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2021-04-18
Dalla privacy ai diritti costituzionali. Il pass vaccinale è tutto un’incognita
Ansa
Un lasciapassare per muoversi al di fuori della propria Regione, che certifichi di aver fatto il vaccino (entrambe le dosi) o di esser guarito dal Covid. Altrimenti, bisogna portarsi appresso l'esito negativo di un tampone eseguito nelle 48 ore precedenti. Altro non è dato sapere, del pass anticipato da Mario Draghi e che è oggetto di studio da parte del Cts. Il premier ha parlato di un tesserino, che permetterà anche l'accesso a eventi culturali e sportivi. Da venerdì, quando è stato annunciato l'arrivo di questo pubblico salvacondotto, le ipotesi si stanno sprecando. Sarà un'app o un documento cartaceo? Verrà rilasciato dall'Asl o dalla Regione? Basterà il certificato medico in caso di guarigione dal coronavirus? E ancora, non sarà sufficiente l'attestato di avvenuta la vaccinazione, inserito anche nel nostro fascicolo sanitario elettronico? Risposte non si hanno. Per la digitalizzazione del pass sicuramente si dovrà attendere, nessuno dimentica il flop di Immuni, l'applicazione lanciata dal governo Conte per conoscere se si è stati a contatto con una persona ammalata di Covid, e che doveva consentire il tracciamento digitale dei contagi. Con risultati disastrosi.
Intanto non poche perplessità sorgono su un pass per muoversi all'interno del proprio Paese, che di fatto limita la libertà di circolazione e che rappresenta una grave violazione della privacy. Consideriamo il primo aspetto. Potrà uscire da una Regione chi si è vaccinato, chi ha avuto la sfortuna di ammalarsi o chi è disposto a fare il tampone (a proprie spese) prima di ogni spostamento. Peggio per lui se deve viaggiare per un'urgenza, una necessità familiare: il certificato, che sarà coordinato dal ministero dell'Interno o da quello della Salute, servirà a ricordargli che il vaccino doveva farlo, così non aveva bisogno di test molecolari o rapidi.
Ma come si può chiedere di esibire la negatività di un test fatto 48 ore prima, quando nel frattempo un cittadino può comunque infettarsi? Non dimentichiamo che non esiste un protocollo di amplificazione dei tamponi molecolari, «la maggior parte dei laboratori non esplicita quali geni sono ricercati e, soprattutto, non dichiara la politica sui cicli di amplificazione (Ct) della reazione Pcr», ricordavano due mesi fa cinque responsabili di medicina del territorio del Nord Italia su Quotidianosaità.it. Aggiungevano: «In concreto non è scritto a quali Ct un tampone è classificato come negativo, positivo o debolmente positivo» e che «non esiste uno standard per convalidare analisi quantitative che producono risultati comparabili tra laboratori». Eppure il direttore dell'Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, ha detto chiaramente che la positività dei tamponi emerge «solo con cicli di amplificazione molto alti, tra 34 e 38 cicli, che corrispondono a 35.000-38.000 copie di Rna virale». Senza uniformità di tecnica di ricerca del virus da parte delle Asl, come si può subordinare la libertà di circolazione a tamponi poco significativi perché non standardizzati? A parte l'inevitabile considerazione sui tempi di risposta, almeno tre giorni per i test molecolari che nei periodi estivi, in seguito all'aumento di richieste, richiederanno più attesa e quindi impossibilità di spostarsi.
L'aspetto privacy è sicuramente quello più delicato, visto che per muoversi all'interno del proprio Paese bisognerà esibire certificati medici tutelati al massimo grado come dati sensibili, senza sapere chi li tratterà e come. Problema che è sorto in merito al Digital green pass, il passaporto europeo su cui ancora si discute, e che è stato evidenziato lo scorso primo marzo dal nostro garante della privacy. Senza una legge nazionale che sappia realizzare «un equo bilanciamento tra l'interesse pubblico che si intende perseguire e l'interesse individuale alla riservatezza», ha osservato l'Authority, «l'utilizzo in qualsiasi forma, da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo». Non sarà facile, dunque, mettere a punto un certificato che viola la privacy del vaccinato e risulta evidentemente discriminatorio per il non vaccinato, in quanto gli impedisce il diritto fondamentale allo spostamento. C'è un altro ostacolo/paradosso. Come precisa l'Istituto superiore della sanità nel quarto rapporto Covid datato 13 marzo: «Per nessuno dei vaccini in utilizzo è nota al momento la durata della protezione ottenuta con la vaccinazione». E avverte: «Seppur diminuito, non è possibile al momento escludere un rischio di contagio anche in coloro che sono stati vaccinati». Dunque si sta autorizzando un pass che permetterà ai vaccinati di andare ovunque, forse superando anche il divieto agli spostamenti verso le Regioni che potranno tornare in zona rossa e con le maggiori restrizioni, senza la certezza che quelle persone non possano contagiare o non finire contagiati.
Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali Lucani, che mercoledì scorso ha iniziato lo sciopero della fame per chiedere che venga onorato il diritto alla conoscenza su quanto è avvenuto in questi 14 mesi di stato di emergenza, è insorto anche contro il pass. Lo ritiene «una potente discriminazione», chiaramente «finalizzata a indurre, anche chi non vuole farlo, a vaccinarsi». Afferma: «Potete chiedermi di indossare la mascherina quando è necessario e di rispettare le distanze, ma non potete impedirmi la libertà di spostamento. Quale sarà la prossima frontiera, la porta delle nostre abitazioni?».
I ristoratori «assediano» la villa umbra di Draghi. E Zero arringa gli artisti
Il giallo allo zafferano (rafforzato) è indigesto ai ristoratori. La categoria in generale considera un passo avanti la promessa di riaprire anche a cena dal 26 aprile e forse da metà maggio per tutti, ma la limitazione legata al possesso di spazi all'aperto è la prima grave incrinatura. E non basta perché i ristori sono giudicati insufficienti e c'è la questione aperta della tassa sui rifiuti (la Tari) e dell'occupazione di suolo pubblico. Senza contare che i lavoratori dello spettacolo con la «benedizione» di Renato Zero e di molti big ieri hanno «occupato» piazza del Popolo a Roma con mille bauli e gli ambulanti hanno fatto manifestazioni a Napoli, a Firenze, a Bologna e nel Sud. Se Mario Draghi si è preso dei rischi ragionati, c'è chi lo invita a ragionare un po' di più. Così per molti la speranza delusa di aver addolcito il ministro Roberto Speranza si trasforma in una luna di fiele con il governo. La prova? La daranno stamattina i ristoratori umbri che hanno deciso d'inscenare una protesta à la carte. A Città della Pieve davanti alla villa di Mario Draghi si ritroveranno per cucinare un menù all'arrabbiata tra gli altri Simone Ciccotti che preparerà «un uovo di fagianella con crema di patate di Pietralunga, sale di Cervia e tartufo bianco» Lina, Angelucci, Alberto Massarini, Giuliano Martinelli (azienda Giuliano tartufi) Marco Caprai (cantina Arnaldo Caprai) con il supporto del più famoso cuoco d'Italia Gianfranco Vissani. Che così commenta: «Mi sembra il deserto del Sahara, dopo 13 mesi ci devono dare delle risposte e aiuti veri. La vita è una sola e il governo deve riaccendere una fiamma che ormai si sta spegnendo. La vita se ne va, devono far tornare la fiducia e la sicurezza». Da uno stellato all'altra il refrain è lo stesso. Cristina Bowerman, cuoca di eccezionale caratura, anche come presidente dell'associazione Ambasciatori del gusto si schiera, nonostante il suo bellissimo ristorante a Trastevere, a Roma, abbia un accogliente dehor, dalla parte di chi non può riaccendere i fornelli. Dice: «Ritengo ingiusto che ci sia una penalizzazione senza che sia preannunciato un ristoro nei confronti di chi non può aprire perché non ha i tavoli all'aperto e parimenti credo che sia un grosso danno il mantenimento del coprifuoco alle 22, non possiamo limitare la cena». Sul punto della penalizzazione di chi non ha i dehor è intervenuta anche la Fipe Confcommercio che partendo da Milano (è stato chiesto al sindaco Beppe Sala di dare spazi gratuiti e di cancellare la Tari a chi è rimasto chiuso) chiede al governo di rendere gratuita la concessione di spazi all'aperto e di rivedere quanto prima i criteri per la riapertura dei ristornati. Chi invece apprezza la parziale ripartenza è Paolo Bianchini (presidente del Movimento imprese ospitalità) animatore della protesta di Roma del 6 aprile che sottolinea: «Registro con soddisfazione che le nostre richieste con la reintroduzione della zona gialla, il blocco dei mutui, dei finanziamenti e degli sfratti commerciali che avevamo sottoposto al senatore Matteo Salvini sono state accolte. Voglio ringraziare il leader della Lega per la concretezza e la vicinanza al nostro settore». Anche Bianchini però insiste per la riapertura anche per chi non ha spazi esterni. Chi gli spazi esterni ce l'ha, ma deve combattere ancora con ordinanze regionali e provvedimenti del governo sono gli ambulanti. I mercati a esempio in