
Due diciannovenni e una minorenne. Hanno «visitato» l'appartamento del sindaco di Milano dopo che lui aveva annunciato l'intenzione di «chiudere anche i campi esistenti». Beccate in sei giorni.Quando era toccato a lui aveva minimizzato dandosi del «pirla» da solo. Un po' come se un furto in casa, tutto sommato, fosse qualcosa da mettere in conto. Ma forse il sindaco di Milano Giuseppe Sala non immaginava che ad entrare nel suo appartamento, il 27 maggio scorso, fossero state tre giovani rom senza fissa dimora, alloggiate magari proprio in uno di quei campi contro cui, appena qualche giorno prima di essere visitato, aveva lanciato un anatema, promettendo, con un cambio di rotta, la linea dura. Troppo tardi.A ripulirgli l'appartamento, ben prima di essere sloggiate, ci hanno pensato le tre «pantere dei furti», come sono state soprannominate dalle forze dell'ordine. Giovanissime, aggraziate, ben vestite e pettinate, griffate fino alla punta dei capelli per non dare nell'occhio e capaci di svaligiare una lunga serie di abitazioni nel centro di Milano, di rivendere la refurtiva in una villetta organizzata a supermarket della ricettazione e di farla franca per settimane.Almeno fino a ieri. Sono infatti finite in manette le tre rom sospettate di numerosi furti nel centro del capoluogo lombardo, tra cui appunto quello avvenuto a casa del primo cittadino.A formare la banda erano Gina Beltrami, di 19 anni, Claudia Riesteviski, anche lei diciannovenne, e una minorenne, tutte e tre abilissime a spacciarsi per brave ragazze, in giro per shopping e poi ad aprire le porte con il piede di porco.Vestite di tutto punto, lontane dallo stereotipo delle rom e dunque insospettabili, le giovani, come hanno dimostrato le immagini delle telecamere di sorveglianza di diverse zone della città in cui le ladre sono entrate in azione, passeggiavano lentamente sui marciapiedi in pieno giorno, chiacchierando amabilmente. E poi, appena possibile, approfittavano della distrazione di chi usciva da un portone per intrufolarsi negli androni dei palazzi più chic.Una volta dentro, le tre riuscivano a individuare gli appartamenti vuoti e a entrare senza troppe difficoltà. La refurtiva era sempre dello stesso tipo: gioielli, orologi, capi e borse griffate, tutta merce che poi veniva portata all'estero per essere rimessa sul mercato. Anche lo smercio dei preziosi rubati era organizzatissimo: in una villetta di Bollate, nel milanese, le tre, insieme evidentemente ad altri complici, avevano creato il punto di raccolta di borse e scarpe griffate, foulard, pellicce, capi di abbigliamento, cosmetici e profumi. Una base logistica dove la refurtiva veniva stoccata e selezionata. Anche altre complici contribuivano a rifornire il bottino, con preziosi in arrivo addirittura dalla capitale francese.La banda è stata individuata grazie a una serie di testimonianze e alle immagini delle telecamere che le vedevano in abitino a fiori e scarpe da tennis appostarsi accanto ai portoni e attendere l'uscita di casa del malcapitato inquilino e, poi, al momento giusto, sgattaiolare all'interno.Due delle ragazze sono state fermate dalla polizia vicino al palazzo di giustizia di Milano e gli agenti hanno poi ricostruito la storia a ritroso, identificando anche la terza complice. A incastrarle, a quanto pare, sarebbe stata l'impronta di un dito lasciata proprio sull'armadio della casa del sindaco, nella furia di buttare tutto all'aria. L'impronta corrispondeva con quella di una donna già schedata e con precedenti per furto: da quella gli agenti hanno dato il via alle indagini. Secondo gli inquirenti il furto nell'abitazione del primo cittadino non era voluto: le tre sceglievano a caso e per tentativi l'appartamento da svaligiare. A casa di Giuseppe Sala erano passate nel weekend tra il 26 e il 27 maggio. «Quando succede ti dici: sono stato un po' pirla… Nella fretta di prendere il treno per andare in Liguria nel weekend non ho messo l'antifurto», aveva commentato il sindaco dopo aver scoperto che le «pantere» gli avevano portato via tra gli altri oggetti un Rolex antico, una borsa di lusso, qualche oggetto d'oro, mentre non erano stati presi computer, né documenti.A proposito dei campi rom abusivi (che a Milano sono nove, secondo i dati resi noti dallo stesso Comune), appena una settimana prima di essere visitato dalle tre ladre il primo cittadino aveva detto: «Non sono un modello di successo né da replicare. Certamente non se ne creeranno altri. Verificheremo se c'è la possibilità di chiudere anche quelli esistenti. Non voglio buttargli la croce addosso, ma riteniamo che (i rom) non vengano a Milano per fare vacanza».
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(Ansa)
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