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2025-02-04
La proposta americana all’Ucraina. «Dateci terre rare in cambio di aiuti»
Keith Kellogg, inviato speciale statunitense a Kiev (Getty Images)
«I colloqui con Russia e Ucraina stanno andando molto bene». Ad affermarlo è niente meno che Donald Trump, il quale, pur non avendolo confermato, nei giorni scorso nemmeno ha voluto smentire di star parlando direttamente con Vladimir Putin. In campagna elettorale, il tycoon aveva promesso di risolvere il conflitto nel più breve tempo possibile e, per farlo, ha nominato Keith Kellogg come inviato speciale a Kiev con l’obiettivo di trovare una soluzione entro 100 giorni. Il tempo necessario, con ogni probabilità, sarà molto molto di più, ma già qualcosa inizia a muoversi. Lo stesso Kellogg, ieri, ha comunicato che, non appena si giungerà a un accordo per il cessate il fuoco, l’Ucraina dovrà andare al voto. «La maggior parte delle nazioni democratiche tengono elezioni in tempo di guerra», ha affermato. «Penso sia importante che lo facciano». «Credo che sia un bene per la democrazia», ha aggiunto: «Questa è la bellezza di una democrazia solida, hai più di una persona potenzialmente candidata». Da Kiev, invece, precisano che non è ancora arrivata una richiesta formale di indire elezioni presidenziali entro la fine dell’anno da parte della nuova amministrazione (e, in passato, le richieste del precedente inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, sono state respinte).
Il mandato di Volodymyr Zelensky sarebbe dovuto scadere a maggio del 2024, ma gli appuntamenti elettorali sono fermi da febbraio del 2022 per via delle legge marziale. E proprio su questo punto, da diverso tempo, insiste la diplomazia russa, che considera il presidente ucraino un interlocutore illegittimo. Parere esplicitato ancora una volta, ieri, dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, il quale ha affermato che «l’idea stessa di tenere elezioni in Ucraina è importante dal punto di vista della legittimazione della leadership». Legittimazione che, secondo Putin, «è necessaria dal punto di vista della fissazione giuridica di eventuali accordi in termini di risoluzione del conflitto». Al netto dell’attenzione statunitense per la democrazia, il fatto stesso che l’inviato di Trump abbia sollecitato il passaggio dalle urne può essere indicativo del tentativo, nei negoziati, di andare incontro ad alcune richieste di Mosca. Lo stesso Peskov ha dichiarato che i contatti con l’Ucraina sono «in fase di pianificazione», ma «finora non c’è niente di nuovo da dire». «Finora», ha aggiunto, «nessuno ha discusso in modo serio una possibile combinazione della composizione dei partecipanti ai colloqui. Finora si è partiti dal fatto che il presidente ucraino non ha il diritto di condurre tali negoziati. Pertanto, discutere se il decreto rimane in vigore, discutere di una possibile composizione dei partecipanti, beh, forse è andare troppo avanti».
Zelensky, ovviamente, non è molto contento. Il presidente ucraino, in un’intervista rilasciata ad Associated Press (agenzia di stampa americana), ha affermato che la Russia ha ufficialmente rafforzato la sua alleanza con l’Iran e la Corea del Nord, avvertendo che questo configurerebbe una minaccia diretta per gli Stati Uniti. «Per la prima volta in decenni la Russia ha ufficialmente mostrato le sue alleanze coinvolgendo l’Iran e la Corea del Nord», ha dichiarato. «Sì, avevano relazioni anche prima scambiandosi tecnologia e armi, ma ora Mosca li ha attivamente coinvolti nella guerra. Teheran fornisce armi, Pyongyang fornisce sia armi che truppe». Un’alleanza «concreta», questa, «contro Kiev e l’intero Occidente». Zelensky si è anche soffermato sul fatto che i soldati nordcoreani stanno acquisendo esperienza sul campo, che potrebbe in futuro essere sfruttata altrove. A ben vedere, però, è quantomeno dubbio che sottolineare la pericolosità dell’unione sempre più stretta tra i tre Paesi possa aiutare la causa ucraina. Anche perché, come noto, il vero antagonista degli Stati Uniti, oggi, è la Cina: porre fine alla guerra e tentare di riavvicinare la Russia alla sfera occidentale, o anche solo renderla meno dipendente da Pechino, potrebbe rientrare tra gli obiettivi degli Usa.
