
Merlyn propone di cedere il Brasile: l’asset che dà dividendi. Dubbi anche da Siragusa.Non che in Tim non ci siano abituati, la gestione dell’ex monopolista della telefonia italiana viaggia da anni sulle montagne russe, ma quello che sta succedendo in questi giorni - titolo che perde un quarto della capitalizzazione in un giorno, ex manager pronti a presentare liste alternative a quella del board e puntate al ribasso che secondo il Financial Times potrebbero aver riguardato il 19% del capitale – è troppo pure per Telecom. Anche perché sembra solo un antipasto di quello che potrebbe accadere nelle prossime settimane. Per mettere un po’ di ordine non si può che partire dai fatti e da qualche certezza sul futuro. Ci sono due date da segnare con il circoletto rosso, quella del 29 marzo, il giorno ultimo per presentare le liste per il cda e il 23 aprile, il giorno dell’assemblea, quando queste liste si peseranno. A oggi c’è un unico elenco di consiglieri ufficiale, quello del cda uscente che punta sull’avvocato d’affari Alberta Figari alla presidenza e sulla riconferma di Pietro Labriola come ad. Si sa però che c’è grande fermento e che una serie fondi e consulenti delle tlc sono in movimento. Il fondo Merlyn, fondato nel 2020 dall’ex Jp Morgan Alessandro Barnaba, è venuto allo scoperto annunciando di aver raggranellato lo 0,53% delle azioni di Tim. Barnaba ha messo nero su bianco un piano, peraltro anticipato dalla Verità, che conferma la vendita della rete a Kkr per 18,8 miliardi che possono arrivare a 22 con il verificarsi degli earn-out, ma prevede anche la cessione di altri asset: Tim Brasile innanzitutto e poi anche Consumer in seguito. Insomma, resterebbe solo Enterprise: imprese e Pa. Un po’ di osservazioni. La prima è che lo stesso fondo Merlyn sta cercando di rimediare a quanto successo tra ottobre e novembre del 2023, quando aveva fatto capolino su Tim proponendo un piano alternativo alla vendita della rete e annunciando di avere un pacchetto di azioni inferiore al 3%, ma alla fine dopo le pressioni della Consob era stato costretto ad ammettere che non superava lo 0,021% del capitale ordinario. In questi mesi si è probabilmente reso conto che il piano di novembre non era centrato. Capita. Secondo. Abbiamo un piano, ma non sappiamo chi dovrebbe eseguirlo. Non si capisce infatti se sarà davvero l’ex manager Tim, Stefano Siragusa, a portarlo avanti (il link con con Merlyn gli sarebbe arrivato dai contatti con il fondo Elliott legato a Barnaba per l’affare Lille) visto che secondo quanto risulta alla Verità ha una visione diversa rispetto al piano e punta ad aggregare altri investitori. Vedremo. Secondo rumors di mercato poi è molto probabile che una parte delle azioni detenute da Merlyn sia stata «racimolata» con un sistema di put and call (opzioni all’acquisto e alla vendita) per cui sono stati sufficienti meno di 5 milioni di euro per arrivare alla soglia dello 0,50%. E anche entrando nel merito del piano ci sono alcuni punti interrogativi. Sappiamo per esempio che la cessione del Brasile è propedeutica alla riduzione del debito. Strategia azzeccata? Una parte consistente del debito (a oggi circa 20 miliardi ai quali sottrarre 14 per la vendita della rete) è rappresentato da bond not callable (non richiamabili) che hanno interessi molto alti, soprattutto quelli emessi nell’ultimo anno superano il 7%, mentre il tasso medio e di poco inferiore al 5%. Insomma, anche se Tim vendesse il Brasile incassando i circa 6,5 miliardi di cui si parla, non si libererebbe della zavorra degli interessi e dal punto di vista finanziario ne trarrebbe scarso giovamento. Al tempo stesso però si troverebbe senza il flusso annuo dei dividendi «brasiliani» che stanno mantenendo in piedi i conti del gruppo. Nel piano si parla di un miliardo e mezzo per i prossimi 3 anni (2024-26), circa 500 milioni all’anno. Conviene? Tutt’altro discorso per la cessione di Tim consumer: un processo di consolidamento del settore, addirittura internazionale, è auspicato da tutti gli attori del mercato e infatti è uno dei cavalli di battaglia dello stesso Labriola. Ma non c’è solo Merlyn. Risulta al lavoro anche BlueBell di Giuseppe Bivona (conosciuto in Italia soprattutto per il caso Mps) che potrebbe presentare una lista di minoranza con il nome di un presidente. E l’ex dg di Tim Francesco De Leo (anche se interpellato dalla Verità il diretto interessato ha smentito) che insieme all’ex Morgan Stanley Galeazzo Pecori Giraldi starebbe coinvolgendo una serie di imprenditori del Nord nell’affare. Ma da quello che si capisce non raccoglie i consensi di Vivendi. I francesi appunto. Il cuore del problema è sempre lo stesso. Prevedere cosa farà il primo azionista di Tim che risulta ancora a oggi con il 23,75% delle quote. Si sa che i Bollorè, riportano perdite per 3,2 miliardi su Tim, sono contrari al piano di vendita della rete (volevano non meno di 25 miliardi e oggi siamo a meno di 19), così come non è un mistero la loro avversione per l’attuale ad Pietro Labriola. Hanno in ballo una causa contro l’attuale cda e forti del caso Ita sono consapevoli degli ostacoli che l’Antitrust Ue può opporre a Kkr sull’operazione della rete. Insomma, anche se come sembra non dovessero presentare una loro lista per l’assemblea, molto probabilmente appoggerebbero la meno peggio. A meno che da qui al 23 aprile, manca ancora un mese, «i mediatori» che risultano al lavoro non riescano nel miracolo di trovare un compromesso che salvi capra e cavoli. E soprattutto salvaguardino il futuro di Tim.
Ansa
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