2025-10-26
L’inquisitore via Skype che giudica dal tinello
Il rettore dell’ateneo dei saccenti è il «Collegato disposto» dei talk di La7. Storico dell’arte, Tomaso Montanari viene considerato uno Sgarbi che non ce l’ha fatta, in smart working perenne. Da toscano si crede parente di Dante, ma la sua arroganza lo rende il gemello diverso di Matteo Renzi.Cognome e nome: Montanari Tomaso. Aka - conosciuto anche come - «Tomaso senza una emme». O anche «con una M (come quella simboleggiante il Duce, tiè) sola».Vocabolo inteso come avverbio, solamente, e non come sostantivo in uso a Trastevere, sòla. Per quanto il dubbio talvolta t’attanagli ascoltando le sue intemerate incardinate su dogmi granitici e assoluti.Perché a lui non la si fa, facendo egli parte del sinedrio dei Sommi Sacerdoti di Stokà (anche questo inteso alla romana). Gli Indiscutibili mai sfiorati da un dubbio. Gli Immobildream che non vendono sogni ma solidi diktat.Ergo: collaboratore del Fatto Quotidiano, dove scrive un’altra esperta di storia, l’ex ambasciatrice Elena Basile, autrice il 28 agosto di uno scoop mondiale: «Winston Churchill non era Adolf Hitler» (e fin qui...), sebbene durante i primi incontri sia stato favorevolmente colpito dalla personalità del razzista psicopatico». Incontri mai avvenuti, e che uno potrebbe vedere solo sotto effetto di peyote.Tomaso con una M sòla si sopravvaluta: «Sono antipatico e inopportuno».«Di indole modesta: “Ogni volta che leggo Dante Alighieri non posso dimenticare di essere stato battezzato nello stesso battistero”», lo ha celebrato Luigi Mascheroni sul Giornale.Maturità classica al Dante di Firenze, stesso liceo di Matteo Renzi. Istituto-fucina di Toscani del Grillo, quindi: «Noi siamo noi, e voi...».Ego più, ego meno, i due in realtà sarebbero finiti in rotta di collisione quando il governatore della Toscana, Enrico Rossi, lo voleva assessore alla Cultura, ma LawRenzi d’Arabia sguainò la scimitarra, e non se ne fece nulla.«Agnifico» (senza una M) rettore dell’università per stranieri di Siena. Storico dell’arte. Competente, dicunt. Giudizio che prendo per buono: a differenza sua, quando non conosco appieno una materia taccio, rimettendomi a chi ne sa più di me.Insignito, nel marzo 2013, del titolo di commendatore dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio».Ontanari senza la M, insomma, ha fatto anche cose buone.E dunque: è un Vittorio Sgarbi che non ce l’ha fatta? O un Diego Fusaro che ce l’ha fatta?«A Firenze chi lo conosce bene racconta: “Ha una spropositata fiducia in sé stesso. Attacca frontalmente e approfitta di una discussione per portarla alle estreme conseguenze con un limite grave, quello di non sapersi fermare e di sconfinare in toni offensivi”», così Marco Fattorini per Linkiesta, aprile 2021.Due mesi prima, l’8 febbraio, aveva postato su Instagram la foto di un graffito. Didascalia: «Allora l’alluvione di servile melassa che trabocca da giornali e tv non ha del tutto spento l’indomito pensiero critico degli italiani». La scritta? Un affettuoso endorsement nei confronti del premier, Mario Draghi (per lui «il Jair Bolsonaro italiano»): «Ha già rotto il c...».All’epoca, Tomaso con una M sòla era un funzionario dello Stato.Antonella Boralevi, sulla Stampa del 13 marzo 2021: «Insegna a Siena come professore universitario. È presidente del Comitato tecnico scientifico per le Belle arti del ministero della Cultura di Dario Franceschini. È membro del comitato scientifico degli Uffizi. Sono certa che tale indomita figura ne trarrà con immediato effetto le conseguenze. Logiche e di onore», rinunciando «ai suoi stipendi di Stato». Seee, buonanotte. Si dimetterà dal Consiglio superiore per i Beni culturali, ma solo in agosto, e per ben altri «ideologici» motivi.Insomma: un guru, o un paraguru. Anzi: un gureggione, perchè come gureggia lui, signori miei...Per questo lo invitano in tv, e non perché abbia una certa rassomiglianza con Sigfrido Ranucci (come se il povero Sigfrido non avesse già i guai suoi). Lo chiamano solo a La7, peraltro, dove si appalesa volentieri, in genere da casa sua, perciò detto anche il Collegato disposto (a comparire).E manco in tutti i talk della rete di Urbano Cairo, ma solo in due. Ottoemezzo. E Piazzapulita. Dove una sera si è confrontato in studio con Paolo Mieli. Un’esibizione di maleducazione, protervia, arroganza.Lo spezzone da me visto inizia con Mieli: «Mi rifiuto di usare il termine “genocidio”». Entra subito a gamba tesa il ghignante Tomaso con una M sòla, in faccia la consueta aria di umile superiorità: «È una verità scientifica, tu puoi anche dire che l’acqua calda non è calda, ma questo è».Una verità «scientifica».No: è una definizione sdrucciolevole, essendo fuoriuscita dai suoi confini iniziali, quelli giuridicamente intesi. Si consulti in proposito Genocidio - Una storia politico e culturale (Laterza 2025), di Paolo Fonzi, docente di storia contemporanea all’università Federico II di Napoli.Il fastidio (eufemismo) è aumentato quando Ontanari senza la M ha rincarato: «La tua è una forma di negazionismo, diciamolo chiaramente». A quel punto Mieli, sfiancato ma sempre con l’aplomb del gran signore, mette in mezzo i demografi. E il Magnifico, ancora parlandogli sopra: «È una sciocchezza colossale, non è una questione di numeri, vedi Srebrenica».Nota a margine: «parlateci di Srebrenica», come «parlateci di Gaza», is the new «parlateci di Bibbiano».Per poi interrompere di nuovo: «(Srebrenica) che nei libri di storia non c’è», e qui davvero non si sapeva più che pensare.Nelle mie letture c’è, eccome (sul massacro di Srebrenica, quasi 9.000 vittime in una manciata di giorni durante la guerra nei Balcani, qualcosina la so io, avendo tenuto su La7 un monologo di 97 minuti, è su Youtube). Ne cito giusto una: L’imperativo di uccidere - Genocidio e democidio nella storia (Laterza 2017), di Pier Paolo Portinaro, allievo di Norberto Bobbio, il cui capitolo più interessante è «L’inflazione del concetto» di genocidio che si fa slogan, abuso terminologico già evidente almeno otto anni fa.Mieli tentava un’estrema difesa: «Ma scusami, avrò il diritto...». Macché. Stop immediato dello Strafottente: «Certo, certo, hai anche quello di dire che gli asini volano».Lì ho concluso: che Dio ci salvi dai feroci antifascisti sostenitori, contro «la destra peggiore di sempre» al governo, della libertà di pensiero. Perché quella che loro intendono è esclusivamente la propria. Nei modi e alle condizioni che essi stessi stabiliscono.Tomaso con una M sòla è urticante anche quando si materializza da remoto, o addirittura in differita. «Un Papa laico in smart working», l’ha perculato egregiamente Anita Likmeta, Linkiesta, nell’aprile scorso. Il Collegato disposto si era infatti affacciato con un video alla manifestazione per Gaza indetta dal M5s a Roma.Scandendo «una frase nobile, un versetto da catechismo morale»: «La pace è il più sano dei realismi», che fa chic e non impegna, perché al Tomaso con una M sòla «interessa solo la coerenza simbolica del proprio posizionamento morale». Un tono «da profeta in pantofole, probabilmente ritardato dai suoi doveri più urgenti» (avrà avuto gente a cena, vai a sapere).Aldo Grasso, che non lo ama, nell’agosto 2021 lo inchioda per «una mascalzonata sulle Foibe e sui vertici della Repubblica, accusati di revisionismo storico», dandogli del «negazionista».Ricorrendo a una miserevole contabilità, lui che oggi zittisce il «negazionista» Mieli perché per i genocidi non rileva il numero delle vittime, era arrivato a sostenere che quelle delle Foibe «accertate a oggi, furono poco più di 800 (compresi i militari)».Un computo ad mentulam canis, per poi arrivare alla bordata: «La legge del 2004 che istituisce la Giornata del ricordo (delle Foibe) a ridosso e in evidente opposizione a quella della Memoria (della Shoah) rappresenta il più clamoroso successo di questa falsificazione storica».Peggio fece durante il discorso di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, 31 dicembre 2021, sparando sui social: «La prevalenza della palma nell’iconografia presidenziale. Il ritorno del rimosso: la Repubblica delle banane che siamo...».Riferimento criptico all’immagine che Leonardo Sciascia usò, la «linea della palma» risalente la Penisola, per avvertire dell’espansione della mafia al Nord.Da incorniciare la replica di Giovanni Grasso, consigliere del Quirinale e capo dell’ufficio stampa: «Il professore, anzi magnifico rettore, si intende sicuramente di arte ma poco di botanica. Il frutto della palma è il dattero, l’albero che produce banane è il banano».L’Ontanari senza M ma imbananato vestì subito i panni dell’indignato speciale: «Mettere alla gogna un cittadino per una battuta critica è tipico delle repubbliche delle banane, quelle con le palme e la lesa maestà».Nessuna gogna: a una scadente boutade con cui, velatamente, si «mascariava» Mattarella, è stato replicato con una battuta sofisticata. Piglia, incarta e porta a casa.Una volta Tomaso con una M sòla, con un’imprevedibile botta di autostima, aveva annunciato urbi et orbi: «I 5 stelle hanno costruito una parte importante del loro programma sulla cultura partendo dai miei libri».Il che spiega molto di lui, dei grillonzi e di ciò che è diventata la politica in questo Paese.Grazie agli agit-prop del pensiero sòla.