2022-06-08
10 giugno 1918, l'impresa di Premuda. Quando due piccoli Mas affondarono una corazzata
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Il Mas 15 in un filmato d'epoca. Nel riquadro la Santo Stefano colpita. (Marina Militare, Bundesarchiv)
Lo storico evento segna le celebrazioni annuali della Marina Militare. Al largo dell'Isola di Premuda, l'assalto al convoglio nemico e il siluramento della «Santo Stefano». Per gli Austro-ungarici fu un colpo durissimo, che mutò le sorti della Grande Guerra.La notte del 10 giugno 1918 il Capitano di corvetta Luigi Rizzo, incrociando con il suo Mas poco a Nord dell’isola di Premuda, notò una grande cortina di fumo stagliarsi tra il cielo e il mare scuro. Da questo scenario ebbe inizio una delle più eroiche imprese della Grande Guerra, che dal 1939 sul calendario è segnato come il giorno delle celebrazioni della Marina Militare italiana. L’impresa di Premuda si inquadra in uno dei periodi più difficili del primo conflitto mondiale per l’Italia e i suoi alleati. Erano passati solo otto mesi dalla ritirata da Caporetto alla linea del Piave, che sembrò in diversi momenti vacillare. Dal fronte di terra a quello del mare, l’iniziativa della Marina imperial-regia e della Kriegsmarine tedesca si rivolse all’Adriatico e all’attacco a sorpresa al blocco navale che gli Italiani mantenevano nel canale di Otranto. Nei giorni precedenti lo scontro del 10 giugno un imponente concentramento di navi da guerra e sommergibili si era tenuto a Pola, in Istria, fatto registrato dagli efficienti ricognitori del servizio aeronautico italiano. La storiografia non ha mai chiarito fino in fondo se vi fosse stata intercettazione dei dispacci austriaci oppure no. In ogni caso, due Motoscafi Armati Siluranti ebbero l’opportunità di fare la storia in una manciata di minuti nella notte del Mar Adriatico. E non soltanto si trattò di un’azione coraggiosa, una lotta tra Davide e Golia. La vittoria di Premuda fu ottenuta, oltre che dal valore degli equipaggi anche dalla tipologia di natanti impiegati, successo dell’eccellenza italiana nella cantieristica navale. I Mas erano non a torto considerati i mezzi degli arditi del mare per configurazione e modalità di impiego, quello di assaltatori veloci. Derivati da motoscafi ad uso civile negli anni ’10 del secolo scorso, i primi Mas avevano la chiglia completamente lignea e misuravano fuori dall’acqua 16 metri di lunghezza. Quelli che parteciparono all’impresa erano stati costruiti nei cantieri SVAN (Società Veneziana Automobili Navali) nel 1916. Con un dislocamento di 12 tonnellate, gli scafi dalla forma larga e piatta (che li rendeva particolarmente adatti alle acque calme dell’Adriatico), erano spinti da due motori a benzina Isotta Fraschini da 225 Cv ciascuno, per una velocità di punta tra i 18 e i 24 nodi. Armati di due siluri da 450 mm. e di una mitragliatrice Colt calibro 6,5, i Mas avevano in dotazione anche alcune bombe antisommergibile. Per approcciare silenziosamente le prede nelle azioni notturne, erano a disposizione due motori elettrici da 10 Cv l’uno.Quella notte del giugno 1918 il Mas 15 di Luigi Rizzo e il Mas 21 di Giuseppe Aonzo lasciarono il porto di Ancona alle 00:30 per una azione di pattugliamento nell’Adriatico settentrionale senza sapere dell’appuntamento che avrebbero avuto con la storia. L’incontro fu nel cuore della notte, faccia a faccia con un imponente convoglio di navi da guerra dirette in segreto verso Sud. Nel braccio di mare tra l’isola di Premuda e l’isolotto di Gruizza, dove era attivo un faro. Tra le ammiraglie, alcuni gioielli della Marina Imperial-regia, le corazzate Santo Stefano, Viribus Unitis, Prinz Eugen e Tegethoff. Tutte erano scortate da diverse torpediniere e da sommergibili tedeschi. Scorte distintamente le sagome delle ammiraglie, Rizzo diede l’ordine di avanzare a velocità ridotta fino alla distanza di circa 500 metri dalle chiglie delle corazzate. Quindi di colpo diede l’ordine di accelerare a tutta forza mentre l’equipaggio si preparava al difficile lancio dei siluri, un’operazione rischiosa per il peso degli ordigni che nel momento dello sgancio dai rostri compromettevano la stabilità dello scafo con il concreto pericolo di ribaltamento. Il Mas 15 e il Mas 21 sfrecciarono tra le torpediniere verso le prede di guerra. l’imbarcazione di Rizzo colpì alle 3:15 la chiglia della Santo Stefano con i due siluri, mentre quella di Aonzo mirò alla Tegethoff, che si salvò per la mancata esplosione delle cariche. La corazzata ferita, la Santo Stefano, fu centrata tra la parte di mezzo e la poppa, dai cui squarci penetrò una quantità d’acqua tale che attorno alle 6 del mattino, dopo essersi incendiata e rovesciata, sparì per sempre inghiottita dall’Adriatico. I due Mas responsabili, pochi istanti dopo lo sgancio dei siluri invertirono la rotta e a tutta forza si ritirarono inseguiti dalle cacciatorpediniere che per poco non le centrarono con le armi pesanti. Per distanziare gli inseguitori Risso e Aonzo rilasciarono anche le bombe antisommergibile, sparendo infine alla vista degli inseguitori, che raggiunsero Ancona quando il sole era già sorto sul porto, alle 7:00 circa . Alla notizia del successo si levò in volo una formazione idrovolanti ricognitori che confermò l’assenza di una delle corazzate e il rientro su Pola delle navi superstiti. L’affondamento della Santo Stefano costò ai marinai austroungarici 86 vite (14 morti e 72 dispersi) e in buona misura le sorti della guerra. Il contraccolpo psicologico dell’aver perduto una delle ammiraglie per l’azione di due piccoli scafi italiani fu imponente e il comandante della Marina austroungarica Miklòs Horthy decise di abbandonare l’idea di forzare il blocco di Otranto. L’Adriatico era ormai in mano alla Regia Marina, sottovalutata dai comandi nemici. Il Capitano Rizzo, insignito della Medaglia d’Oro, coronò con un’ulteriore onorificenza un incredibile curriculum di guerra che destò l’ammirazione, l’amicizia e le lodi di Gabriele d’Annunzio con il quale due anni più tardi compirà l’impresa di Fiume. Con il Vate e Galeazzo Ciano (padre di Costanzo) partecipò alla «beffa di Buccari», nel 1917 affondò in porto a Trieste la corazzata austriaca Wien e fu responsabile della difesa del litorale di Grado e delle foci del Piave. Dopo il ritiro dal servizio che terminò con il grado di ammiraglio ebbe alcune cariche ad honorem nella guerra d’Etiopia. Rientrerà volontario in servizio nel 1940 e all’armistizio, per essersi rifiutato di cedere le navi ai tedeschi, fu arrestato e deportato nel campo di prigionia austriaco di Hirschegg. Morì a Roma nel 1951 ed è sepolto nella sua città, Milazzo. A lui è intitolata una fregata europea multi missione (Fremm) della Marina Militare Italiana, la F595 «Luigi Rizzo».
Ursula von der Leyen (Ansa)
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