
Il contributo di Confindustria alla legge di bilancio: «Imposta del 2% al bancomat, frutterebbe 3,4 miliardi l'anno». Un'idea folle che però trova terreno fertile nel governo, dove già stanno pensando di aumentare l'Iva a chi non utilizza pagamenti elettronici.Arriva la manovra e spunta la tassa sul contante: il progetto è ricoprire la gabella con la solita bandiera dell'innovazione. Per lo Stato italiano la digitalizzazione è di solito una grande scusa, nasconde quasi sempre una tassa aggiuntiva. La fattura elettronica aiuta le aziende a gestire la propria contabilità? Sì, ma allo Stato interessa stringere la morsa sull'Iva e inserire nuovi adempimenti. Tant'è che la novità firmata da Paolo Gentiloni e introdotta dai gialloblù già quest'anno varrà tre miliardi di gettito aggiuntivo. Alle mosse spremi cittadini ormai gli italiani sono abituati: quando decide lo Stato è così. A bilanciare l'atteggiamento e a difendere un po' i privati fino a oggi c'erano le associazioni di categoria, i rappresentanti delle partite Iva e raramente qualche politico illuminato. Adesso pure quel filtro di difesa sembra essere scomparso. Se a fornire l'arma di tassazione di massa è Confindustria, la morsa rischia di diventare davvero mortifera e asfissiante per l'intera economia. Ieri, il centro studi dell'associazione degli industriali ha diffuso un report che è un palese contributo alla legge Finanziaria 2020. Andrea Montanino, già consigliere e capo segreteria tecnica di Tomaso Padoa-Schioppa oltre che ex economista del Fondo monetario internazionale, suggerisce una tassa del 2% sul contante e al tempo stesso un pericoloso meccanismo premiale per tutti coloro che utilizzano le transazioni digitali. La premessa è la solita. Se in Europa la media delle transazioni annue pro capite arriva a 100, in Italia non supera le 50. Il contante è segno di arretratezza e «soprattutto incentiva l'evasione fiscale», si spiega. L'uso massiccio della banconote spinge - secondo il Csc - verso il nero e quindi erode il gettito dello Stato di almeno 100 miliardi di euro. Lo studio di Confindustria spiega che solo in parte tale somma è attribuibile ai grandi evasori, lasciando intendere che gran parte è dovuta ai piccoli. A onor di cronaca, i piccoli e i privati alla stima non concorrono per più del 20%. Ma fare un solo calderone aiuta lo storytelling. Siccome, poi, «pagare le tasse è bellissimo e contribuisce ai servizi civili» (tanto per citare Tps), e dal momento che «le tasse le devono pagare proprio tutti perché alla fine se tutti pagano, pagano meno» (tanto per citare il Conte bis), ecco che Confindustria ha pronto lo schemino. Per i prelievi, da bancomat o sportello, superiori ai 1.500 euro mensili, la banca o le Poste applicheranno una percentuale del 2%, che sarà trattenuta alla fonte. Gli istituti saranno sostituti d'imposta e verseranno nelle casse dello Stato (sempre secondo le stime di Csc) qualcosa come 3,4 miliardi di euro. Per Confindustria il 75% degli italiani preleva meno di 1.500 euro: come dire, il grosso sarà esente dalla gabella. Peccato che il ragionamento non tenga conto della realtà: chi fa nero riceve contanti e paga in contanti e non passa dai circuiti bancari. Molti anziani invece non hanno carte di credito e la mossa finirà come effetto collaterale con l'alzare i profitti delle banche che potranno distribuire molte più carte e incamerare le relative commissioni. Per indorare la pillola, Confindustria suggerisce di creare un meccanismo di detrazione per tutti coloro che pagano attraverso i circuiti digitali. Garantire un credito d'imposta del 2% sulle transazioni virtuali che a fine anno il cittadino potrà mettere a compensazione nella denuncia dei redditi. Nel complesso, nemmeno questo è un regalo: il report spiega che se nel primo anno tale novità costerebbe allo Stato circa 2,8 miliardi di euro, a regime (nel 2023) porterebbe nelle casse un saldo positivo di circa 2,5 miliardi di euro. Come accade per la fattura elettronica, la spinta verso i Pos e la digitalizzazione porterebbe all'emersione del nero garantendo allo Stato più entrate. Su questo specifico aspetto a nostro avviso i dubbi sono più di uno. Prendendo, però, l'intera stima per buona, a regime tra tasse e modello premiale lo Stato guadagnerebbe 6 miliardi all'anno. Non poco, in tempo di ricerca spasmodica di soldi per tenere in piedi la manovra. Ma la pericolosità del 2% di detrazione sta nel fatto che sarebbe la sponda perfetta per gli obiettivi dei 5 stelle che non nascondono (ne abbiamo già scritto) l'intento di mischiare le carte per alzare in modo selettivo l'Iva. Il governo giallorosso è nato per cacciare Matteo Salvini e - almeno a parole - per evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia e quindi stoppare l'aumento dell'Iva. Servono soldi, e il nuovo esecutivo cerca invece escamotage. Per il momento la componente grillina (ma dopo l'assist confindustriale anche il Pd potrebbe accodarsi) l'idea è alzare l'imposta sui consumi su specifici settori (alberghi, ristoranti e servizi alla casa) dal 10 al 23% con un gettito di 4 miliardi scarsi. Guarda caso, la misura andrebbe a colpire proprio gli stessi settori indicati anche nel report di Confindustria e allo stesso modo i grillini prometterebbero di stornare il gap dell'Iva pagata in più solo a chi utilizza bancomat e carta di credito. A chi invece sceglie il contente l'Iva aumentata resta tutta sul groppone. Immaginate queste due misure sommate. Tassa sul contante e aumento dell'Iva porterebbero allo Stato a regime circa 10 miliardi di euro. Sempre che il gioco delle detrazioni o dei ristorni alla fine funzioni. Peccato, come abbiamo detto sopra, che lo Stato quando è chiamato a fare i conti di solito non sbaglia mai a favore del cittadino. In questo caso, la contabilità imporrebbe una massa enorme di documenti e transazioni da controllare mese dopo mese e un privato non è un'azienda, la quale è obbligata a tenere traccia di tutte le spese. Chi si metterà a segnare scontrino dopo scontrino per poi a fine anno fare ricorso contro l'Agenzia delle entrate magari per 50 euro? Non ne varrà la pena, e così saranno miliardi in più che restano allo Stato oltre alla tassa sul contante. Con il rischio, alla fine, di pagare una nuova patrimoniale senza accorgercene.
