2025-08-03
Pronta la futura crociata pro immigrazione
La toga rossa Silvia Albano anticipa la mossa contro il modello Albania: negare l’iter accelerato perché «le zone di frontiera devono stare nel territorio Ue».Il costituzionalista Mario Esposito: «L’effetto della sentenza di venerdì sarà che le assise decideranno non solo sui casi singoli, bensì in generale e in base a ciò che “a loro risulta”. Si rischia di svuotare il concetto stesso di Stato. Perciò pure l’opposizione dovrebbe preoccuparsi».Lo speciale contiene due articoli.La fazione dei magistrati gongola sui giornali per la sentenza della Corte Ue. E intanto affila le armi per la prossima battaglia.L’urlo di guerra è partito, ieri, da Silvia Albano, presidente di Magistratura democratica - la corrente di sinistra radicale - nonché toga del Tribunale di Roma che per prima rifiutò di convalidare i trattenimenti degli extracomunitari a Gjadër. La giudice, intervistata da Repubblica (oltre che dalla Stampa, a reti unificate), ha assicurato che l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulle migrazioni «non risolverà il problema Albania». La normativa, che diverrebbe efficace da luglio 2026 salvo eventuali anticipazioni, prevede espressamente che un Paese possa essere classificato come sicuro pure a fronte di eccezioni per alcune parti del suo territorio e per alcune categorie di persone. Ma anziché tagliare la testa al toro - le obiezioni dei magistrati riguardavano proprio gli elenchi dei Paesi sicuri - la riforma, secondo la Albano, non riuscirà a sanare le presunte irregolarità delle strutture balcaniche: «Il regolamento», ha commentato, «stabilisce che le zone di frontiera - in cui possono essere applicate le procedure accelerate per i migranti provenienti da Paesi sicuri - devono essere individuate nel territorio della Ue. E l’Albania non lo è».La capofila dei magistrati progressisti non poteva essere più chiara. L’appiglio giuridico è già pronto: sostenere che, nelle strutture realizzate sull’altra sponda dell’Adriatico, non è lecito adottare l’iter veloce per i respingimenti, ai sensi dello stesso rinnovato Patto europeo nel quale ora confida il governo.A onor del vero, non è altrettanto cristallino dove il regolamento del 2024 stabilisca ciò che dichiara la Albano. Anzi, sembra che affermi il contrario. Al punto 58, il testo specifica che «la procedura di asilo e di rimpatrio alla frontiera dovrebbe servire a valutare rapidamente e in linea di principio, alla frontiera esterna, se la domanda è infondata o inammissibile, così da poter rimpatriare prontamente le persone che non hanno diritto di soggiornare […], garantendo nel contempo che le persone la cui domanda è fondata siano incanalate nella procedura ordinaria». Dunque, il nodo era e resta quello dei Paesi sicuri: se lo straniero proviene da una delle nazioni ricomprese in quel novero, diventa possibile esaminare velocemente la sua domanda, piuttosto che «incanalarlo» nella «procedura ordinaria». Il documento Ue parla di accoglienza «alla frontiera esterna o in prossimità della stessa ovvero in una zona di transito» e autorizza ad avviare «la procedura di frontiera» in caso di «sbarco nel territorio di uno Stato membro a seguito di un’operazione di ricerca e soccorso». È la fattispecie albanese: i migranti vengono salvati dalle acque e trasportati in centri che sono a tutti gli effetti territorio italiano ed europeo. Mente non si vede perché zone di frontiera di cui si dice che possono essere situate «in prossimità della stessa», o addirittura in una «zona di transito», dovrebbero essere «individuate nel territorio della Ue», come sostenuto dalla giudice Albano.Se il nodo del contendere era il primato del diritto comunitario, la questione sarebbe da considerarsi risolta sia alla luce di quanto previsto dal nuovo regolamento (le famose eccezioni), sia della lista unica dei Paesi sicuri proposta dalla Commissione. Lista che, manco a farlo apposta, include Egitto e Bangladesh, i due Stati da cui arrivavano i richiedenti asilo liberati dal Cpr di Gjadër. Pensate invece che strano: all’improvviso, la linea d’attrito si è spostata dalla determinazione dei Paesi sicuri ai cavilli sulla facoltà di applicare le procedure accelerate per i rimpatri. È l’ennesima prova del fatto che, a dispetto dei proclami di imparzialità - noi facciamo solo il nostro dovere, giura la Albano - i magistrati perseguono un obiettivo politico: demolire il protocollo con Tirana, infliggendo uno smacco a Giorgia Meloni, che ci aveva scommesso parecchie fiches.Perciò è interessante anche l’aspetto che la presidente di Md discute con l’altro quotidiano del gruppo Gedi, quello torinese: il presunto pericolo di una dittatura della maggioranza. «L’equilibrio e la separazione dei poteri», ha argomentato ieri la Albano, «sono stati pensati proprio per evitarla». Il principio, in sé sacrosanto, è che il consenso dei governati non giustifica la violazione dei diritti delle minoranze, in questo caso i migranti. Solo che qui le garanzie essenziali non le ha pregiudicate nessuno. La diatriba verteva su chi fosse il vero titolare della decisione. Ed è evidente che, sulla gestione dei flussi migratori, l’ultima parola non può spettare ai giudici. Limitare gli ingressi, facilitare i rimpatri, nonché identificare i Paesi sicuri, sono scelte politiche: lo riconoscono, in fondo, tanto la sentenza della Corte di giustizia, quanto i governi di sinistra, dalla Danimarca al Regno Unito, che per sua fortuna è fuori dall’Unione. E poi, l’alternativa quale sarebbe?Non spetta alle toghe indicarla. Certo. Ma i leader alla Elly Schlein che si sono messi a festeggiare, cosa propongono per risolvere il problema? Negarlo? Magari il modello Albania sarebbe stato insufficiente, o inutile, troppo costoso, inadatto persino quale semplice deterrente. Allora? Che fare? Spalancare i confini? Tenere tutti in Europa? Stendere la guida rossa ai clandestini che impugnano le espulsioni, così nel frattempo possono stuprare e picchiare le donne? Tutelare i diritti dei cittadini onesti, dottoressa Albano, non è anch’esso un dovere dei giudici?