2023-12-23
«La sovranità alimentare migliorerà la capacità produttiva dell’Italia»
Ettore Prandini (Imagoeconomica)
Ettore Prandini, appena riconfermato alla guida Coldiretti: «Essere autosufficienti in campo agricolo fermerebbe lo spopolamento delle aree interne, che tornerebbero a dare frutti».Ettore Prandini è stato appena riconfermato alla guida di Coldiretti, con una maggioranza molto vicina al cento per cento. Un risultato notevole, come notevoli sono le ambizioni e i progetti di questo leader molto determinato e pronto a dare battaglia.Prandini, l’abbiamo lasciata alle prese con la lotta senza quartiere contro la cosiddetta carne sintetica. Quella battaglia la considera vinta o è appena iniziata?«Credo che su questo argomento abbiamo acceso la luce. Quasi nessuno ne parlava a livello globale, e intanto i grandi potentati economici cercavano di ottenere autorizzazioni senza che si aprisse una forte discussione su questi prodotti per cui si usano cellule staminali, ormoni e antibiotici nelle fase di crescita. Si è cercato di usare le persone come cavie. Tutto questo in Italia l'abbiamo vietato, e io dico per fortuna».Ma?«Ma siamo solo all'inizio di questo percorso, e sappiamo benissimo che i passaggi successivi saranno a livello europeo. Però ci fa particolarmente piacere il fatto che la Francia abbia già intrapreso un percorso citando la legge italiana, e lo stesso sta avvenendo in Austria. Quindi inizia a montare una sensibilità che, grazie all'attenzione che abbiamo avuto nell'aprire un dibattito a livello europeo, ci auguriamo possa portare all'equiparazione della carne sintetica - in termini di autorizzazione - ai prodotti di carattere farmaceutico. Vogliamo evitare, come dicevo, che le persone possono essere utilizzate come cavie. E soprattutto vogliamo evitare concentrazioni di ricchezza nelle mani di pochissime persone».Un altro tema piuttosto caldo è quello della crisi climatica. Si sente spesso ripetere che l'agricoltura sia fra i maggiori responsabili delle emissioni.«L’Italia sotto questo aspetto è un esempio positivo: abbiamo il dato più basso in assoluto per quanto riguarda le emissioni in atmosfera legate agli allevamenti zootecnici, siamo attorno al 5,5% per cento. Parlo di ammoniaca, non di polveri sottili. L'ammoniaca rimane in atmosfera mediamente dai 10 ai 12 anni, mentre le polveri sottili rimangono per secoli se non per millenni, quindi c’è una differenza sostanziale rispetto ad altri comparti produttivi. Ma noi possiamo fare ancora di più, anche col sostegno delle risorse del Pnrr, rispetto alle energie rinnovabili».Ad esempio?«Biogas, biometano, ma anche innovazione: la gestione dei reflui zootecnici ci porterà a fissare il carbonio nel suolo e questo ci condurrà, nell'arco di qualche anno, a diventare il primo comparto a impatto zero per quanto concerne proprio le emissioni. A questo proposito però ci sarebbero anche altri punti su cui concentrarsi».Quali sarebbero?«Per esempio ricordo che oggi più del 30% di cibo viene sprecato e sulle tavole dei consumatori non arriva. La sfida dovrebbe essere quella di riequilibrare i consumi. E mi permetta di aggiungere una cosa sull’Europa».Aggiunga.«L’Europa ha provato negli anni passati a favorire le importazioni di prodotti provenienti da altri continenti. Il paradosso è che il continente europeo ha una responsabilità in termini di emissioni che va da 6 all'8%, e parliamo di tutti i comparti. Ebbene, favorire prodotti provenienti da altri continenti va a impattare di più in termini ambientali, perché non è che spostando il problema lo risolviamo. Se io il problema lo sposto ad esempio in Brasile, dove si è registrato un aumento esponenziale dell'utilizzo di prodotti fitosanitari dal 1990 ad oggi (un aumento credo intorno al 25%), è chiaro che non sto facendo nulla di positivo. In Italia questo dato l'abbiamo diminuito del 23% dal 1990 ad oggi, e siamo il Paese che utilizza meno prodotti fitosanitari».Insomma, sta dicendo che il tema della difesa della natura va oltre la sola questione delle emissioni. Affrontiamo però un altro argomento caldo. Lei spesso parla di «sovranità alimentare», un concetto che a molti non piace.