Ansa
Gli obiettivi imposti sono rifiutati perché deleteri e insostenibili. Farebbero meglio a seguire i consigli di Bill Gates.
L’appuntamento è fisso e il corollario di allarmi sulla imminente fine del mondo arriva puntuale. Alla vigilia della Cop30 - la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre - il fronte allarmista globale ha rinnovato il coro catastrofico con la pubblicazione di due rapporti cruciali. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il suo State of the Global Climate Update 2025, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato il suo Climate Action Monitor 2025.
2025-11-07
Dimmi La Verità | Giovanni Maiorano (Fdi): «Una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine»
Ecco #DimmiLaVerità del 7 novembre 2025. Il deputato di Fdi Giovanni Maiorano illustra una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine.
Il governatore: «Milano-Cortina 2026 sarà un laboratorio di metodo. Dalle Olimpiadi eredità durature per i territori».
«Ci siamo. Anzi, ghe sem, come si dice da queste parti». Con queste parole il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha aperto l’evento La Lombardia al centro della sfida olimpica, organizzato oggi a Palazzo Lombardia per fare il punto sulla corsa verso i Giochi invernali di Milano-Cortina 2026.
Un appuntamento che, nelle parole del governatore, non è solo sportivo ma anche simbolico: «Come Lombardia abbiamo fortemente voluto le Olimpiadi – ha detto – perché rappresentano una vetrina mondiale straordinaria, capace di lasciare al territorio eredità fondamentali in termini di infrastrutture, servizi e impatto culturale».
Fontana ha voluto sottolineare come l’esperienza olimpica incarni a pieno il “modello Lombardia”, fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato e sulla capacità di trasformare le idee in progetti concreti. «I Giochi – ha spiegato – sono un esempio di questo modello di sviluppo, che parte dall’ascolto dei territori e si traduce in risultati tangibili, grazie al pragmatismo che da sempre contraddistingue la nostra regione».
Investimenti e connessioni per i territori
Secondo il presidente, l’evento rappresenta un volano per rafforzare processi già in corso: «Le Olimpiadi invernali sono l’occasione per accelerare investimenti che migliorano le connessioni con le aree montane e l’area metropolitana milanese».
Fontana ha ricordato che l’80% delle opere è già avviato, e che Milano-Cortina 2026 «sarà un laboratorio di metodo per programmare, investire e amministrare», con l’obiettivo di «rispondere ai bisogni delle comunità» e garantire «risultati duraturi e non temporanei».
Un’occasione per il turismo e il Made in Italy
Ampio spazio anche al tema dell’attrattività turistica. L’appuntamento olimpico, ha spiegato Fontana, sarà «un’occasione per mostrare al mondo le bellezze della Lombardia». Le stime parlano di 3 milioni di pernottamenti aggiuntivi nei mesi di febbraio e marzo 2026, un incremento del 50% rispetto ai livelli registrati nel biennio 2024-2025. Crescerà anche la quota di turisti stranieri, che dovrebbe passare dal 60 al 75% del totale.
Per il governatore, si tratta di una «straordinaria opportunità per le eccellenze del Made in Italy lombardo, che potranno presentarsi sulla scena internazionale in una vetrina irripetibile».
Una Smart Land per i cittadini
Fontana ha infine richiamato il valore dell’eredità olimpica, destinata a superare l’evento sportivo: «Questo percorso valorizza il dialogo tra istituzioni e la governance condivisa tra pubblico e privato, tra montagna e metropoli. La Lombardia è una Smart Land, capace di unire visione strategica e prossimità alle persone».
E ha concluso con una promessa: «Andiamo avanti nella sfida di progettare, coordinare e realizzare, sempre pensando al bene dei cittadini lombardi».
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Francesco Zambon (Getty Images)
Audito dalla commissione Covid Zambon, ex funzionario dell’agenzia Onu. Dalle email prodotte emerge come il suo rapporto, critico sulle misure italiane, sia stato censurato per volontà politica, onde evitare di perdere fondi per la sede veneziana dell’Organizzazione.
Riavvolgere il nastro e rivedere il film della pandemia a ritroso può essere molto doloroso. Soprattutto se si passano al setaccio i documenti esplosivi portati ieri in commissione Covid da Francesco Zambon, oggi dirigente medico e, ai tempi tragici della pandemia, ufficiale tecnico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Di tutte le clamorose notizie diffusamente documentate in audizione, ne balzano agli occhi due: la prima è che, mentre gli italiani morivano in casa con il paracetamolo o negli ospedali nonostante i ventilatori, il governo dell’epoca guidato da Giuseppe Conte (M5s) e il ministro della salute Roberto Speranza (Pd) trovavano il tempo di preoccuparsi che la reputazione del governo, messa in cattiva luce da un rapporto redatto da Zambon, non venisse offuscata, al punto che ne ottennero il ritiro. La seconda terribile evidenza è che la priorità dell’Oms in pandemia sembrava proprio quella di garantirsi i finanziamenti.