Sul conflitto è intervenuto anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte, il quale ha detto di aspettarsi «che gli Usa continuino il loro sostegno all’Ucraina in termine di aiuti militari» e che «richiederanno che l’Europa faccia di più nella condivisione del peso finanziario». Trump, invece, ha dichiarato di voler scambiare le terre rare dell’Ucraina con gli aiuti degli Stati Uniti. Dallo studio ovale, il tycoon ha anticipato ai giornalisti i termini dello scambio: «Stiamo cercando di trovare un accordo con l'Ucraina in base al quale loro porterebbero in garanzia le loro terre rare e altre cose in cambio di ciò che noi diamo loro».
Per quanto riguarda la situazione sul campo, secondo un’analisi dell’Afp sui dati dell’Institute for the Study of War, nel mese di gennaio l’esercito russo è avanzato di 430 chilometri quadrati in territorio ucraino e si sta dirigendo verso l’hub logistico di Pokrovsk. Oltre l’80% delle conquiste territoriale riguarda la regione del Donetsk, considerato uno dei principali obiettivi del Cremlino. Il dato complessivo segna un leggero rallentamento rispetto ai mesi precedenti (a novembre i chilometri quadrati sono stati 725, a dicembre 476), ma rimane il fatto che l’avanzata russa continua. Ieri, invece, il vicegovernatore della regione russa del Primorye (che si trova nell’estremo oriente del Paese), Sergei Efremov, è rimasto ucciso nel Kursk a causa dell’esplosione di una mina mentre tornava da una «missione di combattimento» con il battaglione Tiger. Si tratta di un’unità di volontari provenienti dal Primorye da lui comandata.
Bibi da Trump (che chiude all’Unrwa)
Questa sera intorno alle 18 (mezzanotte in Italia) il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontrerà il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. I due leader ceneranno insieme e di seguito, secondo alcune indiscrezioni, potrebbero tenere una conferenza stampa e incontrare le famiglie degli ostaggi israeliani. Netanyahu è arrivato domenica sera a Washington dove è stato accolto da Danny Danon, l’ambasciatore israeliano all’Onu. Quest’ultimo ha sottolineato che l’incontro tra Trump e Netanyahu «rafforzerà la profonda alleanza tra Israele e Stati Uniti e migliorerà la nostra cooperazione». Ieri il premier israeliano ha avuto un lungo colloquio con Steve Witkoff, l’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, mercoledì incontrerà Pete Hegseth, il segretario alla Difesa, mentre giovedì vedrà i leader del Congresso, tra cui il leader della maggioranza del Senato e il presidente della Camera. Netanyahu resterà negli Usa fino a sabato «dato che ci sono numerose richieste di funzionari statunitensi che vogliono incontrarlo». Netanyahu, starebbe considerando l’opzione di escludere il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, dalla squadra di negoziazione per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Lo riporta l’emittente israeliana Canale 12, specificando che al suo posto potrebbe subentrare il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer. Intanto ieri Trump ha emesso un ordine esecutivo per ritirare gli Usa dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e porre fine ai finanziamenti all'Unrwa.