Toscana e in Campania sono ancora bloccati, soprattutto quelli del sabato che sono la migliore occasione di vendita. Per questo ci sono state nuove proteste tanto a Napoli, come a Bologna e a Firenze. Chi invece si sente completamente abbandonato è il settore dello spettacolo. Ieri a piazza del Popolo a Roma sono tornati i mille bauli. Da 419 giorni i lavoratori dello spettacolo sono fermi e senza introiti. È stato una sorta di raduno degli artisti italiani con Renato Zero che ha salutato tra gli applausi i ragazzi e le ragazze dei bauli: «Sono qui con voi per dimostrare che non abbiamo paura di salire su quel palco». In piazza c'erano anche Max Gazzè, Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Manuel Agnelli, Emma, Diodato e Alessandra Amoroso. Le richieste sono chiare: un fondo che assicuri un minimo introito per quest'anno, un tavolo interministeriale per programmare la ripartenza, una riforma del settore con particolare riferimento alla previdenza e all'assistenza. Se no il giallo rafforzato è come il semaforo: non è un via libera, ma si rischia addirittura la multa.
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Riduci
Il governo pensa a uno strumento che dia libertà di movimento a immunizzati, guariti e negativi al test. Ma i dubbi sono molti, a cominciare dall'impossibilità di dimostrare che non si è portatori di infezione.Gli chef protestano a Città della Pieve, dove risiede il premier. Lavoratori dello spettacolo in piazza a Roma con mille bauli.Lo speciale contiene due articoli.Un lasciapassare per muoversi al di fuori della propria Regione, che certifichi di aver fatto il vaccino (entrambe le dosi) o di esser guarito dal Covid. Altrimenti, bisogna portarsi appresso l'esito negativo di un tampone eseguito nelle 48 ore precedenti. Altro non è dato sapere, del pass anticipato da Mario Draghi e che è oggetto di studio da parte del Cts. Il premier ha parlato di un tesserino, che permetterà anche l'accesso a eventi culturali e sportivi. Da venerdì, quando è stato annunciato l'arrivo di questo pubblico salvacondotto, le ipotesi si stanno sprecando. Sarà un'app o un documento cartaceo? Verrà rilasciato dall'Asl o dalla Regione? Basterà il certificato medico in caso di guarigione dal coronavirus? E ancora, non sarà sufficiente l'attestato di avvenuta la vaccinazione, inserito anche nel nostro fascicolo sanitario elettronico? Risposte non si hanno. Per la digitalizzazione del pass sicuramente si dovrà attendere, nessuno dimentica il flop di Immuni, l'applicazione lanciata dal governo Conte per conoscere se si è stati a contatto con una persona ammalata di Covid, e che doveva consentire il tracciamento digitale dei contagi. Con risultati disastrosi.Intanto non poche perplessità sorgono su un pass per muoversi all'interno del proprio Paese, che di fatto limita la libertà di circolazione e che rappresenta una grave violazione della privacy. Consideriamo il primo aspetto. Potrà uscire da una Regione chi si è vaccinato, chi ha avuto la sfortuna di ammalarsi o chi è disposto a fare il tampone (a proprie spese) prima di ogni spostamento. Peggio per lui se deve viaggiare per un'urgenza, una necessità familiare: il certificato, che sarà coordinato dal ministero dell'Interno o da quello della Salute, servirà a ricordargli che il vaccino doveva farlo, così non aveva bisogno di test molecolari o rapidi. Ma come si può chiedere di esibire la negatività di un test fatto 48 ore prima, quando nel frattempo un cittadino può comunque infettarsi? Non dimentichiamo che non esiste un protocollo di amplificazione dei tamponi molecolari, «la maggior parte dei laboratori non esplicita quali geni sono ricercati e, soprattutto, non dichiara la politica sui cicli di amplificazione (Ct) della reazione Pcr», ricordavano due mesi fa cinque responsabili di medicina del territorio del Nord Italia su Quotidianosaità.it. Aggiungevano: «In concreto non è scritto a quali Ct un tampone è classificato come negativo, positivo o debolmente positivo» e che «non esiste uno standard per convalidare analisi quantitative che producono risultati comparabili tra