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/pronta-futura-crociata-pro-immigrazione-2673814326.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="stanno-dando-il-potere-politico-ai-tribunali" data-post-id="2673814326" data-published-at="1754184642" data-use-pagination="False"> «Stanno dando il potere politico ai tribunali» Mario Esposito, docente di diritto costituzionale presso la Luiss Guido Carli di Roma Professor Mario Esposito, docente di diritto costituzionale presso la Luiss Guido Carli di Roma e professore ordinario presso Unipegaso, si aspettava la decisione della Corte Ue?«Non mi aspettavo che la Corte si spingesse extra moenia per dire quello che ha detto. Sono francamente sorpreso, perché la Corte dopo aver smarcato la questione posta dai giudici italiani (la qualificazione dei Paesi sicuri mediante atto legislativo) e dando ragione al governo, ha poi cambiato rotta, andando oltre il richiesto, prendendo un’altra strada con questa decisione. Vale sempre la pena precisare che tecnicamente si tratta di giudici sui generis, che vengono nominati dai governi, il che spiega la maniera in cui possono muoversi in strutturale contiguità con le istanze politiche».Con questa decisione si mette nero su bianco che le politiche migratorie diventano di competenza della giurisdizione, che ottenendo quindi un potere esecutivo di fatto. Cosa c’entra tutto questo con la separazione dei poteri?«La volontà è quella di allocare competenze esclusivamente politiche, ovvero proprie dei poteri legittimati rappresentativamente, quindi Parlamento e governo, i soli che rispondono al popolo sovrano, nell’area della giurisdizione. Questo punto è fondamentale ed è destinato ad andare oltre il regolamento europeo sui migranti in arrivo».In molti dicono che una volta entrato in vigore il Patto sulla migrazione e l’asilo dell’Ue la sentenza decadrà.«Non sono d’accordo perché gli effetti della sentenza rimarranno. Qualunque sarà la disciplina adottata sui parametri di decisione dei Paesi sicuri, quindi anche con il regolamento, resta che la Corte di giustizia ritiene che spetti ai giudici il potere di rivalutare in generale, non nel caso concreto. Questo è il grande punto. Inoltre potranno decidere in base a quello che “loro risulta”».I giudici potranno avviare indagini indipendenti per decidere se ritenere un Paese sicuro o meno. La Corte tuttavia non ha stabilito parametri o fonti su cui si possa o meno raccogliere informazioni. Possibile che sia così?«Finora era previsto che la parte interessata dovesse portare almeno fatti indizianti circa la propria condizione di insicurezza, poi spettava al giudice avviare gli approfondimenti sulla base di quello che fosse stato portato dalla parte richiedente, quindi dal migrante irregolare. Con la decisione per cui si potrà prendere anche tramite notizia “apprese dal”, non bisognerà provare nulla. Come si può pensare che un giudice faccia questo tipo di valutazioni? Non hanno gli strumenti, la conseguenza è che diventerà un giudizio di larga discrezionalità non tecnica, fino al limite dell’arbitrio».Tutto questo si tradurrà in un’invasione da quei Paesi non considerati sicuri?«Il diritto a emigrare, che per altro non è proprio di tutti i Paesi, non può tradursi nel diritto di stabilirsi nel territorio di un altro Stato. Non si può arrivare al paradosso per cui se non mi sento rappresentato nel mio Paese per alcune mie esigenze, o preferenze non soddisfatte come io vorrei e quindi non mi sento sufficientemente protetto, possa decidere di andare in un altro Paese pretendendo di restarci. Questo significa far saltare tutto lo schema degli Stati nazionali, dei confini: insomma, viene meno la dimensione della statualità».Secondo lei c’è un disegno? Un obiettivo preciso?«L’idea è che la Corte possa premere per arrivare a un altro livello di integrazione politica, ma in forme molto lontane da quelle ricevute come proprie dello Stato democratico di diritto. Costruire una sorta di République de juges, una repubblica dei giudici come custodi dei diritti. Attenzione però: la tutela dei diritti è a due livelli. Uno è quello normativo, perché diritti e doveri si reggono insieme; poi c’è la parte applicativa. Fare un passo verso l’integrazione europea mischiando questi due concetti è quanto di più sbagliato si possa fare, perché si dimentica che se non c’è consenso democratico nessun sistema può reggere. E attenzione, perché questo ragionamento domani non varrà solo per l’immigrazione, ma per tutto ciò che riguarda la tutela del diritto. Dove arriviamo? Diciamo con chiarezza che i giudici fanno le norme e poi le applicano».È giusto che anche le opposizioni si preoccupino? Oggi le leggi le fa il centrodestra ma un domani toccherà di nuovo a loro.«Io mi aspetterei che tutti intervenissero per dire che questo non va bene. Noi stiamo consentendo alla Corte di giustizia di ignorare la nostra Costituzione, di ignorare l’articolo 4 del Trattato sull’Unione europea che impone alle istituzioni dell’Unione il rispetto della identità nazionale dei Paesi membri, insita nella loro struttura costituzionale e politica, mentre qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene esclusivamente agli Stati: l’Unione, secondo il Trattato , rispetta le funzioni essenziali dello Stato. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro».
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La sociologa Chiara Saraceno (Ansa)