I colloqui sul cessate il fuoco a Gaza dovrebbero includere anche le concessioni che Netanyahu potrebbe dover accettare per rilanciare il processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita al quale Trump tiene in modo particolare. Come noto l’Arabia Saudita ha sospeso le trattative per l’adesione agli Accordi di Abramo all’inizio della guerra a Gaza e nel corso dei mesi ha irrigidito la sua posizione, chiedendo la risoluzione della questione palestinese come precondizione per qualsiasi accordo. Non sarà semplice fare la sintesi delle rispettive aspettative dato che Netanyahu è sottoposto a forti pressioni all’interno del suo governo per riprendere la guerra, con il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich che anche ieri ha minacciato di dimettersi, mettendo a serio rischio la maggioranza del primo ministro alla Knesset. Hamas, che ha ripreso il controllo su Gaza dopo l’inizio del cessate il fuoco lo scorso mese, ha dichiarato che non rilascerà altri ostaggi nella seconda fase senza la fine della guerra e il ritiro totale delle forze israeliane. Netanyahu ha ribadito l’impegno di Israele a ottenere la vittoria totale su Hamas e a riportare a casa tutti gli ostaggi sequestrati nell’attacco del 7 ottobre 2023. I jihadisti di Hamas attendono novità e ieri hanno fatto sapere «di essere pronti per negoziare con Israele la seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza». Musa Abu Marzouk, il vice capo dell’ufficio politico di Hamas in visita a Mosca, ha parlato a Ria Novosti dell’ostaggio russo Alexander Trufanov che «sarà liberato nel prossimo futuro», mentre per quanto riguarda la sorte di Maxim Kharkin, nato in Donbass, «i termini saranno discussi nella seconda fase dell’accordo. Ci sono molti dettagli da discutere, ma ci impegniamo perché il suo nome sia in cima alla lista», ha detto Marzouk. La Turchia dove oggi arriva il neopresidente siriano Ahmad Al Sharaa (fresco di pellegrinaggio alla Mecca) che stamattina vedrà il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, si oppone fermamente alla proposta di Trump di trasferire la popolazione palestinese fuori dalla Striscia di Gaza, ricollocandola in Egitto, Giordania e altri Paesi. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha definito il piano una violazione del diritto umanitario internazionale. Attualmente in visita in Qatar, Fidan ha incontrato il suo omologo Mohammed bin Abdulrahman Al Thani nell’ambito di una missione diplomatica di due giorni focalizzata sul cessate il fuoco a Gaza.
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Intanto l’inviato speciale Usa, Kellogg, mette alle strette Zelensky: dopo il cessate il fuoco, Kiev dovrà necessariamente andare alle elezioni. È la stessa richiesta che, da tempo, viene della Russia.Netanyahu vola a Washington e il presidente statunitense firma un ordine esecutivo per tagliare i fondi all’agenzia Onu. Intanto il vice capo di Hamas va in visita a Mosca.Lo speciale contiene due articoli.«I colloqui con Russia e Ucraina stanno andando molto bene». Ad affermarlo è niente meno che Donald Trump, il quale, pur non avendolo confermato, nei giorni scorso nemmeno ha voluto smentire di star parlando direttamente con Vladimir Putin. In campagna elettorale, il tycoon aveva promesso di risolvere il conflitto nel più breve tempo possibile e, per farlo, ha nominato Keith Kellogg come inviato speciale a Kiev con l’obiettivo di trovare una soluzione entro 100 giorni. Il tempo necessario, con ogni probabilità, sarà molto molto di più, ma già qualcosa inizia a muoversi. Lo stesso Kellogg, ieri, ha comunicato che, non appena si giungerà a un accordo per il cessate il fuoco, l’Ucraina dovrà andare al voto. «La maggior parte delle nazioni democratiche tengono elezioni in tempo di guerra», ha affermato. «Penso sia importante che lo facciano». «Credo che sia un bene per la democrazia», ha aggiunto: «Questa è la bellezza di una democrazia solida, hai più di una persona potenzialmente candidata». Da Kiev, invece, precisano che non è ancora arrivata una richiesta formale di indire elezioni presidenziali entro la fine dell’anno da parte della nuova amministrazione (e, in passato, le richieste del precedente inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, sono state respinte). Il mandato di Volodymyr Zelensky sarebbe dovuto scadere a maggio