laboratori». Eppure il direttore dell'Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, ha detto chiaramente che la positività dei tamponi emerge «solo con cicli di amplificazione molto alti, tra 34 e 38 cicli, che corrispondono a 35.000-38.000 copie di Rna virale». Senza uniformità di tecnica di ricerca del virus da parte delle Asl, come si può subordinare la libertà di circolazione a tamponi poco significativi perché non standardizzati? A parte l'inevitabile considerazione sui tempi di risposta, almeno tre giorni per i test molecolari che nei periodi estivi, in seguito all'aumento di richieste, richiederanno più attesa e quindi impossibilità di spostarsi. L'aspetto privacy è sicuramente quello più delicato, visto che per muoversi all'interno del proprio Paese bisognerà esibire certificati medici tutelati al massimo grado come dati sensibili, senza sapere chi li tratterà e come. Problema che è sorto in merito al Digital green pass, il passaporto europeo su cui ancora si discute, e che è stato evidenziato lo scorso primo marzo dal nostro garante della privacy. Senza una legge nazionale che sappia realizzare «un equo bilanciamento tra l'interesse pubblico che si intende perseguire e l'interesse individuale alla riservatezza», ha osservato l'Authority, «l'utilizzo in qualsiasi forma, da parte di soggetti pubblici e di soggetti privati fornitori di servizi destinati al pubblico, di app e pass destinati a distinguere i cittadini vaccinati dai cittadini non vaccinati è da considerarsi illegittimo». Non sarà facile, dunque, mettere a punto un certificato che viola la privacy del vaccinato e risulta evidentemente discriminatorio per il non vaccinato, in quanto gli impedisce il diritto fondamentale allo spostamento. C'è un altro ostacolo/paradosso. Come precisa l'Istituto superiore della sanità nel quarto rapporto Covid datato 13 marzo: «Per nessuno dei vaccini in utilizzo è nota al momento la durata della protezione ottenuta con la vaccinazione». E avverte: «Seppur diminuito, non è possibile al momento escludere un rischio di contagio anche in coloro che sono stati vaccinati». Dunque si sta autorizzando un pass che permetterà ai vaccinati di andare ovunque, forse superando anche il divieto agli spostamenti verso le Regioni che potranno tornare in zona rossa e con le maggiori restrizioni, senza la certezza che quelle persone non possano contagiare o non finire contagiati.Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali Lucani, che mercoledì scorso ha iniziato lo sciopero della fame per chiedere che venga onorato il diritto alla conoscenza su quanto è avvenuto in questi 14 mesi di stato di emergenza, è insorto anche contro il pass. Lo ritiene «una potente discriminazione», chiaramente «finalizzata a indurre, anche chi non vuole farlo, a vaccinarsi». Afferma: «Potete chiedermi di indossare la mascherina quando è necessario e di rispettare le distanze, ma non potete impedirmi la libertà di spostamento. Quale sarà la prossima frontiera, la porta delle nostre abitazioni?».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/privacy-diritti-costituzionali-pass-vaccinale-2652619409.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-ristoratori-assediano-la-villa-umbra-di-draghi-e-zero-arringa-gli-artisti" data-post-id="2652619409" data-published-at="1618693976" data-use-pagination="False"> I ristoratori «assediano» la villa umbra di Draghi. E Zero arringa gli artisti Il giallo allo zafferano (rafforzato) è indigesto ai ristoratori. La categoria in generale considera un passo avanti la promessa di riaprire anche a cena dal 26 aprile e forse da metà maggio per tutti, ma la limitazione legata al possesso di spazi all'aperto è la prima grave incrinatura. E non basta perché i ristori sono giudicati insufficienti e c'è la questione aperta della tassa sui rifiuti (la Tari) e dell'occupazione di suolo pubblico. Senza contare che i lavoratori dello spettacolo con la «benedizione» di Renato Zero e di molti big ieri hanno «occupato» piazza del Popolo a Roma con mille bauli e gli ambulanti hanno fatto manifestazioni a Napoli, a Firenze, a