2021-07-23
«Il pranzo di lusso offertomi dal super pm»
Giovanni Salvi e Luca Palamara (Ansa)
Luca Palamara svela in tribunale i dettagli dell'invito ricevuto da Giovanni Salvi, titolare delle azioni disciplinari sui giudici. Secondo l'ex toga, gli avrebbe chiesto aiuto per diventare Pg di Cassazione.Circa un anno fa, presentando le linee guida per i giudizi disciplinari collegati al caso Palamara, il Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, l'inquirente più alto in grado della magistratura, aveva stabilito che «l'attività di autopromozione» delle toghe nei confronti dei consiglieri del Csm, «effettuata direttamente dall'aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari». Alcuni giudici fuori dalle correnti avevano ironizzato: «Secondo l'indulgente Procuratore generale, il self marketing rientra nel necessario bagaglio professionale di ogni magistrato aspirante ad un incarico direttivo. Perché se lo fa uno allora anche il competitore è legittimato a farlo, anzi deve».Chissà cosa diranno adesso che Luca Palamara, nelle spontanee dichiarazioni rese ieri a Perugia, ha approfondito la vicenda della presunta «autopromozione» che Salvi, il Pg che lo ha fatto radiare, avrebbe portato avanti con lui. Davanti al gup Piercarlo Frabotta (che oggi dovrebbe decidere sull'eventuale rinvio a giudizio) Palamara ha dovuto spiegare, su richiesta del giudice, una chat con l'amico poliziotto Renato Panvino. Il quale, a un certo punto, mentre si lamenta del ministro dell'Interno Marco Minniti («Spero che il pelato non mi lasci qui a morire») chiede a Palamara di salutargli Salvi. Essì perché i due magistrati in quel momento stanno per vedersi. In una cornice davvero esclusiva, quella del Martis Palace, la cui terrazza affaccia sui tetti intorno a piazza Navona. Un albergo lussuoso il cui ristorante, come si legge sul sito, «grazie all'estro creativo dello chef», propone manicaretti che conciliano tradizione e modernità come lo «scrigno cacio e pepe con dadolata di pere» e le «tagliatelle di farro bio alla “gricia"». L'ex leader della corrente di Unicost ha persino consegnato una brochure ai magistrati perugini, accompagnandola con queste parole: «Questa è la terrazza… con Salvi… che non ha mai visto nessuno… per dire che non avevamo bisogno del buon Centofanti (Fabrizio, il lobbista accusato di essere il corruttore di Palamara, ndr) per mangiare… mangiavamo da soli».L'ex presidente dell'Anm ha esibito anche la chat con lo stesso Pg, il quale alle 12 e 14 del 23 giugno 2017 gli scrisse: «Perché non resti anche a pranzo? Colazione leggera, ma gustosa». Un invito che l'ex pm accettò «con piacere».Di fronte al gup ha dettagliato la presunta «autoraccomandazione» del Pg: «Il 23 giugno è il giorno del famoso incontro su questa terrazza romana tra me e Salvi (allora, ndr) Pg della corte d'appello […]. Perché è importante la chat con Salvi? Perché testimonia come l'attività di lobbista di Centofanti non c'entrasse nulla con le nomine. Su quella terrazza io vengo invitato da Salvi e mi sono alzato dal tavolo senza avere pagato il pranzo che mi era stato offerto […] Questo era un sistema che funzionava. Se il Procuratore generale mi invita e si autoraccomanda è perché così funzionava, al punto che addirittura bisognava partire con 6 mesi di anticipo… perché il procuratore Salvi sa del mio rapporto con Riccardo Fuzio (l'altro candidato Pg, coindagato di Palamara, ndr), sa che ormai io sto prendendo un'altra strada». Nel senso che sta sparigliando e sta mandando all'aria la vecchia maggioranza di centro-sinistra che comandava nella magistratura. Ma allora perché quel pranzo? «Io in quel momento ho un rapporto importante con il procuratore Salvi che origina dal suo trasferimento da Catania a Roma (sostenuto anche da Palamara, ndr), rispetto a quella situazione si cercano di ristabilire dei contatti». Però, al Martis Palace, l'ex pm non si sarebbe fatto convincere: il suo candidato e quello del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone resta il centrista Fuzio e non il progressista Salvi. In aula Palamara ha raccontato che il 14 dicembre 2017, senza dir niente al vicepresidente del Csm, il piddino Giovanni Legnini («che si arrabbiò molto»), in commissione sposta quattro voti su Fuzio lasciando a Salvi solo quello del consigliere di Md. L'ex pm ha spiegato a Perugia che a convincere Autonomia e indipendenza e Magistratura indipendente è stato «un accordo correntizio» per far votare da Unicost Giovanni Mammone (di Mi) come primo presidente della Cassazione e Stefano Schirò (di A&i) come aggiunto. La sera del 14 dicembre Palamara andò a casa di Pignatone a «esultare» visto che l'attuale presidente del Tribunale del Vaticano «era in quel momento più vicino a Fuzio perché nella sua testa Giovanni Salvi era il consigliere che all'epoca gli preferì Francesco Messineo come procuratore di Palermo». Insomma dietro alle nomine ci sarebbero anche vecchi regolamenti di conti. Ma dopo la sbronza di euforia Pignatone avrebbe rivelato a Palamara l'esistenza dell'inchiesta sui suoi rapporti con Centofanti: «Nel momento in cui mi stavo allontanando Pignatone mi richiama e mi fa quella che per me… lo so che siamo al limite di una rivelazione, ma in quel momento sono rapporti umani e personali [… ] è un amico è un riferimento che dice “fai attenzione la tua frequentazione va avanti da un anno […] adesso, come è doveroso, dovranno essere svolti accertamenti su tutto ciò che è accaduto"». Nel febbraio del 2018 Centofanti viene arrestato e a maggio dello stesso anno il fascicolo viene trasferito a Perugia per gli accertamenti su Palamara.Ieri abbiamo contattato Salvi per raccogliere un commento sulle dichiarazioni di Palamara: «Valuterò il da farsi. Le posso dire che le cose non sono assolutamente andate in quei termini e per rendersene conto basterebbe leggere altre comunicazioni. Io non ho avuto nessun favore e non ho chiesto nessun favore. Non c'è nulla in questa vicenda di cui mi debba vergognare, al contrario e chiunque facesse una verifica su quello che è successo in quei sei mesi lo potrebbe vedere senza alcun bisogno di dichiarazioni da parte mia».
Mahmoud Abu Mazen (Getty Images)
(Guardia di Finanza)
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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Viktor Orbán e Giorgia Meloni a Roma (Ansa)
Giorgia Meloni (Getty Images)