2019-09-12
Primo successo di Conte in Europa: «Come previsto, nessun risultato»
Lo staff della presidente Ursula von der Leyen certifica il flop del giro del premier a Bruxelles: «Come atteso, nessun esito concreto». Il premier fa il pieno di chiacchiere e «auspici» su flessibilità e immigrazione.Se non parlassimo di cose drammaticamente serie, ci sarebbe perfino da sorridere del tono quasi irridente - sotto il velo di una cortesia solo esteriore - con cui Bruxelles ha accolto ieri Giuseppe Conte: sarebbe il primo ministro di uno dei paesi fondatori dell'Unione, ma è sembrato più che altro il destinatario di istruzioni impartite con severità e distacco. Quanto alle mitiche richieste di flessibilità economica, sbandierate per settimane dalla nuova maggioranza giallorossa, sono state per ora totalmente ignorate; mentre sull'immigrazione sono stati ventilati impegni vaghissimi, scritti sull'acqua, e soprattutto concepiti per aggirare il 90% del problema, e cioè i migranti economici. Giudicate voi i toni, intanto. Ecco la dichiarazione attribuita ieri a fonti della neo presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, dopo l'incontro con Conte: «Non ci sono stati risultati concreti, ma i risultati non erano attesi». Come dire, solo chiacchiere, una conversazione davanti a un caffè: «Un buono scambio sulla nuova situazione politica in Italia, sull'immigrazione e sull'economia». Tutto qui. Altrettanto disarmante il presidente uscente della Commissione, Jean-Claude Juncker, reduce da un intervento di asportazione della cistifellea: «Sono stato contento la prima volta che è venuto e sono contento che sia ritornato», ha detto a Conte, lasciando il dubbio tra un (improbabile) messaggio in codice e un (probabilissimo) sforzo di non dire assolutamente nulla di politicamente impegnativo. Nel corso della giornata, Conte ha visto anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, il presidente designato del Consiglio Ue Charles Michel e il suo predecessore Donald Tusk. Prevedibile lo spin diffuso da Palazzo Chigi: Conte non è più la stessa persona di prima, si è liberato di Matteo Salvini, sta normalizzando il M5s, ha ricondotto l'Italia nell'alveo dell'europeismo, e via con inchini e genuflessioni. Ma la verità è che Conte torna a casa con un pugno di mosche in mano. Sull'economia, si è limitato a chiedere tempo: «Abbiamo bisogno di un po' di tempo per fare l'Italia digitale, dobbiamo riorientare il sistema industriale verso la green economy, dobbiamo fare investimenti, e vogliamo in modo trasparente fare un patto con l'Ue su questo». Di tutta evidenza, non sono le dichiarazioni di un leader che abbia strappato chissà quali margini e concessioni, ma solo di qualcuno che abbia chiesto e si prepari a continuare a farlo.In compenso, Conte ha cercato di suonare la grancassa sul tema dei migranti, facendo credere di aver ricevuto chissà quale supporto. A margine dei suoi incontri, il premier ha sottolineato che in Ue «c'è grande disponibilità a trovare subito un accordo, ancorché temporaneo. Poi lo stabilizzeremo, lo modificheremo, lo perfezioneremo, ma assolutamente dobbiamo uscire dalla gestione dei casi emergenziali affidati alla sola Italia. Qui abbiamo la massima disponibilità: adesso dobbiamo definire un po' i dettagli».E - di nuovo - giudicate voi se sia un «dettaglio» il fatto che l'intesa riguardi solo i profughi (raramente sopra il 10% di quelli che arrivano) o l'intera massa di coloro che entrano illegalmente, per il 90% migranti economici. «Sicuramente - ha detto Conte, manifestando nulla più di un auspicio - l'Italia vuole che anche in questo meccanismo temporaneo ci sia la sostanziale condivisione e ripartizione» dei migranti sbarcati dalle navi. E ancora: «In Italia non possiamo dirci soddisfatti del sistema dei rimpatri. Anche su questo abbiamo la piena attenzione e condivisione: d'ora in poi il meccanismo dei rimpatri dovrà essere gestito a livello europeo e soprattutto integrando gli accordi, che devono essere a livello europeo, e non possono essere affidati bilateralmente ai singoli stati». Infine, il jolly di Conte, giocato nel tentativo di gettare fumo negli occhi: «Probabilmente avremo dei paesi riluttanti. C'è consapevolezza però che chi non parteciperà ne risentirà sul piano finanziario, in modo consistente. Se siamo in Ue tutti devono partecipare a meccanismi di redistribuzione: quindi un meccanismo di solidarietà non può essere disatteso, se non a grave prezzo, per quanto mi riguarda». Un tentativo di puntare il dito sui paesi (non solo il gruppo di Visegrad) che hanno sempre detto no ai piani di ricollocamento obbligatori. Occhio alla fregatura, però. A meno di novità clamorose (delle quali non si ha notizia), Bruxelles punta a riciclare l'intesa-truffa che, in un vertice a Helsinki a metà luglio, Matteo Salvini (per una volta spalleggiato anche da Malta) respinse, nonostante le insistenze di Parigi e Berlino, rappresentate dai ministri dell'Interno Christophe Castaner e Horst Seehofer. In quell'occasione - al solito - Francia e Germania si confermarono accoglienti: ma solo con i porti degli altri. Peggio ancora: terminate le messe cantate, gli esercizi di alta retorica e i salmi sull'inclusione, il loro fermo obiettivo politico restò quello di indirizzare le grandi navi Ong e ogni altro flusso verso l'Italia, e lasciarci in carico quasi tutti quelli che sbarcano, in base al ben noto principio del paese di primo approdo. Per questo, al termine di un duro scontro, Salvini fece saltare il tavolo e disse no. Oltre al danno, Parigi e Berlino avevano architettato anche la beffa: e cioè valorizzare mediaticamente un piano di redistribuzione dei profughi. Piccolo dettaglio: come abbiamo già sottolineato, i profughi sono un'estrema minoranza (raramente sopra il 10%) di quelli che arrivano. Morale: tutti gli altri, cioè la massa dei migranti economici, i «clandestini» (parola che, nel felpato linguaggio europeo, nessuno osa pronunciare), difficilissimi da espellere, rimpatriare e rimandare indietro, sarebbero rimasti sulle spalle dell'Italia (e, in misura più limitata, di Malta).Ora qualcuno, nel solito triangolo Bruxelles-Parigi-Berlino, fa circolare l'ipotesi che, in un prossimo vertice a Malta, il 23 settembre, Francia e Germania possano fare un piccolo passo in più, impegnandosi a minime quote ulteriori, in termini di loro messa in carico. Ma con la consueta premessa-capestro: porti italiani riaperti, e il grosso del fardello sulle nostre spalle. Una chiara trappola. Insomma, dopo lo schiaffo a Paolo Gentiloni (commissariato dal lettone Valdis Dombrovskis), dopo il monito sul patto di stabilità (che va rispettato, altro che allentato), e dopo l'avvertimento al neo ministro dell'Economia Roberto Gualtieri («Sa cosa ci aspettiamo»), la von der Leyen e gli altri non tardano a far capire all'Italia - anche in materia di immigrazione - chi dà gli ordini e chi gestisce il pilota automatico.
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