del 2024, ma gli appuntamenti elettorali sono fermi da febbraio del 2022 per via delle legge marziale. E proprio su questo punto, da diverso tempo, insiste la diplomazia russa, che considera il presidente ucraino un interlocutore illegittimo. Parere esplicitato ancora una volta, ieri, dal portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, il quale ha affermato che «l’idea stessa di tenere elezioni in Ucraina è importante dal punto di vista della legittimazione della leadership». Legittimazione che, secondo Putin, «è necessaria dal punto di vista della fissazione giuridica di eventuali accordi in termini di risoluzione del conflitto». Al netto dell’attenzione statunitense per la democrazia, il fatto stesso che l’inviato di Trump abbia sollecitato il passaggio dalle urne può essere indicativo del tentativo, nei negoziati, di andare incontro ad alcune richieste di Mosca. Lo stesso Peskov ha dichiarato che i contatti con l’Ucraina sono «in fase di pianificazione», ma «finora non c’è niente di nuovo da dire». «Finora», ha aggiunto, «nessuno ha discusso in modo serio una possibile combinazione della composizione dei partecipanti ai colloqui. Finora si è partiti dal fatto che il presidente ucraino non ha il diritto di condurre tali negoziati. Pertanto, discutere se il decreto rimane in vigore, discutere di una possibile composizione dei partecipanti, beh, forse è andare troppo avanti».Zelensky, ovviamente, non è molto contento. Il presidente ucraino, in un’intervista rilasciata ad Associated Press (agenzia di stampa americana), ha affermato che la Russia ha ufficialmente rafforzato la sua alleanza con l’Iran e la Corea del Nord, avvertendo che questo configurerebbe una minaccia diretta per gli Stati Uniti. «Per la prima volta in decenni la Russia ha ufficialmente mostrato le sue alleanze coinvolgendo l’Iran e la Corea del Nord», ha dichiarato. «Sì, avevano relazioni anche prima scambiandosi tecnologia e armi, ma ora Mosca li ha attivamente coinvolti nella guerra. Teheran fornisce armi, Pyongyang fornisce sia armi che truppe». Un’alleanza «concreta», questa, «contro Kiev e l’intero Occidente». Zelensky si è anche soffermato sul fatto che i soldati nordcoreani stanno acquisendo esperienza sul campo, che potrebbe in futuro essere sfruttata altrove. A ben vedere, però, è quantomeno dubbio che sottolineare la pericolosità dell’unione sempre più stretta tra i tre Paesi possa aiutare la causa ucraina. Anche perché, come noto, il vero antagonista degli Stati Uniti, oggi, è la Cina: porre fine alla guerra e tentare di riavvicinare la Russia alla sfera occidentale, o anche solo renderla meno dipendente da Pechino, potrebbe rientrare tra gli obiettivi degli Usa. Sul conflitto è intervenuto anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte, il quale ha detto di aspettarsi «che gli Usa continuino il loro sostegno all’Ucraina in termine di aiuti militari» e che «richiederanno che l’Europa faccia di più nella condivisione del peso finanziario». Trump, invece, ha dichiarato di voler scambiare le terre rare dell’Ucraina con gli aiuti degli Stati Uniti. Dallo studio ovale, il tycoon ha anticipato ai giornalisti i termini dello scambio: «Stiamo cercando di trovare un accordo con l'Ucraina in base al quale loro porterebbero in garanzia le loro terre rare e altre cose in cambio di ciò che noi diamo loro».Per quanto riguarda la situazione sul campo, secondo un’analisi dell’Afp sui dati dell’Institute for the Study of War, nel mese di gennaio l’esercito russo è avanzato di 430 chilometri quadrati in territorio ucraino e si sta dirigendo verso l’hub logistico di Pokrovsk. Oltre l’80% delle conquiste territoriale riguarda la regione del Donetsk, considerato uno dei principali obiettivi del Cremlino. Il dato complessivo segna un leggero rallentamento rispetto ai mesi precedenti (a novembre i chilometri quadrati sono stati 725, a dicembre 476), ma rimane il fatto che l’avanzata russa continua. Ieri, invece, il vicegovernatore della regione russa del Primorye (che si trova nell’estremo oriente del Paese), Sergei Efremov, è rimasto ucciso nel Kursk a causa dell’esplosione di una mina mentre tornava da una «missione di combattimento» con il battaglione Tiger. Si tratta di un’unità di volontari provenienti dal Primorye da lui comandata.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/proposta-americana-ucraina-2671091454.