L'ex ragazzo di campagna torna in televisione dall'8 febbraio su Sky con «Lei mi parla ancora», adattamento cinematografico dell'autobiografia scritta da Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio ed Elisabetta.
L'ex ragazzo di campagna torna in televisione dall'8 febbraio su Sky con «Lei mi parla ancora», adattamento cinematografico dell'autobiografia scritta da Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio ed Elisabetta. Pupi Avati non ha parlato di un film, ma di una «storia esagerata», tra le cui pieghe potrebbe essere custodito l'antidoto ad una modernità sciocca. «Lei mi parla ancora», adattamento cinematografico dell'autobiografia scritta da Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio ed Elisabetta, «È il racconto di una dismisura che mi sembra sia venuta a mancare nel sistema su cui si regge il nostro Paese e l'Occidente tutto. C'è una strana prudenza, oggi, un trattenersi negli affetti. “Per sempre" mi sembra sia una locuzione avverbiale ormai soppressa», ha spiegato il regista, raccontando di un tempo lontano, in cui, invece, «Era ricorrente, e non solo nell'amore. C'era un “per sempre" negli affetti, nell'amicizia. Le cose e gli oggetti erano “per sempre"». Ed è stato il «per sempre», la possibilità di vedere riemergere la forma di un mondo oggi sommerso, ad aver attratto Avati, e con questi Renato Pozzetto. L'attore, incarnazione storica della comicità italiana, non avrebbe voluto prestarsi ad un ruolo drammatico. «Mi hanno chiamato, però, e ho chiesto il copione. Ho finito per leggerlo tre volte, mi sono commosso enormemente», ha detto Pozzetto, spiegando così la decisione di interpretare Nino, versione cinematografica di Giuseppe Sgarbi. Nino, nella pellicola, il cui debutto si avrà su Sky Cinema alle 21.25 di lunedì 8 febbraio, è vedovo di una donna con la quale ha condiviso la vita intera. «Lei mi parla ancora è un libro che si occupa di una storia d'amore anacronistica, che ha una durata impensabile nell'oggi. Dopo sessantacinque anni di matrimonio, un signore, un farmacista di Ro Ferrarese, perde la moglie. La figlia, acutamente, immagina di non poter lasciare il padre da solo, in una farmacia di paese, in una villa immensa. Così, gli fornisce un senso alla vita che vada a compensare l'assenza di questa presenza femminile che non c'è più [Stefania Sandrelli nel film, ndr]. Gli suggerisce di raccogliere su carta la genesi del suo amore e provvede il padre di un giovane scrittore volenteroso, deputato a raccogliere i suoi racconti». Lo scrittore, «ghost-writer» come lo ha chiamato Pozzetto, è interpretato nella pellicola da Fabrizio Gifuni, che Pupi Avati ha trasformato nel polo di una dialettica complessa. «Nino è un anziano signore con una concezione ottocentesca della vita, ancora legata alla continuità, alla tenacia con la quale un tempo si teneva insieme la famiglia. Lo scrittore ha una vita di tutt'altro tipo: un matrimonio durato tre anni e una bambina che vive con la madre. Ed è nella relazione tra i due, che si sviluppa il nostro racconto». Un racconto drammatico, che ha posto a Renato Pozzetto una sfida. La pellicola, in seguito alla quale l'attore ha ricevuto i complimenti della famiglia Sgarbi («Mi hanno telefonato dopo aver visto il film. Era sera, hanno elogiato la mia interpretazione e mi ha reso felice, perché nelle loro parole ho letto il bene che hanno voluto al padre», avrebbe detto), è la prima drammatica cui Pozzetto partecipa. «Dopo averci pensato a lungo, mi sono convinto di poter interpretare la parte con onestà», ha spiegato, raccontando di come si sia fidato ed affidato a Pupi Avati. «Pensavo che avrei messo mano al copione, invece ho solo chiesto di poter interpretare una scena a modo mio: mangiare i ravioli con il cappello in testa. Pupi me lo ha concesso. Mi ha fatto molti complimenti, mi ha gratificato tanto», ha spiegato l'attore, che di Avati sembra aver condiviso la stessa visione della storia e, per conseguenza, della società odierna. Avati ha raccontato il presente come un'epoca segnata «dalla precarietà degli affetti, sua componente meno apprezzabile». «Ho vissuto la prima volta negli anni Cinquanta, ho fatto allora le prime esperienze. Sono il periodo che conosco meglio, ci sguazzo negli anni Cinquanta. È evidente che se mi trovo a raccontare il presente, balbetto, faccio fatica. Ho bisogno di consulenti, di qualcuno che mi aiuti a decodificarlo. Perciò, spesso, nei miei film guardo al passato. Credo che sia utile, poi, raccontare ai giovani come siamo stati». Non per una qualche volontà politica, per un rigurgito ostinatamente passatista, ma per un amore sincero di quel che è stato e non è più. Lei mi parla ancora è figlio di questo spirito, dell'orgoglio per l'Italia di un tempo, per il suo slancio ingenuamente ottimista. È un film, un libro suggerito ad Avati da Maurizio Caverzan. Ed è una medicina alla bulimia – anche affettiva – cui il presente sembra averci indotto. «Un giornalista di cui non farò il nome mi ha confessato di avere una certa situazione con la moglie. Poi ha visto la pellicola e ha cambiato idea», ha spiegato Avati, raccontando insieme a Pozzetto, profondo e credibilissimo nel suo primo ruolo drammatico, l'importanza di un impulso che possa essere «Immortale». O, quantomeno, provare a.
