico degli assassini di Mattarella, un guanto di pelle marrone, sia stato richiesto da Grasso e poi sia stato da lui restituito alla Scientifica come sostenuto da Piritore e negato dall’ex presidente del Senato.Come detto, la magistratura non ha avuto dubbi su chi fosse tra i due il più credibile, anche perché pure altri testimoni hanno smentito i ricordi (labili) dell’ex poliziotto che, in un’intercettazione, ha posto alla moglie questo condivisibile quesito: «Ma come c... è possibile ricordarsi le cose dopo 40 anni?».Grasso, invece, come abbiamo raccontato ieri, ha dichiarato: «Nulla ho mai saputo del ritrovamento di un guanto sull’autovettura utilizzata dagli autori dell’omicidio e che lo stesso è stato disconosciuto come proprio dal proprietario della 127. Apprendo solo ora questa circostanza. Escludo, quindi, di avere ricevuto per la convalida un verbale di sequestro del guanto». Una posizione ribadita, ieri, su Repubblica: «In quei giorni, fecero di tutto per fermarci e per impedirci di arrivare alla verità», ha assicurato l’ex magistrato. Che ha sfoderato pure un aneddoto: «Non fui neanche avvertito dalla polizia. Seppi dell’omicidio di Piersanti Mattarella dal telegiornale delle 13. Chiamai subito il medico legale, il dottore Verde, che passò a prendermi con la sua auto».Nell’articolo sono entrati i presunti depistaggi e omissioni che hanno accompagnato per decenni l’inchiesta, un elenco di errori e orrori che sono stati riassunti anche nell’ordinanza di arresto del funzionario. Grasso assicura all’intervistatore di non avere mai conosciuto Piritore. E quando gli viene chiesto di commentare l’arresto dell’uomo, l’ex presidente del Senato spiega di non poter entrare nei dettagli, anche se poi qualcosa si fa scappare: «In questa storia sono un testimone, devo dunque tenere un doveroso riserbo per rispetto alle indagini fatte dalla Procura di Palermo […]. Però una cosa va detta chiaramente: non c’era alcuna traccia di quel guanto perso dal killer negli atti che furono messi a disposizione dei magistrati titolari delle indagini. Ovvero, io, il procuratore Costa, e poi successivamente il consigliere Chinnici e Giovanni Falcone».Per il momento l’unico sospettato è un settantacinquenne, indagato per depistaggio, senza, chissà perché, aggravante mafiosa, il quale, sentito dai pm di Palermo in assenza di un avvocato il 17 settembre 2024, avrebbe mentito per sottrarsi a eventuali responsabilità penali derivanti dalla sparizione della «prova regina» (parola di gip) del delitto di Mattarella.Resta incomprensibile come un solo uomo sia riuscito per oltre 40 anni a nascondere a tutti i magistrati di Palermo l’esistenza del guanto, nonostante della rilevanza di quel ritrovamento fosse stato informato persino il ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, che ne parlò non a qualche amico, ma in un intervento pubblico in Senato l’8 gennaio 1980, due giorni dopo l’omicidio: «Sulla 127 usata dai killer è stato trovato un guanto, unico oggetto che potrebbe appartenere ai criminali», disse.A informarlo è facile immaginare che sia stato un qualche dirigente di polizia, anche se oggi proprio un ex funzionario della Squadra mobile è accusato di depistaggio.Lo stesso 8 gennaio 1980 un giornalista, Daniele Billitteri, sul Giornale di Sicilia, fece riferimento al rinvenimento di «un paio di guanti» all’interno dell’auto utilizzata dagli assassini.Billitteri, sentito in Procura il 3 dicembre 2024, ha affermato che, all’epoca dell’omicidio Mattarella, «intratteneva rapporti strettissimi con la Squadra mobile di Palermo presso cui era “di casa”; pertanto, pur non ricordando chi, nello specifico, gli diede la notizia, ha sottolineato di averla appresa certamente dalla Squadra mobile, così confermando che la stessa, già all’indomani dell’omicidio, era consapevole di essere in possesso di un bene riconducibile al killer del presidente della Regione».Dunque, già l’8 gennaio 1980, uno o più rappresentanti della polizia non identificati avevano fatto sapere a un ministro e a un giornalista che esisteva un elemento importante per individuare