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bibi-da-trump-che-chiude-allunrwa" data-post-id="2671091454" data-published-at="1738690374" data-use-pagination="False"> Bibi da Trump (che chiude all’Unrwa) Questa sera intorno alle 18 (mezzanotte in Italia) il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontrerà il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. I due leader ceneranno insieme e di seguito, secondo alcune indiscrezioni, potrebbero tenere una conferenza stampa e incontrare le famiglie degli ostaggi israeliani. Netanyahu è arrivato domenica sera a Washington dove è stato accolto da Danny Danon, l’ambasciatore israeliano all’Onu. Quest’ultimo ha sottolineato che l’incontro tra Trump e Netanyahu «rafforzerà la profonda alleanza tra Israele e Stati Uniti e migliorerà la nostra cooperazione». Ieri il premier israeliano ha avuto un lungo colloquio con Steve Witkoff, l’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente, mercoledì incontrerà Pete Hegseth, il segretario alla Difesa, mentre giovedì vedrà i leader del Congresso, tra cui il leader della maggioranza del Senato e il presidente della Camera. Netanyahu resterà negli Usa fino a sabato «dato che ci sono numerose richieste di funzionari statunitensi che vogliono incontrarlo». Netanyahu, starebbe considerando l’opzione di escludere il direttore dello Shin Bet, Ronen Bar, dalla squadra di negoziazione per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Lo riporta l’emittente israeliana Canale 12, specificando che al suo posto potrebbe subentrare il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer. Intanto ieri Trump ha emesso un ordine esecutivo per ritirare gli Usa dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e porre fine ai finanziamenti all'Unrwa. I colloqui sul cessate il fuoco a Gaza dovrebbero includere anche le concessioni che Netanyahu potrebbe dover accettare per rilanciare il processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita al quale Trump tiene in modo particolare. Come noto l’Arabia Saudita ha sospeso le trattative per l’adesione agli Accordi di Abramo all’inizio della guerra a Gaza e nel corso dei mesi ha irrigidito la sua posizione, chiedendo la risoluzione della questione palestinese come precondizione per qualsiasi accordo. Non sarà semplice fare la sintesi delle rispettive aspettative dato che Netanyahu è sottoposto a forti pressioni all’interno del suo governo per riprendere la guerra, con il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich che anche ieri ha minacciato di dimettersi, mettendo a serio rischio la maggioranza del primo ministro alla Knesset. Hamas, che ha ripreso il controllo su Gaza dopo l’inizio del cessate il fuoco lo scorso mese, ha dichiarato che non rilascerà altri ostaggi nella seconda fase senza la fine della guerra e il ritiro totale delle forze israeliane. Netanyahu ha ribadito l’impegno di Israele a ottenere la vittoria totale su Hamas e a riportare a casa tutti gli ostaggi sequestrati nell’attacco del 7 ottobre 2023. I jihadisti di Hamas attendono novità e ieri hanno fatto sapere «di essere pronti per negoziare con Israele la seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza». Musa Abu Marzouk, il vice capo dell’ufficio politico di Hamas in visita a Mosca, ha parlato a Ria Novosti dell’ostaggio russo Alexander Trufanov che «sarà liberato nel prossimo futuro», mentre per quanto riguarda la sorte di Maxim Kharkin, nato in Donbass, «i termini saranno discussi nella seconda fase dell’accordo. Ci sono molti dettagli da discutere, ma ci impegniamo perché il suo nome sia in cima alla lista», ha detto Marzouk. La Turchia dove oggi arriva il neopresidente siriano Ahmad Al Sharaa (fresco di pellegrinaggio alla Mecca) che stamattina vedrà il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, si oppone fermamente alla proposta di Trump di trasferire la popolazione palestinese fuori dalla Striscia di Gaza, ricollocandola in Egitto, Giordania e altri Paesi. Il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha definito il piano una violazione del diritto umanitario internazionale. Attualmente in visita in Qatar, Fidan ha incontrato il suo omologo Mohammed bin Abdulrahman Al Thani nell’ambito di una missione diplomatica di due giorni focalizzata sul cessate il fuoco a Gaza.
