2018-05-23
I poteri di Mattarella tra notaio e mazziere. Ma se boccia Conte è ferita costituzionale
Ci sono il dettato della Carta e la prassi recente, con presidenti interventisti come Oscar Luigi Scalfaro e Giorgio Napolitano. Che farà il Quirinale davanti al nome proposto da Movimento 5 stelle e Lega?Il presidente della Repubblica non sarà un notaio, ma non è nemmeno il Re Sole. Al netto delle personali interpretazioni del ruolo, che ha annoverato rigidi applicatori delle prerogative istituzionali, come il democristiano Giovanni Leone, ma anche interventisti alla Giorgio Napolitano, il mandato del capo dello Stato si esercita sul filo di una delicata dialettica tra le attribuzioni sancite dalla Costituzione e le regole non scritte di una prassi elastica.Quale sia il modello che Sergio Mattarella ha in mente, lo ha rivelato lui stesso, citando Luigi Einaudi: il secondo Presidente della Repubblica, nel 1953, spedì a Palazzo Chigi Giuseppe Pella, nome estraneo alla rosa dei partiti e tirato fuori dallo stesso Einaudi, che era stato suo professore universitario. Allora si trattava di far insediare un esecutivo tecnico e provvisorio. Lo stesso cui aveva pensato Mattarella prima dell'accordo tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Ma ora che l'inedita coalizione gialloverde sembra pronta a convergere su Giuseppe Conte, i margini di iniziativa del Quirinale si restringono.Come spiega alla Verità Giuseppe De Vergottini, professore emerito di diritto pubblico comparato all'Università di Bologna, se Mattarella ponesse un veto sulla persona di Conte, si aprirebbe «uno scontro costituzionale di una gravità inaudita», con il capo dello Stato in «contrapposizione frontale» ai due leader di Lega e 5 stelle. Per De Vergottini, però, il premier designato è in una posizione atipica, essendo stato pensato come esecutore di un programma che magari condivide, ma sul quale non ha avuto voce in capitolo. Ed è su questo, oltre che sulla questione dei trattati europei, che Mattarella potrebbe sollevare perplessità. Piuttosto ampio è poi lo spazio di manovra sui ministri, come ci conferma Raffaele Guido Rodio, professore di diritto costituzionale all'Università di Bari. Rodio sostiene che Mattarella ha fatto un uso ponderato dei propri poteri. Eppure, se il Quirinale questionasse i ministri, preoccupato dalle tendenze antieuro di Paolo Savona, possibile titolare del dicastero economico, o dall'ostilità alla Tav di Laura Castelli, papabile ministro delle Infrastrutture, piuttosto che a Einaudi la mente correrebbe a Oscar Luigi Scalfaro. Fu l'uomo del «non ci sto», nel 1994, a rifiutare la nomina di Cesare Previti, allora indagato, al ministero della Giustizia: «Devo insistere: per motivi di opportunità quel nome non può andare», disse Scalfaro a Silvio Berlusconi.Il paragone ha un chiaro significato politico. Scalfaro, infatti, fu quello che tese al Cavaliere una trappola mortale: lo convinse a dimettersi, promettendogli un governo tecnico presieduto da un uomo a lui vicino, ma poi lasciò che l'esecutivo di Lamberto Dini si spostasse progressivamente a sinistra, finché nel 1996 le elezioni non premiarono l'Ulivo di Romano Prodi. Guarda caso, all'epoca era proprio Berlusconi a rappresentare l'elemento di rottura, il pericoloso populista che minacciava l'affermazione dell'establishment ex comunista, smanioso di occupare i gangli del potere in seguito al crollo della prima Repubblica. Oggi, sono leghisti e grillini a essere guardati con sospetto dalla vecchia classe dirigente e dalle élite transnazionali. Perché il Colle si attiva solo quando arrivano governi scomodi? È pur vero che il ruolo del capo dello Stato è andato incontro a una notevole evoluzione, di pari passo con la crisi della partitocrazia, della democrazia parlamentare e, poi, del bipolarismo. Nel 1970, nel suo manuale di diritto pubblico, il partigiano e padre costituente liberale Aldo Bozzi poteva considerare «evidente che i ministri debbano avere la fiducia del presidente del Consiglio» e concludere, dunque, che fosse «da escludere che il capo dello Stato abbia il potere di rifiutarne la nomina». Bozzi aggiungeva che «il presidente della Repubblica non può imporre ministri di suo esclusivo gradimento». Erano però i tempi in cui i ministri venivano espressi «dagli organi del partito». Questa, invece, è l'era del leaderismo: il mattatore del Carroccio, sia pure saggiamente consigliato da Giancarlo Giorgetti, rimane Salvini, mentre i pentastellati, forse eterodiretti dalla Casaleggio associati, sono comunque rappresentati da Di Maio. Con un sistema che formalmente resta ancorato ai riti e alle procedure del parlamentarismo, il Colle si sente investito della responsabilità di sciogliere i nodi più intricati. Una sorta di presidenzialismo di fatto, che potrebbe indurre Mattarella ad alzare il tiro nei confronti della maggioranza di governo, per non apparire arrendevole.Da questo punto di vista, la vera anomalia è probabilmente il clima che i media e i politici stranieri stanno creando intorno al capo dello Stato. Mai si era assistito a un tale martellamento mediatico sulla discrezionalità di cui godrebbe il presidente della Repubblica. E mai i membri di un gabinetto straniero lo avevano esplicitamente tirato per la giacca, come ha fatto il ministro degli Esteri lussemburghese, Jean Asselborn, invocando l'intervento del Quirinale a tutela dell'agenda europeista. Mattarella non è un notaio, ma all'estero qualcuno pensa che sia il Re Sole.
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