2023-05-11
Il cortocircuito delle opposizioni rende impossibili riforme condivise
Giuseppe Conte (Imagoeconomica)
La Schlein e Conte sembrano aprire ma chiedono di non toccare i poteri del Colle. Questo però significa mettere fuori gioco presidenzialismo ed elezione diretta del premier o portare alla «paralisi costituente». Il governo propone il presidenzialismo e le opposizioni, esclusi Renzi e Calenda, dicono no. La Schlein è stata chiarissima: «Il presidente non si tocca». E così Giuseppe Conte. In sintesi: sono andati a un incontro con la presidente Meloni sul presidenzialismo per dire no al presidenzialismo stesso. Anzi, peggio: sono andati a un incontro sulla proposta di presidenzialismo sostenendo che qualche aggiustamento si può fare, ma che il presidente e le sue prerogative, ruoli e funzioni non si toccano. Come sapranno i lettori, di presidenzialismo (elezione popolare diretta del presidente della Repubblica) e di parlamentarismo (parlamentari eletti direttamente dal popolo che a loro volta eleggono il presidente della Repubblica) si cominciò a parlare in Italia durante i lavori della assemblea costituente tra il 25 giugno del 1946 e il 31 gennaio del 1948. Poi, per vari motivi, si decise di non farne più niente, in particolare di non fare un altro referendum che avrebbe spaccato in due l’Italia, piuttosto fragile, dopo il referendum del 2 giugno del 1946 che decise a favore della forma repubblicana e rifiutò la forma monarchica di guida della nazione. Dopo l’assemblea costituente si sono susseguiti vari tentativi di riforma costituzionale su questo tema e su altri che non hanno portato a niente, tanto è vero che oggi non abbiamo né un presidente eletto dal popolo né una forma più mitigata come quella francese che prevede il presidente della Repubblica eletto e il presidente del Consiglio nominato. Non abbiamo Carlo III, abbiamo più modestamente Sergio I. Scriviamo così perché in Italia siamo stati per un decennio governati da governi costruiti al Quirinale e non frutto di equilibri nati dalle elezioni politiche. Per la verità è nei poteri del presidente quello di sciogliere o meno le Camere. Fatto sta che con Napolitano prima e Mattarella poi per un bel po’ le elezioni ce le siamo sognate. Dare disponibilità per una riforma dell’assetto istituzionale di questo Paese, e magari andare anche verso una forma di premierato come c’è in Inghilterra (il premier viene eletto automaticamente individuandolo nei leader del partito che ha preso più voti nella coalizione vincente), significa andare verso il caos. Tant’è vero che in Inghilterra c’è il re, e prima ci fu la regina, qui non ci sono né re né regina, ci sono tanti sedicenti alfieri, tanti sedicenti cavalli di razza e moltissimi non sedicenti pedoni, volgarmente chiamati peones. C’è anche un gruppo di mattacchioni, ma non c’è mai lo scacco matto. La prima commissione bicamerale per la riforma delle istituzioni fu la commissione Bossi (83-85), poi ci fu la commissione De Mita-Iotti (93-94), poi ci fu la commissione D’Alema (97-98) che arrivò a dare delle indicazioni e dei correttivi al parlamentarismo ma lasciando intatte tutte le funzioni attribuite dalla Costituzione stessa al capo dello Stato. Dalla discussione di questi giorni risulta che siamo esattamente al punto in cui arrivò l’ultima commissione bicamerale. Quella commissione sancì un patto detto «Patto della crostata» che prendeva il nome dalla crostata cucinata dalla moglie di Gianni Letta, essendosi tenuto l’incontro per il patto a casa di Letta stesso. Quello che sta venendo fuori da queste prime discussioni sembra il «Patto della sbrisolona», ne spezzi un pezzetto e viene giù tutta. Non è semplicemente possibile fare una riforma in senso presidenziale (qualsiasi essa sia) e mantenere intatti i ruoli e le funzioni del presidente della Repubblica perché il risultato di questo tentativo è stato descritto bene dal costituzionalista Paolo Armaroli, che ha parlato di «paralisi costituente», perché tende a mettere insieme ciò che non è possibile mettere insieme: il parlamentarismo costituzionale con le prerogative, sempre costituzionali, del presidente della Repubblica. Alcune questioni. Chi comanda? Il presidente come nel presidenzialismo? O il presidente e premier come nel semipresidenzialismo? O ancora il premier come nel premierato inglese? Chi nomina e revoca i ministri? Il premier o il presidente? Chi può respingere le leggi? Il presidente o il premier possono essere sfiduciati dal Parlamento? Un premier direttamente eletto può sciogliere le Camere o continuerebbe a scioglierle il presidente della repubblica? È evidente che su questi punti la Schlein e la Meloni sono, per ora, agli antipodi. All’assemblea costituente il difensore forse più autorevole del presidenzialismo fu Piero Calamandrei, giurista, scrittore, professore di diritto processuale civile e uomo politico italiano. Figura di altissimo livello riconosciuta tale da tutti i padri costituenti. Il professore fiorentino sosteneva una tesi semplice e cioè che il presidenzialismo condiziona il sistema dei partiti perché in qualche modo li costringe a trovare un punto di sintesi, mentre il parlamentarismo ne è condizionato perché degenera in partitocrazia e i partiti non cercano una sintesi ma tendono a frastagliarsi e a fare accordi non per generare riforme ma per conquistare e mantenere posizioni di potere. In una seduta della Costituente del 5 settembre 1946 Calamandrei affermò che è più probabile che con un presidente vincitore «si formi una coalizione che abbia probabilità di essere più stabile di quella illusoria che si può invece attendere dai sistemi proposti da chi dà la preferenza alla repubblica parlamentare». Che dire di più e meglio?
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.