«Mi permetta. Un conto è il sovranismo, un conto è la sovranità. Difendere la sovranità agroalimentare significa porsi delle sfide per aumentare la nostra capacità produttiva. Qualcuno dice che è impossibile, ma io ritengo che sia una strada da percorrere».E come?«Lo do qualche dato difficilmente smentibile. Per esempio sull’utilizzo dall'acqua in agricoltura: sul 30% dei terreni irrigui noi produciamo l’80% del valore dell’agroalimentare italiano. Se noi realizziamo bacini di accumulo e passiamo dal trattenere l'11% di acqua piovana a trattenerne il 50%, andremo a implementare le zone irrigue, soprattutto nelle aree interne. Questo che cosa significa? Intanto, si evita lo spopolamento delle aree interne, delle aree collinari e delle aree montane. Poi si creano le condizioni perché questi territori possano tornare ad essere interessanti dal punto di vista produttivo, permettendoci di tornare autosufficienti in molte filiere. Sovranità alimentare significa valore economico che resta nel nostro Paese, maggiore occupazione, maggiore redditualità, capacità e conoscenza, per arrivare a ottenere il risultato io mi sono prefisso: arrivare nell'arco di quattro anni a un valore assoluto legato all'esportazione di 100 miliardi di euro».Negli ultimi tempi abbiamo visto gli agricoltori europei farsi sentire con molta decisione, prima in Olanda, poi in Germania. Siamo di fronte a un soggetto politico nuovo?«Nelle nazioni in cui non c'è attenzione o non si dialoga con gli agricoltori, difficilmente si governa. E la nostra non è ovviamente una minaccia. Quando qualcuno ci definisce filogovernativi, io rispondo che noi abbiamo cultura di governo, che è una cosa diversa. Che cosa significa avere cultura di governo? Avere un dialogo proficuo, costruttivo. E se otteniamo delle risposte dall'esecutivo, non ho capito perché lo dovrei criticare, anzi lo ringrazio. Non a caso siamo riusciti a prevenire situazioni che abbiamo visto in Olanda e in Germania. L'ultima manifestazione degli agricoltori tedeschi è avvenuta perché c'è stato un taglio significativo al sostegno sull'utilizzo del gasolio agricolo. Se guardo ciò che è avvenuto in Olanda, addirittura c'era stato uno stanziamento di risorse economiche per incentivare la chiusura degli allevamenti zootecnici».E giustamente gli agricoltori reagiscono.«Ma certo, non si può non avere una reazione. Ma guardi che non coinvolge solo gli agricoltori».In che senso?«Se in Olanda il Partito dei Contadini è diventato così importante è perché non lo hanno votato solo gli agricoltori, ma una larga parte della popolazione. La quale, al di là di quanto si vorrebbe far credere, comprende l'importanza di avere delle produzioni agroalimentari interne, e non è disponibile a delocalizzare o far sì che ci sia una concentrazione delle produzioni nelle mani di pochissimi soggetti. Io penso che la forza dell'Italia in questi ultimi anni sia stata quella di preservare la sua biodiversità, la sua distintività. Quella che ancora oggi il mondo ci invidia. E credo potremmo fare ancora di più se avessimo il coraggio di iniziare politica che sia in grado di sostenere maggiormente la filiera agroalimentare».Come, concretamente?«In questo caso penso a ciò che i francesi hanno saputo fare meglio di noi negli anni. Ad esempio evitando che soggetti provenienti da altri Paesi possano acquistare i loro gioielli agroalimentari. La nostra idea è che Ismea si trasformi in una cassa depositi e prestiti finalizzata alle filiere agroalimentari, creando delle sinergie nei confronti di quelle industrie o cooperative nostrane che vogliano acquisire altre imprese italiane. Imprese che non per forza devono essere vendute a soggetti stranieri».