Bologna e nel Sud. Se Mario Draghi si è preso dei rischi ragionati, c'è chi lo invita a ragionare un po' di più. Così per molti la speranza delusa di aver addolcito il ministro Roberto Speranza si trasforma in una luna di fiele con il governo. La prova? La daranno stamattina i ristoratori umbri che hanno deciso d'inscenare una protesta à la carte. A Città della Pieve davanti alla villa di Mario Draghi si ritroveranno per cucinare un menù all'arrabbiata tra gli altri Simone Ciccotti che preparerà «un uovo di fagianella con crema di patate di Pietralunga, sale di Cervia e tartufo bianco» Lina, Angelucci, Alberto Massarini, Giuliano Martinelli (azienda Giuliano tartufi) Marco Caprai (cantina Arnaldo Caprai) con il supporto del più famoso cuoco d'Italia Gianfranco Vissani. Che così commenta: «Mi sembra il deserto del Sahara, dopo 13 mesi ci devono dare delle risposte e aiuti veri. La vita è una sola e il governo deve riaccendere una fiamma che ormai si sta spegnendo. La vita se ne va, devono far tornare la fiducia e la sicurezza». Da uno stellato all'altra il refrain è lo stesso. Cristina Bowerman, cuoca di eccezionale caratura, anche come presidente dell'associazione Ambasciatori del gusto si schiera, nonostante il suo bellissimo ristorante a Trastevere, a Roma, abbia un accogliente dehor, dalla parte di chi non può riaccendere i fornelli. Dice: «Ritengo ingiusto che ci sia una penalizzazione senza che sia preannunciato un ristoro nei confronti di chi non può aprire perché non ha i tavoli all'aperto e parimenti credo che sia un grosso danno il mantenimento del coprifuoco alle 22, non possiamo limitare la cena». Sul punto della penalizzazione di chi non ha i dehor è intervenuta anche la Fipe Confcommercio che partendo da Milano (è stato chiesto al sindaco Beppe Sala di dare spazi gratuiti e di cancellare la Tari a chi è rimasto chiuso) chiede al governo di rendere gratuita la concessione di spazi all'aperto e di rivedere quanto prima i criteri per la riapertura dei ristornati. Chi invece apprezza la parziale ripartenza è Paolo Bianchini (presidente del Movimento imprese ospitalità) animatore della protesta di Roma del 6 aprile che sottolinea: «Registro con soddisfazione che le nostre richieste con la reintroduzione della zona gialla, il blocco dei mutui, dei finanziamenti e degli sfratti commerciali che avevamo sottoposto al senatore Matteo Salvini sono state accolte. Voglio ringraziare il leader della Lega per la concretezza e la vicinanza al nostro settore». Anche Bianchini però insiste per la riapertura anche per chi non ha spazi esterni. Chi gli spazi esterni ce l'ha, ma deve combattere ancora con ordinanze regionali e provvedimenti del governo sono gli ambulanti. I mercati a esempio in Toscana e in Campania sono ancora bloccati, soprattutto quelli del sabato che sono la migliore occasione di vendita. Per questo ci sono state nuove proteste tanto a Napoli, come a Bologna e a Firenze. Chi invece si sente completamente abbandonato è il settore dello spettacolo. Ieri a piazza del Popolo a Roma sono tornati i mille bauli. Da 419 giorni i lavoratori dello spettacolo sono fermi e senza introiti. È stato una sorta di raduno degli artisti italiani con Renato Zero che ha salutato tra gli applausi i ragazzi e le ragazze dei bauli: «Sono qui con voi per dimostrare che non abbiamo paura di salire su quel palco». In piazza c'erano anche Max Gazzè, Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Manuel Agnelli, Emma, Diodato e Alessandra Amoroso. Le richieste sono chiare: un fondo che assicuri un minimo introito per quest'anno, un tavolo interministeriale per programmare la ripartenza, una riforma del settore con particolare riferimento alla previdenza e all'assistenza. Se no il giallo rafforzato è come il semaforo: non è un via libera, ma si rischia addirittura la multa.
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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Ecco #DimmiLaVerità del 10 dicembre 2025. Con il nostro Alessandro Rico analizziamo gli ostacoli che molti leader europei mettono sulla strada della pace in Ucraina.
