2025-10-26
Massimo Nicolazzi: «La Cina teme più il dollaro che le sanzioni»
Massimo Nicolazzi (Imagoeconomica)
Il docente e manager spiega perché Xi e Modi sono pronti a ridurre l’import di greggio da Mosca: «Il 70% dell’export dell’area asiatica è fatturato in valuta americana. Di fatto Trump può sottrarre agli operatori commerciali e alle banche la possibilità di operare».Professor Massimo Nicolazzi da esperto di idrocarburi in quanto manager e docente, la domanda è semplice e non avrà difficoltà a rispondermi. Cina e India smetteranno davvero di acquistare il petrolio russo e, se sì, in quale misura?«Il tema non è se Cina o India assumeranno atteggiamenti allineati al desiderio americano. Il tema vero è che la potenza americana si chiama dollaro. Non petrolio. Attraverso le cosiddette sanzioni secondarie, gli Stati Uniti si arrogano il diritto di sanzionare le istituzioni finanziarie non americane che in qualche modo facilitano o partecipano a business sanzionati o vi provvedono un qualunque servizio. Che tradotto vuol dire che gli Stati Uniti controllano centralmente tutte le transazioni mondiali in dollari. Il 70% di quanto esportato dall’area asiatica è fatturato in dollari. Di fatto Trump può vietare agli operatori commerciali e alle banche la possibilità di operare in dollari. Dal punto di vista di una banca significa “domani chiudo”».Ha risposto in anticipo alla domanda che le avrei fatto. Come ha fatto Trump a convincere Cina e India? Trump ha detto che parlerà di Ucraina con Xi nel bilaterale Usa Cina. Ma a loro serve il petrolio.«Ma serve anche la banca che fa la lettera di credito a chi importa».Quindi Trump non mette fuori gioco soltanto chi compra petrolio, ma il sistema bancario e finanziario cinese e indiano?«Vorrà dire mondiale. Io ho avuto un’esperienza di sanzioni Ofac, nella mia vita professionale, e le posso dire che sta partendo un problema di compliance bancaria che nel dubbio diventa over compliance».Le banche diventano più realiste del re. E vanno di eccesso di zelo. Si capisce il nervosismo di Putin. In Cina il petrolio arriva via tubo e via nave… giusto?«Il petrolio che arriva tramite oleodotto può essere acquistato non in dollari e lì le sanzioni sono probabilmente aggirabili. Ma ricordi che non hanno sanzionato le esportazioni di petrolio russo. Bensì Lukoil e Rosneft, che contano per la metà dell’export petrolifero russo. Le vendite realizzate da altre entità russe non sono oggetto di sanzioni».Ma Cina e India dove prenderebbero il petrolio che non può arrivare dalla Russia via nave?«In ballo ci sono cinque milioni di barili al giorno di export russo. La Cina ne comprava tre. L'India si era messa a comprare tantissimo dopo l’invasione in Ucraina. A prezzi scontati e attraverso la cosiddetta “flotta nera”. L’Energy information agency americana stima una capacità di offerta ulteriore, almeno fino a giugno 2026, di oltre tre milioni di barili. Il gap, qualora si manifestasse, non è impossibile da colmare se non salgono di troppo i consumi. Mi permetto di farle notare cosa pensa il mercato».Cioè?«Se guardo i prezzi dell’ultimo anno, il massimo è stato sugli ordini degli 80 euro. Il minimo grosso modo 60. Ad ora siamo intorno a 66. Il mercato non è esploso».Fronte gas?«Non toccato da queste sanzioni. Riguardano Rosneft e Lukoil». I Paesi arabi che hanno ritrovato un certo feeling con Trump in Medio Oriente potrebbero sopperire alla mancanza di petrolio per Cina ed India…«Sì, ma non è che fanno un favore a Trump. Per anni per tenere un po' su i prezzi si tagliavano la produzione. Ora hanno un concorrente in meno e possono venderne di più».Questa mossa di Trump cambia tutto.