
In vista del vertice tra il nostro capo del governo e il cancelliere Olaf Scholz bisognerà evitare convergenze generali: Berlino deve cambiare modello economico e ricalibrare i rapporti con Russia, Cina e Usa. Così Roma può costruire una propria strategia.L’Italia è una potenza politica medio-piccola, ma ha interessi economici globali. Per moltiplicare la forza nazionale Roma partecipa da decenni a due alleanze sistemiche: Nato, in relazione privilegiata con l’America, e Ue. La prima serve a darle capitale politico per cercare di compensare la diarchia franco-tedesca, la seconda, oltre che per l’accesso tutelato da trattati al mercato europeo, serve a prendere rilevanza agli occhi dell’America come «cuneo atlantico» affinché l’Ue non prenda la direzione perseguita dalla Francia - pur la Germania frenante, ma non del tutto - di una «sovranità europea» post Nato.La partecipazione a queste due alleanze è stata vantaggiosa fino a circa il 2010. Poi lo è diventata meno per l’appoggio statunitense alla destabilizzazione della Libia, colonia italiana di fatto, e un disingaggio relativo dell’America nel teatro mediterraneo e dintorni mentre a Roma serviva un maggiore rischieramento Nato sul fronte Sud per allargare la propria zona di sicurezza. La gestione dell’euro si è dimostrato un fattore di impoverimento dell’Italia - pur in parte bilanciato da altri vantaggi economici dati dalla partecipazione all’Ue - perché il rigore richiesto non era, ne è, sostenibile a causa della scelta italiana di aderire alla moneta unica prima di aver ridotto nazionalmente l’enorme debito e di cedere la sovranità economica e monetaria a un agente esterno senza ottenere in cambio un succedaneo compensativo della sovranità perduta.Ora il nuovo governo sembra impostare un’azione finalizzata a ottenere più vantaggi dalle due alleanze portandole a sostenere, o almeno non ostacolare, uno «spazio geoeconomico italiano». Per inciso, va segnalato che Roma non può cambiare la sua «Grande strategia» (collocazione duratura), cioè le alleanze con Nato e Ue. Ma, usando una nuova «Grande tattica», potrà migliorare la sua posizione entro la «Grande strategia» non modificabile.Le prime mosse sembrano confermare questo tentativo. Chi scrive lo geometrizza come grande tattica dei due semicerchi entro un cerchio globale più ampio disegnato dall’alleanza G7. Il primo semicerchio è stato tratteggiato in queste settimane via consolidamento delle relazioni bilaterali con i Paesi della costa Sud del Mediterraneo e con la Turchia. L’approccio è stato pragmatico: scambio con vantaggi reciproci e almeno consultazione con la difficile Ankara. La metrica principale per valutare i risultati, tra qualche mese, sarà il prezzo dei combustibili fossili importati dalle nazioni produttrici stabilito via accordi governativi.Per renderlo minimo l’Italia dovrà spendere qualcosa, ovviamente. Ma è importante che tale investimento favorisca le imprese italiane nell’area. In tal modo il calcolo sistemico del dare e avere potrà essere equilibrato, di vantaggio per l’Italia, tra cui la competitività. Altri vantaggi riguardano il contrasto all’immigrazione clandestina. Al riguardo di sicurezza e proiezione di potenza nazionale ordinatrice, il tema, ovviamente, riguarda operazioni integrate con quelle degli alleati. L’America sta tornando in Africa e Medio oriente e, quindi, l’Italia ha potuto e potrà contare su un allineamento degli interessi con l’alleato statunitense. In sintesi, la delineazione di questo semicerchio di spazio geoconomico italiano più largo promette bene.Ora Roma deve impostare l’altro (geo) semicerchio che comprende le nazioni dell’alleanza europea. Il recente bilaterale con la Francia in materia di Difesa ha mostrato buone relazioni, pur molto al di sotto della retorica del Trattato del Quirinale: la relazione con uno dei due diarchi si sta aggiustando lungo linee di interesse nazionale pratico reciproco. Se continua così va bene, perché le cointeressenze settoriali tra Roma e Parigi sono molteplici, pur non avendo l’Italia interesse a fare un’alleanza privilegiata generale con la Francia.Il «se» è dovuto al fatto che, nelle contingenze, la Francia è collaborativa perché tutti suoi progetti di potenza sono stati distrutti o messi in forse dalla nuova situazione. Ma se la situazione cambiasse, c’è il rischio che Parigi riprenda una strategia di dominio, anche segnalata dal recente trattato bilaterale con la Spagna. L’incontro previsto il 3 febbraio tra Giorgia Meloni e Olaf Scholz appare liscio, ma chi scrive lo ritiene il più difficile. Il motivo è che l’attuale conduzione della Germania deve cambiare modello economico mercantilista-neutralista, basato sull’export, ma non può farlo in tempi brevi restringendo troppo le relazioni economiche con la Cina. Inoltre, deve compensare la perdita del mercato russo: sperava in un accesso più fluido in quello statunitense, ma è scenario incerto. Per tale motivo di difesa di un residuo mercantilismo neutralista sta rientrando in una logica di sovranità europea, tossica per l’Italia. Le relazioni sono ottime, certamente Roma ha interesse a una convergenza con la Germania per evitare soluzioni pericolose nella montante revisione del Patto di stabilità ed eccessi isterici nella Bce, nonché, in quanto ambedue potenze manifatturiere, a convergere per l’espansione dei trattati commerciali esterni dell’Ue.Quindi il suggerimento è di accordarsi su temi solo selettivi di reciproca utilità, ma evitando convergenze più generali perché la Germania non ha ancora deciso dove vuole veramente andare nel futuro. L’importante, nel breve, è che Germania e Francia non interferiscano con la costruzione italiana del primo semicerchio, via ricatti o esclusioni penalizzanti. Ciò implica diplomazia convergente ma anche dissuasione da irrobustire con relazioni più strette tra Roma, in posizione di tutore cooperativo, e l’Europa orientale e nordica, questa la parte pro Nato più interessante geo-economicamente per l’Italia nel secondo semicerchio: dal Mediterraneo al Baltico.www.carlopelanda.com
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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