Il governatore della banca centrale indiana Sanjay Malhotra (Getty Images)
La decisione arriva dopo i dati ufficiali diffusi la scorsa settimana, che certificano un’espansione dell’8,2% nel trimestre chiuso a settembre. Numeri che mostrano come l’economia indiana abbia finora assorbito senza scosse l’impatto dei dazi al 50% imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni di Nuova Delhi.
Un sostegno decisivo è arrivato dal crollo dell’inflazione: dal sopra il 6% registrato nel 2024 a livelli prossimi allo zero. Un calo che, secondo gli analisti, offre ulteriore margine per nuovi tagli nei prossimi mesi. «Nonostante un contesto esterno sfavorevole, l’economia indiana ha mostrato una resilienza notevole», ha dichiarato Malhotra, pur avvertendo che la crescita potrebbe «attenuarsi leggermente». Ma la combinazione di espansione superiore alle attese e inflazione «benigna» nel primo semestre fiscale rappresenta, ha aggiunto, «un raro periodo Goldilocks».
Sulla scia dell’ottimismo, l’RBI ha rivisto al rialzo la stima di crescita per l’anno fiscale che si chiuderà a marzo: +7,3%, mezzo punto in più rispetto alle previsioni precedenti.
La reazione dei mercati è stata immediata: la Borsa di Mumbai ha chiuso in rialzo (Sensex +0,2%, Nifty 50 +0,3%), mentre la rupia si è indebolita dello 0,4% superando quota 90 sul dollaro, molto vicino ai minimi storici toccati due giorni prima. La valuta indiana è la peggiore d’Asia dall’inizio dell’anno. Malhotra ha ribadito che la banca centrale non persegue un tasso di cambio specifico: «Il nostro obiettivo è solo ridurre volatilità anomala o eccessiva».
Il Paese, fortemente trainato dalla domanda interna, risente meno di altri dell’offensiva tariffaria voluta da Donald Trump, che ad agosto ha raddoppiato i dazi sui prodotti indiani come ritorsione per gli acquisti di petrolio russo scontato. Una rupia debole, inoltre, aiuta alcuni esportatori a restare competitivi. Tuttavia, gli analisti prevedono che gli effetti più pesanti della guerra commerciale si vedranno nell’attuale trimestre e invitano a prudenza anche sulla recente lettura del Pil.
Tra gli obiettivi politici di lungo periodo rimane quello fissato dal premier Narendra Modi: diventare un Paese «sviluppato» entro il 2047, centenario dell’indipendenza. Per riuscirci, servirebbe una crescita media dell’8% l’anno. Il governo ha avviato negli ultimi mesi una serie di riforme strutturali - dalla semplificazione dell’imposta su beni e servizi alla revisione del codice del lavoro - per proteggere l’economia dagli shock esterni.
Malhotra aveva assunto la guida dell’RBI in una fase di rallentamento economico e inflazione oltre il tetto del 6%. Da allora ha accelerato sul fronte monetario: tre tagli consecutivi nei primi mesi del 2025 per un punto percentuale complessivo. L’inflazione retail di ottobre si è fermata allo 0,25% annuo.
Il governatore ha annunciato anche un intervento di liquidità: operazioni di mercato aperto per 1.000 miliardi di rupie e swap dollaro-rupia per 5 miliardi di dollari, per sostenere il sistema finanziario.
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Palazzo Berlaymont a Bruxelles, sede della Commissione europea (Getty Images)
Una di queste si chiama S-info, che sta per Sustainable information. Come si legge sul sito ufficiale, «si tratta di un progetto finanziato dall’Ue, incentrato sui media e ispirato dall’esigenza di rafforzare la democrazia. Ha una durata di due anni, da dicembre 2023 a novembre 2025. Coinvolge organizzazioni di quattro Paesi dell’Unione europea: Italia, Belgio, Romania e Malta. Il progetto esplorerà i modi in cui gli attivisti della società civile e i giornalisti indipendenti possono collaborare per svolgere giornalismo investigativo, combattere la disinformazione, combattere la corruzione, promuovere i diritti sociali e difendere l’ambiente. L’obiettivo finale è quello di creare un modello operativo di attivismo mediatico sostenibile che possa essere trasferito ad altri Paesi e contesti».