«Va capito quanto dura. Queste sanzioni sono uscite insieme a una serie, di “licenze di trasgressione” che consentono la sospensione di alcune sanzioni sino al prossimo 21 novembre. Trump ci ha abituato a tariffe del 100% che poi diventano il 20%. Il mercato per ora non sembra preoccuparsi» Quale l’impatto finanziario per la Russia?«Tutto dipende dal prezzo. A 90 dollari, petrolio e gas erano grosso modo il 60% del budget federale. Ai prezzi attuali dovremmo essere intorno al 40%. Cosa farà Putin per rimediare alle sanzioni su Rosneft e a Lukoil? Proveranno a limitare l’impatto, magari trovando altri esportatori nominali non sanzionati».Nell’immediato il mercato può assorbire lo shock. Male per Putin. Ma non può durare all’infinito. Giusto?«Fino a ieri c’era un semplice divieto agli assicuratori e agli armatori ad assicurare carichi o a noleggiare navi che portassero prodotto venduto a un prezzo superiore al price cap. Rischiava di finire tutto in un’autodichiarazione».E magari la differenza pagata in nero…«La capacità di adattamento elusivo si rafforza quanto più le sanzioni si prorogheranno».Magari a Putin converrà essere più malleabile sul fronte ucraino, no?«La mia esperienza professionale di negoziatore mi ha insegnato essenzialmente una cosa. Quando tratti devi evitare che la materia diventi una “issue of face”. Una questione di faccia. In quel caso non c’è più considerazione economica, sociale e politica che tenga. Quello che lei dice sulla malleabilità in punto di razionalità economica è perfettamente corretto. Va capito se e quanto Putin perderebbe la faccia».Ma gli autocrati non devono confrontarsi con le elezioni.«Guardo le statistiche. E a ovest siamo sempre meno affezionati al voto. Ma nessun regime al mondo può esistere o resistere senza consenso popolare. Le elezioni sono solo un pezzo del puzzle».Lei ha definito il suo libro Elogio del petrolio una commemorazione. Ma al di là della fuffa green, il petrolio comanda ancora eccome. Mica è morto.«Dalla crisi del 1973 in Europa è fortissimamente diminuita l’intensità energetica, la quantità di energia che serve per generare un’unità di Pil. Ci serve cioè meno idrocarburo e meno energia in generale per produrre un euro di ricchezza. L’intensità petrolifera da noi è diminuita poi più dell’intensità energetica. Nell’immediato non abbiamo un tema di capacità produttiva a livello mondiale. Andiamo ancora a fossili per quasi l’80% della nostra energia, ma una crisi petrolifera non sembra probabile ed avrebbe comunque effetti meno drammatici». Trump ha offerto a Putin una via d’uscita per toglierlo dall’abbraccio di Pechino. Ma non ha colto l’assist… e ora guarda a Cina e India. «Non trascuro la raffinatezza del suo ragionamento politico, ma il tema è più lineare. Definisco la Russia un paese in via di inviluppo. Nonostante gli sforzi non riesce a liberarsi dalla sua dipendenza dall’esportazione di risorse naturali. Già molto prima dell’invasione ucraina per anni noi europei continuavamo a dire: “Mosca non vedo l’ora di non comprare più da te perché devo decarbonizzare la mia economia”. Se l’economia russa continua a mantenersi dipendente dall’esportazione di risorse, Mosca in progresso di tempo avrà sempre più necessità dell’abbraccio cinese».Il petrolio dà ricchezza ma impigrisce chi lo produce perché non si preoccupa di fare altro. Una droga!«Le ricordo che il maggior produttore di petrolio oggi sono gli Stati Uniti».Dopo il 2008.«Fra le due guerre registravano fino a oltre il 70% dell’intera produzione mondiale. Che il petrolio si trasformi in rendita o in fattore di ricchezza è funzione delle istituzioni e del sistema sociale e politico del Paese produttore. Stati Uniti e Norvegia sono in tal senso gli esempi virtuosi. All’estremo opposto se si abolisse il commercio petrolifero domani mattina, in Iraq non ci sarebbe più sanità né scuola. E neppure i vigili urbani».