L’intesa riguarda l’acquisto di un’area di 15.000 metri quadrati dal Consorzio ZAI e prevede un investimento complessivo di circa 20 milioni di euro. Si tratta di un progetto greenfield, cioè realizzato ex novo, che darà vita a un centro di manutenzione pensato fin dall’origine per rispondere alle esigenze della logistica ferroviaria europea e alla crescita del traffico merci su rotaia.
Il nuovo impianto sarà concepito secondo un modello open access, dunque accessibile a locomotive di diversi costruttori. L’hub ospiterà cinque binari dedicati alla manutenzione leggera e un binario riservato al tornio per la riprofilatura delle ruote, consentendo di effettuare test e interventi su locomotive multisistema e in corrente continua, compatibili con i principali sistemi di segnalamento europei. L’obiettivo è garantire elevati livelli di affidabilità e disponibilità operativa dei mezzi attraverso ispezioni programmate e interventi rapidi lungo l’intero ciclo di vita dei veicoli.
La scelta di Verona si lega alla centralità del corridoio Verona–Brennero, infrastruttura destinata a un deciso aumento della capacità ferroviaria con l’apertura della Galleria di Base del Brennero, prevista per il 2032. Il nuovo hub si inserirà inoltre in una rete già consolidata, integrandosi con il Rail Service Center di Siemens Mobility a Novara, operativo dal 2015 sul corridoio TEN-T Reno-Alpi e oggi punto di riferimento per la manutenzione di oltre 120 locomotive di operatori europei.
«Questo investimento rappresenta un ulteriore passo nel nostro impegno a favore di un trasporto merci sempre più sostenibile», ha dichiarato Pierfrancesco De Rossi, Ceo di Siemens Mobility in Italia. Secondo De Rossi, il nuovo hub di Verona è «una scelta strategica che conferma la fiducia di Siemens Mobility nel Paese e nel suo ruolo centrale nello sviluppo del settore», con l’obiettivo di rafforzare la posizione dell’Italia nella rete logistica europea e sostenere il passaggio verso modalità di trasporto meno impattanti.
Il progetto nasce dall’integrazione delle competenze delle due aziende. Siemens Mobility porterà a Verona l’esperienza maturata nella manutenzione delle locomotive dedicate al trasporto merci, mentre RAILPOOL contribuirà con il know-how sviluppato a livello europeo, facendo leva su sei officine di proprietà e su una rete di supporto che può contare su oltre 4.500 parti di ricambio disponibili a magazzino.
«Con il nuovo centro di manutenzione di Verona ampliamo il nostro potenziale manutentivo in una delle aree logistiche più strategiche d’Europa», ha spiegato Alberto Lacchini, General Manager di RAILPOOL Italia. Si tratta, ha aggiunto, di un investimento che riflette «un impegno di lungo periodo nel fornire soluzioni di leasing affidabili e complete», in grado di rispondere a esigenze operative in continua evoluzione.
La collaborazione tra Siemens Mobility e RAILPOOL si inserisce in un percorso avviato nel 2024, quando le due società hanno sottoscritto un accordo quadro per la fornitura a RAILPOOL di circa 250 locomotive, incluse le varianti multisistema Vectron oggi operative in 16 Paesi lungo i principali corridoi ferroviari europei.
Sul valore dell’investimento è intervenuta anche Barbara Cimmino, vice presidente di Confindustria per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti e presidente dell’Advisory Board Investitori Esteri. «L’investimento di Siemens Mobility in Veneto è un segnale significativo per la competitività italiana», ha affermato, sottolineando come il progetto confermi la centralità del Paese nella logistica ferroviaria europea e nei processi di transizione sostenibile. Un’iniziativa che, secondo Cimmino, evidenzia il contributo degli investitori internazionali nel rafforzare le filiere strategiche e la capacità dell’Italia di offrire ecosistemi solidi e competenze tecniche avanzate.
Per Siemens Mobility, la manutenzione delle locomotive resta una delle attività centrali anche in Italia, all’interno di una rete globale che comprende oltre 100 sedi in più di 30 Paesi e circa 7.000 specialisti. L’apertura del nuovo hub di Verona consolida questo presidio e rafforza il ruolo del Paese come snodo industriale e logistico in una fase di forte crescita del trasporto merci su ferro.
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