Formitalia, azienda toscana di Quarrata, ha firmato l’allestimento del Conference Center di Sharm el-Sheikh dove è stato siglato l’accordo di pace per Gaza. Un esempio di eccellenza italiana che porta il design nazionale al centro della diplomazia mondiale. «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico», dice Lorenzo David Overi, ceo del gruppo.
C’è anche un pezzo d’Italia — e precisamente di Quarrata, nel cuore della Toscana — dietro la storica firma dell’accordo di pace per Gaza, siglato a Sharm el-Sheikh alla presenza del presidente statunitense Donald Trump, del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, del turco Recep Tayyip Erdogan e dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. I leader mondiali, riuniti per «un’alba storica di un nuovo Medio Oriente», come l’ha definita lo stesso Trump, hanno sottoscritto l’intesa in un luogo simbolo della diplomazia internazionale: il Conference Center di Sharm, allestito interamente da Formitalia, eccellenza del Made in Italy guidata da Gianni e Lorenzo David Overi, oggi affiancati dal figlio Duccio.
L’azienda, riconosciuta da anni come uno dei marchi più prestigiosi dell’arredo italiano di alta gamma, è fornitrice ufficiale della struttura dal 2018, quando ha realizzato anche l’intero allestimento per la COP27. Oggi, gli arredi realizzati nei laboratori toscani e inviati da oltre cento container hanno fatto da cornice alla firma che ha segnato la fine di due anni di guerra e di sofferenza nella Striscia di Gaza.
«Tutto quello che si vede in quelle immagini – scrivanie, poltrone, arredi, pelle – è stato progettato e realizzato da noi», racconta Lorenzo David Overi, con l’orgoglio di chi ha portato la manifattura italiana in una delle sedi più blindate e tecnologiche del Medio Oriente. «È stato un lavoro enorme, durato oltre un anno. Abbiamo curato ogni dettaglio, dai materiali alle proporzioni delle sedute, persino pensando alle diverse stature dei leader presenti. Un lavoro sartoriale in tutto e per tutto».
Gli arredi sono partiti dalla sede di Quarrata e dai magazzini di Milano, dove il gruppo ha recentemente inaugurato un nuovo showroom di fronte a Rho Fiera. «La committenza è governativa, diretta. Aver fornito il centro che ha ospitato la COP27 e oggi anche il vertice di pace è motivo di grande orgoglio», spiega ancora Overi, «È come essere stati, nel nostro piccolo, parte di un momento storico. Quelle scrivanie e quelle poltrone hanno visto seduti i protagonisti di un accordo che il mondo attendeva da anni».
Dietro ogni linea, ogni cucitura e ogni finitura lucidata a mano, si riconosce la firma del design italiano, capace di unire eleganza, funzionalità e rappresentanza. Non solo estetica, ma identità culturale trasformata in linguaggio universale. «Il marchio Formitalia era visibile in molte sale e ripreso dalle telecamere internazionali. È stata una vetrina straordinaria», aggiunge Overi, «e anche un riconoscimento al valore del nostro lavoro, fatto di precisione e passione».
Il Conference Center di Sharm el-Sheikh, un complesso da oltre 10.000 metri quadrati, è oggi un punto di riferimento per la diplomazia mondiale. Qui, tra le luci calde del deserto e l’azzurro del Mar Rosso, l’Italia del saper fare ha dato forma e materia a un simbolo di pace.
E se il mondo ha applaudito alla firma dell’accordo, in Toscana qualcuno ha sorriso con un orgoglio diverso, consapevole che, anche questa volta, il design italiano era seduto al tavolo della storia.
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- Piantedosi: «Valutiamo sanzioni ad Hannoun. Cortei pro Pal sfruttati dai violenti».
Lo speciale contiene due articoli.
Silvia Salis (Imagoeconomica)
Rincari del 20% per evitare la bancarotta alla municipalizzata. Ma il nuovo totem della sinistra diceva: «Non toccherò i servizi».