gli assassini di Piersanti Mattarella. Ma un funzionario sarebbe riuscito a mettere tutto a tacere.Di certo, nonostante le uscite di Rognoni e di Billitteri, in Procura non si accorsero di nulla e, oggi, Grasso, sostiene che negli atti non vi fosse alcun richiamo al guanto. Ma ciò che afferma appare smentito da quanto si legge nella stessa ordinanza cautelare emessa nei confronti del pensionato Piritore. L’ex pm titolare dell’indagine, poi promosso dal Csm procuratore di Palermo, quindi procuratore nazionale Antimafia e, infine, dopo il pensionamento da magistrato, eletto in Parlamento nelle file del Partito democratico, dove è assurto alla carica di presidente del Senato, sembra essersi dimenticato che il guanto di pelle colore marrone è immortalato in un’immagine contenuta nell’informativa redatta dalla Polizia scientifica di Palermo lo stesso 6 gennaio 1980 e inserita nel fascicolo delle indagini a disposizione dell’autorità giudiziaria. Si legge in proposito, a pagina 13 dell’ordinanza, che «il guanto di pelle marrone dimenticato dall’assassino a bordo della Fiat 127 è ritratto in una delle fotografie del fascicolo di rilievi tecnici compiuti quello stesso 6 gennaio 1980 dal gabinetto regionale della Polizia scientifica di Palermo nel corso del sopralluogo svolto nell’immediatezza del ritrovamento dell’autovettura usata dai killer». Al «fascicolo» contenente gli scatti si accompagna, però, anche una «relazione» redatta dalla stessa Scientifica e relativa (pagina 14 dell’ordinanza) al «sopralluogo svolto sulla Fiat 127». Da questo documento, secondo il gip, «emerge che, all’interno dell’autovettura, vennero ritrovati un pantalone di colore verde, un bottone nero, due frammenti del quotidiano l’Ora e un guanto di mano destra in pelle di colore scuro marrone antistante al sedile anteriore destro». I poliziotti avrebbero anche aggiunto che «tale materiale doveva essere “repertato a cura del personale dell’Ufficio richiedente presente al sopralluogo, cioè la Squadra mobile di Palermo”». Sempre a pagina 14 viene citata una «nota dattiloscritta […] priva di intestazione, data e firma, contenente la mera elencazione degli oggetti rinvenuti sia all’interno della Fiat 132 dell’onorevole Mattarella sia della Fiat 127, in cui si fa menzione del «guanto di mano destra, in pelle di colore scuro marrone antistante al sedile anteriore destro». Pure tale nota sarebbe stata «inserita tra le pagine del “Processo verbale di descrizione e di identificazione di cadavere” del 6 gennaio 1980, a firma del dottor Grasso, del professor Paolo Giaccone e del dottor Alfonso Verde (due medici legali, ndr)». A pagina 18 dell’ordinanza si legge che presso i «fascicoli interni» della Polizia sono state rinvenute altre annotazioni nelle quali si parla del guanto e che, però, non sarebbero «mai transitate agli atti del procedimento penale». Un’asserzione che pare confermare che il fascicolo fotografico e la relazione della Scientifica erano, invece, «transitate» nel fascicolo a disposizione di Grasso, al pari della nota anonima, con l’elenco degli oggetti rinvenuti nell’auto, allegata al «processo verbale» firmato dallo stesso ex presidente del Senato. In base a tali documenti, quindi, risulta abbastanza chiaro che il giovane pm Grasso avesse sul proprio tavolo carte a sufficienza per essere edotto, fin dall’inizio dell’indagine, del ritrovamento del guanto sulla Fiat 127.Un dato che era a conoscenza anche dei pubblici ministeri Guido Lo Forte e Pignatone e del giudice istruttore Gioacchino Natoli (oggi indagato insieme con l’ex procuratore di Roma per un presunto favoreggiamento della mafia), ovvero i magistrati che hanno istruito alla fine degli anni Ottanta il processo sui cosiddetti «delitti politici» Mattarella, Michele Reina e Pio La Torre, poiché, come scrive lo stesso gip Consiglio, era stata depositata agli atti della Corte d’Assise la sopracitata nota dattiloscritta in cui si faceva riferimento al guanto marrone.Ma le toghe che si sono succedute nella gestione dell’inchiesta non sembrano essersene accorte. Salvo gridare al complotto 45 anni dopo.