La tiritera è la solita: lotta alla disinformazione, promozione dei diritti... S-info è finanziato da Eacea, ovvero l’agenzia esecutiva della Commissione europea che gestisce il programma Europa creativa, il quale a sua volta finanzia il progetto giornalistico in questione con la bellezza di 492.989 euro. E che cosa fa con questi soldi il progetto europeo? Beh, tra le altre cose finanzia inchieste che sono presentate come giornalismo investigativo. Una di queste è stata realizzata da Alice Dominese, la cui biografia online descrive come «laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali tra Italia e Francia, con un master in giornalismo. Collabora con L’Espresso e Domani, e ha scritto per La Stampa, Il Manifesto e The Post Internazionale, tra gli altri. Si occupa principalmente di diritti, migrazione e tematiche di genere».
La sua indagine, facilmente rintracciabile online, è intitolata Sottotraccia ed è dedicata ai temibili movimenti pro vita. «Questo articolo», si legge nella presentazione, «è il frutto di una delle due inchieste finanziate in Italia dal grant del progetto europeo S-info, cofinanziato dalla Commissione europea. La pubblicazione originale si trova sul sito ufficiale del progetto. In questa inchiesta, interviste e analisi di documenti ottenuti tramite una richiesta di accesso agli atti esplorano il rapporto tra movimento antiabortista, sanità e servizi pubblici in Piemonte. Le informazioni raccolte fanno luce sull’uso che le associazioni pro vita fanno dei finanziamenti regionali e sul ruolo della Stanza dell’ascolto, il presidio che ha permesso a queste associazioni di inserirsi nel primo ospedale per numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia».
Niente in contrario ai finanziamenti pubblici, per carità. Ma guarda caso questi soldi finiscono a giornalisti decisamente sinistrorsi che, pronti via, se la prendono con i movimenti per la vita. Non stupisce, dopo tutto i partner italiani del progetto S-info sono Globalproject.info, Melting pot Europa e Sherwood.it, tutti punti di riferimento mediatici della sinistra antagonista.
Proprio Radio Sherwood, lo scorso giugno, ha organizzato a Padova il S-info day, durante il quale è stato presentato il manifesto per il giornalismo sostenibile. Evento clou della giornata un dibattito intitolato «Sovvertire le narrazioni di genere». Partecipanti: «L’attivista transfemminista Elena Cecchettin e la giornalista Giulia Siviero, moderato da Anna Irma Battino di Global project». La discussione si è concentrata «su come le narrazioni di genere, troppo spesso costruite attorno a stereotipi o plasmate da dinamiche di potere, possano essere decostruite e trasformate attraverso un giornalismo più consapevole, posizionato e inclusivo». Tutto meraviglioso: la Commissione europea combatte la disinformazione finanziando incontri sulla decostruzione del genere e inchieste contro i pro vita. Alla faccia della libera informazione.
«Da Bruxelles», ha dichiarato Maurizio Marrone, assessore piemontese alle Politiche sociali, «arriva una palese ingerenza estera per screditare azioni deliberate dal governo regionale eletto dai piemontesi, peraltro con allarmismi propagandistici smentiti dalla realtà. Il nostro fondo Vita nascente finanzia sì anzitutto i progetti dei centri di aiuto alla vita a sostegno delle madri in difficoltà, ma eroga contributi anche ai servizi di assistenza pubblica per le medesime finalità, partendo dall’accompagnamento nei parti in anonimato. Ci troviamo di fronte a un grave precedente, irrispettoso delle autonomie locali italiane e della loro sovranità».
Carlo Fidanza, capodelegazione europeo di Fdi, annuncia invece che presenterà «un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea per far luce sui finanziamenti dell’agenzia Eacea a questi attacchi mediatici creati a tavolino per alimentare odio ideologico contro il volontariato pro vita. L’Unione europea dovrebbe sostenere le politiche delle Regioni italiane, non alimentare con soldi pubblici la macchina del fango contro le loro iniziative non omologate al pensiero unico woke».
