In Italia si continua a morire di Covid, molto più, in percentuale, che in altri Paesi. È quanto emerge dal rapporto della John Hopkins University, che segnala un tasso di mortalità, in Italia, il 21 marzo, di più di 6 morti al giorno per milione di abitanti, con trend in salita. Opposta la situazione in Paesi come il Regno Unito (circa 1,5 di morti per milione di abitanti), e Stati Uniti (3 morti), con curva in discesa: si dirà che sono nazioni che stanno vaccinando a tutto spiano. Ciò che impressiona, appunto, è il paragone con Paesi europei che scontano, come noi, difficoltà nelle vaccinazioni: la Germania, infatti, ha poco più di 2 morti ogni milione di abitanti, la Spagna 2, la Francia poco più di 3.
Come è possibile tutto ciò? La spiegazione è semplice, e sta nella scelta del governo italiano, presa quando a Palazzo Chigi c'era Giuseppe Conte (che non c'è più), al vertice del commissariato straordinario per l'emergenza c'era Domenico Arcuri (anche lui defenestrato) e al ministero della Salute Roberto Speranza (che invece sta ancora lì), di mettere a punto un piano di vaccinazioni basato sulle categorie e non sulle fasce d'età. Come tutti sappiamo, in Italia si sono vaccinati per primi gli operatori sanitari, e su questa scelta c'è poco da discutere. Quello che invece può e deve essere discusso, è aver deciso di riservare milioni di dosi di vaccini a personale amministrativo degli ospedali (che non frequenta i reparti Covid), docenti, forze dell'ordine, penitenziari, luoghi di comunità e operatori degli «altri servizi essenziali», indipendentemente da età ed eventuali patologie. Per non parlare delle distinzioni tra le diverse Regioni: in alcune zone d'Italia, come ad esempio in Sicilia, si era iniziata la campagna vaccinale di magistrati, avvocati e personale amministrativo della Giustizia, prima che il premier Mario Draghi bloccasse tutto riconducendo il piano vaccinale sul binario, più logico, delle fasce d'età: dai più anziani ai più giovani.
Oltretutto, secondo alcuni studi, la variante inglese, che ora dilaga, potrebbe essere più letale: se non si riprenderà immediatamente una vaccinazione a pieno ritmo, partendo dalle fasce più a rischio, e dunque prima dagli over 80 per poi passare agli over 70, saremo destinati a restare uno dei Paesi dove il Covi uccide di più in rapporto alla popolazione.
Secondo un rapporto dell'Istituto superiore di sanità, aggiornato al primo marzo, l'età media dei pazienti italiani deceduti e positivi al Covid è di 81 anni, più alta di oltre 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l'infezione (48 anni). Le donne decedute dopo aver contratto il virus hanno un'età più alta rispetto agli uomini (86 anni rispetto agli 80 degli uomini). Al primo marzo 2021, secondo il rapporto, erano 1.055 su 96.141 (l'1,1%), i pazienti deceduti positivi al Covid di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 254 di questi avevano meno di 40 anni (152 uomini e 102 donne con età compresa tra 0 e 39 anni). Di 62 pazienti di età inferiore a 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche; degli altri pazienti, 156 presentavano gravi patologie preesistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità) e 36 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.
Uno studio dell'Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale, lo scorso 19 febbraio, su dati del ministero della Salute, corrobora questa visione dei fatti: «Dal momento che sappiamo», si legge nel documento, «che la letalità del nuovo coronavirus aumenta esponenzialmente con l'età, la strategia migliore è quella di vaccinare le classi d'età più avanzate, per poi scendere. Quattro Paesi europei», prosegue lo studio, «Polonia, Repubblica Ceca, Finlandia e Svezia, hanno già somministrato almeno la prima dose di vaccino a un quarto o più dei loro ultra-ottantenni. Francia (23%) e Germania (22%) seguono a ruota: entrambi sono due grandi Paesi europei con una popolazione comparabile alla nostra, e con una quota di ultraottantenni altrettanto paragonabile. E l'Italia si ferma al 6%. Poco sopra la Lituania (3%), appena sotto la Croazia (7%)». L'altro ieri, 21 marzo, aveva ricevuto la doppia dose di vaccino appena il 14,7% degli ultraottantenni, mentre al 28,2% era stata somministrata la prima dose. Meno della metà dei nostri anziani è stata vaccinata. Un ritardo incredibile sulla tabella di marcia dettata a dicembre scorso dal ministro Speranza, secondo la quale tutti gli anziani del nostro Paese avrebbero dovuto essere vaccinati entro febbraio. Non solo: come già detto da Draghi, è mancato un coordinamento efficace tra Stato centrale e Regioni, un caos al quale il nuovo premier sta già rimediando.
Che la vaccinazione agli over 80 sia la vera arma per abbattere il numero dei morti lo dimostra quanto accaduto nelle Rsa, dove sono stati vaccinati ospiti e personale. Secondo un report di Iss, ministero della Salute e Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e l'Ars Toscana, tra l'ultima settimana di febbraio e le prime settimane di marzo i contagi nelle Rsa per anziani sono scesi allo 0,6% contro il picco del 3,2% raggiunto a novembre. E meno contagi, naturalmente, vogliono dire meno morti.
Ieri, a Palazzo Chigi, si è svolto un vertice tra Draghi, il commissario Francesco Paolo Figliuolo e il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio: «Entro le prossime 24 ore», ha garantito Figliuolo, «circa 1 milione di dosi del vaccino Pfizer verranno distribuite alle Regioni, interessando 214 strutture sanitarie, a seguito dell'approvvigionamento avvenuto nella giornata di oggi. Il vaccino Pfizer viene somministrato prioritariamente alla persone anziane e a quelle più vulnerabili al virus Covid19. Ad oggi sono oltre 2,8 milioni le persone fragili vaccinate a livello nazionale, con una tendenza in salita grazie alle ultime consegne».





