2018-11-13
La Obama sbaraglierà la collega dem, ma sarà vittima della dinastia
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L'ex first lady Michelle ha concrete possibilità di conquistare la nomination democratica alle elezioni del 2020, ma in un eventuale scontro con The Donald non avrebbe chance: il cognome la penalizzerebbe come è stato per la Clinton che a sua volta sta scaldando nuovamente i motori. Archiviate ormai le elezioni di metà mandato, il Partito Democratico americano guarda già alla prossima scadenza elettorale: le primarie del 2020. Un appuntamento a dir poco dirimente, per un partito che - dopo lo smacco subìto nel 2016 - guarda alla Casa Bianca con profondo spirito di rivalsa. E, in questo concitato clima elettorale, non è affatto escluso che - ancora una volta - possa scendere in campo un'ex first lady: Michelle Obama. Certo: qualcuno dirà che una simile ipotesi altro non sia, se non fantapolitica. Anche perché, a oggi, la diretta interessata non ha mai annunciato di nutrire ambizioni presidenziali. Eppure, a ben vedere, la possibilità di una sua candidatura non è poi così remota: segnali che vanno in questa direzione ce ne sono. E neanche pochi. Innanzitutto, guardiamo alla figura di first lady che Michelle ha incarnato durante gli otto anni della presidenza di Barack Obama. Differentemente da profili più defilati come quelli di Pat Nixon, Barbara Bush, Laura Bush e della stessa Melania, Michelle ha sempre mostrato un chiaro interesse verso l'impegno politico diretto e attivo. Una caratteristica che la accomuna a first lady come Hillary Clinton e (almeno sotto certi aspetti) Nancy Reagan. Se a questo aggiungiamo poi la sua naturale propensione all'esposizione mediatica, capiamo che l'idea di una carriera politica non possa essere del tutto estranea ai suoi pensieri. In secondo luogo, un altro elemento interessante risiede nell'iperattivismo che, soprattutto negli ultimi mesi, ha contraddistinto l'ex presidente, Barack Obama. Non solo ha deciso infatti di stabilirsi a Washington. Ma ha anche a più riprese criticato le politiche di Trump, tenendo tra l'altro comizi nel corso della campagna elettorale per le ultime elezioni di metà mandato. Un iperattivismo politico che, stando almeno alla storia americana recente, risulta piuttosto insolito per un ex presidente. Ragion per cui, è probabile che Obama stia in qualche modo cercando di preparare il terreno a un'eventuale discesa in campo della moglie. Che dunque delle avvisaglie ci siano, è abbastanza evidente. Resta tuttavia da capire se, in caso, una candidatura di Michelle abbia concrete possibilità di successo. Un interrogativo complesso, soprattutto alla luce delle difficoltà interne che attualmente caratterizzano il Partito Democratico. Nonostante sia infatti riuscito a conquistare la Camera dei Rappresentanti, l'Asinello non può, a oggi, dormire sonni tranquilli. E questo per una serie di spinose complicazioni. In primis, il partito continua ad essere pervaso dalle faide interne tra centristi e radicali: si pensi solo che svariati candidati dem alle ultime midterm abbiano fatto campagna elettorale contestando la capogruppo democratica alla Camera, Nancy Pelosi. Senza poi dimenticare la questione della riforma sanitaria: se i centristi infatti vogliono limitarsi a difendere l'Obamacare dai picconamenti di Trump, la sinistra di Bernie Sanders vorrebbe invece arrivare alla realizzazione di un sistema sanitario universale. E, c'è da giurarci, questo dossier esploderà come dinamite durante la campagna per le prossime primarie. Inoltre, bisogna rilevare che il pur discreto risultato ottenuto alle midterm, non costituisca di per sé condizione sufficiente per arrivare a una vera rinascita del partito. Mantenendo il controllo del Senato, i repubblicani detengono infatti la maggioranza nella camera più importante (almeno per quanto riguarda la magistratura): in base a quanto prescrive la Costituzione, è il solo Senato a confermare i giudici nominati dal presidente. Ed è sempre esclusivamente il Senato ad avere l'ultima parola in un eventuale processo di impeachment. Infine, non dobbiamo trascurare che l'Asinello abbia, in questo momento, un profondo problema di leadership. Il presidente del partito, Tom Perez, sta sostanzialmente fallendo nel trovare una linea unitaria tra le varie anime della compagine. Il tutto, mentre i nomi in circolazione dei papabili candidati alla nomination del 2020 sembrano del tutto inadeguati. Si tratta infatti tendenzialmente di candidati dinastici, come l'ex vicepresidente Joe Biden (già sconfitto alle primarie democratiche del 1988 e del 2008), del governatore dello Stato di New York nonché figlio di Mario Cuomo, Andrew, e del pronipote di JFK, Joe Kennedy. Senza dimenticare le solite star dello spettacolo (da Oprah Winfrey a George Clooney). Senza poi contare che, secondo due suoi vecchi consiglieri, la stessa Hillary starebbe addirittura scaldando i motori in vista delle presidenziali del 2020: una eventualità che, qualora si verificasse, sfiorerebbe oggettivamente il ridicolo, evidenziando una volta ancora la strutturale incapacità del Partito Democratico a rinnovarsi al di là delle logiche di potere. Ebbene, proprio in questo marasma, non è escluso che Michelle Obama possa avere delle possibilità. Almeno per conquistare la nomination democratica, visto che potrebbe tentare la difficile strada di federare le varie correnti dem in contrasto reciproco. Ciò detto, non ci sarebbe comunque nulla di scontato. Nonostante il carisma e la notorietà, l'ex first lady potrebbe avere non pochi problemi con la sinistra del Partito Democratico: quella sinistra che difficilmente le perdonerebbe l'appoggio da lei conferito a Hillary nel 2016. Inoltre, ancora più ardua, potrebbe rivelarsi la corsa per la General Election. In un eventuale scontro con Trump, Michelle Obama dovrebbe infatti evitare gli errori commessi dalla stessa Hillary. Dovrebbe, cioè, evitare di condurre una campagna elettorale pretendendo di essere eletta quasi per “diritto dinastico", dando erroneamente per scontato il sostegno di alcune quote elettorali decisive (dagli operai alle minoranze etniche). Non solo non esistono automatismi ma - storicamente - arriva alla Casa Bianca il candidato più trasversale: colui che, in altre parole, riesce ad attrarre il voto degli elettori indipendenti. Un'arte in cui Trump, nel 2016, si è dimostrato eccellente, riuscendo a conquistarsi l'appoggio degli indecisi e - soprattutto - di molti democratici delusi. Senza infine dimenticare che, nonostante la carica fortemente anti-sistema incarnata dalla famiglia Obama nel 2008, con il passare degli anni quest'ultima si sia sempre più avvicinata all'establishment politico americano. Il rischio insomma è che oggi, in America, gli Obama inizino a somigliare forse un po' troppo ai Clinton. Un elemento che potrebbe risultare elettoralmente fatale, visto il clima antipolitico che da tempo pervade ormai gran parte della società statunitense. E scalzare Trump potrebbe alla fine rivelarsi molto più difficile del previsto.
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