
Il grande rischio che corriamo non è la «seconda ondata» ma la perdita di vitalità, di speranza e di aggressività. Quando, invece, queste qualità sono indispensabili per il benessere fisico e psichico. Mai come ora la tirannia conformista ci vuole quieti e in pace.Il grande rischio che l'Italia corre oggi non è la «seconda ondata» del Covid- 19, se non per le scriteriate misure con cui viene accompagnata. Il rischio è la perdita di vitalità, di speranza e di aggressività degli italiani, in un momento in cui queste qualità sono indispensabili per il benessere fisico e psichico della popolazione. Il virus venuto dalla Cina, la nazione del mondo oggi più aggressiva politicamente, economicamente e scientificamente, che con la sua volontà di potenza ha affondato la globalizzazione in tutte le aree del pianeta, non è bastato a farci capire che di solo «amor pacis» si muore e che la vita è (anche, ma moltissimo) battaglia.Su un quadernino di motti e disegni fatti e scambiati con i compagni di quinta elementare, organizzato dalla maestra 70 anni fa al Vittoria Colonna di Milano, ho trovato alla prima pagina un: «La vita è lotta», con una formidabile Vittoria dei Musei Capitolini, lancia, scudo e tutto, disegnata da un compagno che poi ha effettivamente lottato come un leone (ma nel disegno era determinante il tratto forte del padre, ottimo architetto). Era il 1950 e quello dell'impegno e della lotta era il messaggio passato ai bambini da tutti: maestri, genitori, figure di riferimento, politici come il residente della Repubblica, l'economista liberale Luigi Einaudi, e il cattolico trentino Alcide De Gasperi, ex parlamentare austriaco, presidente del Consiglio italiano per molti anni. Si era usciti da poco dalla guerra e molte città erano ancora ingombre di macerie, ma è grazie alla comune idea di lotta quotidiana come spinta indispensabile alla vita di tutti che l'Italia passò da Paese povero e vinto a potenza mondiale. Fu proprio quello, il combattimento per la vita e il proprio posto nel mondo, che aiutò la nazione a trovare un'unità, al di là e al di sopra delle profondissime divergenze politiche, a partire dal fondamentale comunismo/anticomunismo, riflesso della guerra fredda in cui si trovava il pianeta. Anzi, anche l'intensità di quelle differenze di orientamento ricordavano a tutti che prendere sul serio diversità e conflitti, anche tra noi italiani, era il modo migliore di farcela come Paese, ed affermarsi senza venire calpestati. Il «miracolo economico» della nazione più stracciona d'Europa nacque così, accettando l'idea della lotta quotidiana, assieme a tutto ciò che comportava e produceva sul piano economico, scientifico, culturale. Noi ragazzini vedevamo i grandi dirsele (e qualche volta darsele) di santa ragione. Ma l'Italia forte e anche scomoda per gli altri nacque lì, con il suo maggiore imprenditore, Enrico Mattei, talmente audace che dovettero mettergli una bomba nell'aereo per toglierlo di mezzo.Tuttavia nessuno, allora, riteneva che pensarla diversamente significasse odiarsi. L'antagonismo feroce e umanamente rispettoso tra Don Camillo e Peppone, il sindaco comunista, non era una furbata di Giovanni Guareschi (in effetti persona umanissima), ma nasceva dall'alta civiltà di quell'Italia povera e apparentemente arretrata. Profondamente diversa da quella attuale e dalle sue élite ignoranti e spocchiose, infaticabili nel mostrificare gli avversari in nome della bontà e della buona educazione, ad essi visibilmente ignota. Gli haters, odiatori sono un'invenzione successiva, divenuta ormai parte integrante del codice linguistico e comportamentale politicamente corretto. Con questa espressione (a volte sinonimo di «negazionisti» in quanto dissidenti dall'opinione della maggioranza o ritenuta tale), le opposizioni vengono messe al bando perché disturbatrici dell'omologazione obbligatoria, che finge di tutto accettare per distruggere l'idea stessa di diversità, intollerabile per la società ipertollerante. Come fa una delle più considerate protagoniste del politicamente corretto, l'americana Judith Butler, che vuole autorizzare infiniti «generi» sessuali per togliere di mezzo i due originali: maschile e femminile, la cui differenza è all'origine delle liti come dell'attrazione e amore tra i due, garanzia della continuazione della vita. La tradizione occidentale, invece, sa bene che gli opposti sono il terreno di sviluppo dell'esistenza, con le sue contraddizioni e drammi: il resto è solo sterile finzione. Il primo uomo nato sulla terra, Caino, uccide il fratello per gelosia. Dio lo condanna, ma anche incide sulla sua fronte il segno: «nessuno uccida Caino», a ricordare che l'antagonismo è elemento vitale della storia umana. Caino inoltre, sarà il primo costruttore di città. Più tardi lo stesso Gesù sarà ucciso ma la sua passione e morte, che anche ogni uomo dovrà sperimentare nella vita, gli consente di risorgere in una dimensione diversa, aprendo all'uomo una pienezza anche spirituale. La tranquillità dell'animo di Seneca e della filosofia stoica nasce poi proprio dalla lotta tra l'iperattività agitata e l'inerzia malarica delle lagune stagnanti: entrambi aspetti dell'animo umano, la cui relazione dinamica accompagna l'intero sviluppo dell'esistenza. Il più antico e profondo dei filosofi greci, Eraclito, scrive e ripete che la contesa, il polemos, «di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re» ( come ricorda Umberto Curi nel suo Polemos). Al di fuori della lotta tra forze opposte non c'è nulla di vivo, se non gelide strutture burocratiche, condannate alla sterilità. Tuttavia la lotta tra spinte vitali, passioni del mondo e stili di vita per certi versi opposti, non è solo distruttiva: è lì che si genera la vita. Socrate e Platone lo ripeteranno in ogni modo: è dalla «guerra di ognuno di noi contro sé stesso» e contro gli altri che pensano diversamente che nasce ogni sapere su di sé e gli altri. L'appesantita società tardo moderna, fingendo che esistano scoperte scientifiche indiscutibili e eterne (con tanti saluti a Karl Popper e a tutta la storia della scienza), proibisce questa lotta e ricerca e così mummifica l'esistente per mantenere il potere a chi ce l'ha. Accettare che chi la pensa diversamente vada espulso e messo in galera (come prevede ad esempio il ddl Zan sull'omofobia, la cui discussione è appena slittata), ci rende solo docili e inerti schiavi dei tiranni del momento, nemici di ogni libertà anche se mascherati da protettori di agnelli.La lotta per la libertà è ancora tutta da fare.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.