Insomma, a Bruxelles piace il giornalismo libero. A patto che sia pagato dai contribuenti per prendersela con i nemici ideologici.
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Lo stand della casa editrice Passaggio al bosco a «Più libri più liberi» (Ansa)
Basta guardare la folla che si presenta e, con un pizzico di curiosità, guarda i titoli di questa casa editrice. Titoli che si sono esauriti in pochissimo tempo. La rivoluzione conservatrice, un volume scritto da Armin Mohler, che racconta la storia intellettuale della Germania tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. «Abbiamo dovuto chiedere di portarci nuovi libri», spiegano dalla casa editrice, «perché ormai ne avevamo davvero pochi e alcuni titoli erano completamente esauriti». Oppure Psicopatologia del radical chic, che immaginiamo sia stato parecchio utile in questi giorni di polemica per comprendere come ragiona chi, in nome della libertà, vorrebbe la censura per gli altri. Oppure Coraggio. Manuale di guerriglia culturale. Una virtù, quella del coraggio appunto, che parrebbe mancare a chi, come ad esempio Alessandro Barbero, nel 2019 diceva: «Penso che l’antifascismo non passi necessariamente attraverso il proibire a una casa editrice di destra di avere uno stand». E che oggi invece sottoscrive appelli per boicottare una casa editrice di destra insieme a Zerocalcare, che ha deciso di non partecipare alla kermesse ma di continuare comunque a vendere i suoi libri (come si dice in romanesco pecunia non olet?). Corrado Augias, invece, è riuscito a fare di meglio. Ha scritto una lettera, a Repubblica ovviamente, in cui ha annunciato che non si sarebbe presentato in fiera, dove avrebbe dovuto parlare di Piero Gobetti. Una lettera piena di pathos, quasi che si trovasse al confino, in cui spiegava: «Io sono favorevole alla tolleranza, anzi la pratico - anche con gli intolleranti per scelta, per età, per temperamento. C’è però una distinzione. Un conto sono gli intolleranti un altro, ben diverso, chi si fa partecipe cioè complice delle idee di un regime criminale come il nazismo». Perché si inizia sempre così: sono tollerante, ma fino a un certo punto. Anzi: fino al «però». Fino a dove ci sono quelli che Augias definisce nazisti, anche se in realtà non lo sono.
Dallo stand di Passaggio al bosco, come dicevamo, stanno passando tutti. Alcuni chiedono di parlare con l’editore, Marco Scatarzi, dicendo di condividere poco o nulla di ciò che stampa, ma esprimendo comunque solidarietà nei suoi confronti. Ci sono anche scolaresche che si fermano e pongono domande su quei libri «proibiti». Anche Anna Paola Concia, che certamente non può essere considerata una pericolosa reazionaria, è andata a visitare lo stand esprimendo vicinanza a Passaggio al bosco. Il mondo al contrario, appunto. O solamente un mondo in cui c’è un po’ di buonsenso. Quello che ti fa dire che chiunque può pubblicare qualsiasi testo purché non sia contrario alla legge.
C’è chi, però, continua a non accettare la presenza della casa editrice. Nel pomeriggio di ieri, per esempio, un gruppo di femministe ha prima urlato «siamo tutte antifasciste» e poi ha lanciato un volantino in cui si dà la colpa al capitalismo, che insieme al nazismo è ovunque, se Passaggio al bosco è lì. Oggi, inoltre, una ventina di case editrici ha deciso di coprire, per una mezz’ora di protesta, i propri libri. «Questo è ciò che è accaduto alla libertà di stampa e di pensiero quando i fascisti e i nazisti hanno messo in pratica la loro libertà di espressione. Vogliamo una Più libri più liberi antifascista».
Per una strana eterogenesi dei fini, gli stand delle case editrici più agguerrite contro Passaggio al bosco, tra cui per esempio Red Star, sono vuoti. Pochi visitatori spaesati si aggirano tra i libri su Lenin e quelli su Stalin. Un fantasma si aggira per gli stand: ed è quello degli antifa.
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