
Il 15 aprile i pos si sono bloccati alla mattina
Quando ieri mattina come milioni di altri italiani in fila davanti alla cassa di un supermercato ho sentito gli altoparlanti avvertire che non funzionavano i pos e quindi si sarebbe dovuto pagare in contanti, mi è scappato un sorriso. Non solo perché la coda piuttosto lunga (siamo alla vigilia di Pasqua) è improvvisamente diminuita con carrelli stracolmi abbandonati all’improvviso, ma anche perché mi è venuto in mente qualche titolone di giornale sull’ultima stretta del governo a cittadini e commercianti: le super-multe che scatteranno da fine giugno per tutti gli esercizi che rifiuteranno anche piccoli pagamenti con carte di credito o bancomat.
Non c’era evento più beffardo di quello capitato ieri mattina in quasi tutta Italia per la misura draconiana dell’ennesimo governo convinto che fermare la circolazione dei contanti sia la misura fondamentale per combattere l’evasione fiscale. Chi avrebbe potuto multare ieri Mario Draghi, visto che per buona parte della mattinata è risultato impossibile ogni pagamento elettronico? Gli incolpevoli commercianti? I cittadini? Forse se stesso, per avere ideato la tagliola sbagliata nel momento meno adatto che ci sia. Perché nello smarrimento di chi non riusciva a fare la benedetta spesa per il week-end pasquale a molti è venuto il sospetto che il sistema fosse andato in tilt per un cyber-attacco e che la guerra in corso in Europa fosse divenuta più vicina a tutti grazie alla discesa in campo di plotoni hacker. Pare che ieri il caso non fosse questo e che si sia trattato di un colossale ma certo non banale disservizio informatico. Ma certo i tempi indicano come il rischio cyber sia tutto fuorché improbabile.
Eppure da anni è scatenata una guerra al contante come simbolo principe di criminalità economica. Un’offensiva che rende la vita difficile a una parte consistente di questo Paese che non ha grande familiarità con la moneta elettronica e magari con qualche anno in più ha qualche difficoltà a tenere a memoria i codici pin del proprio bancomat o della propria carta di credito. Da anni la guerra al contante ne ha abbassato i limiti di utilizzo, eppure non sembrano cogliersi grandi vantaggi in termini di recupero di evasione fiscale. Mentre sempre di più le cronache raccontano truffe ed evasioni di imposte per via informatica e finanziaria: le ultime quelle proprio lamentate da Draghi sul Superbonus edilizio.
Ogni anno l’Agenzia delle Entrate sostiene di avere recuperato dal sommerso fiscale somme consistenti: si era arrivati vicino ai 20 miliardi di euro poi nel 2020 e nel 2021 si è scesi a 12-13 miliardi di euro per via della contrazione del Pil in pandemia. Siccome il ministero dell’Economia ogni anno allega al Def un rapporto sulla stima della evasione fiscale che la quantifica intorno ai 100 miliardi di euro, uno avrebbe immaginato che con quei recuperi dichiarati nel giro di un lustro o poco più di evasione non avremmo più dovuto discutere.
Invece siamo sempre intorno a quei 100 miliardi di euro stimati, miliardo più, miliardo meno. Quindi le mostrine che ogni anno si appunta sul petto l’Agenzia delle Entrate sono un po’ fasulle: più che altro patteggiamenti sulla elusione fiscale di qualche multinazionale che preferisce transare che passare anni davanti ai tribunali fiscali a discutere perdendo tempo e alla fine forse anche più soldi. Questo vuole dire però che i provvedimenti draconiani contro l’evasione fiscale - in primis quelli che limitano il contante - alla fine non servono a un fico secco. Qualche grande evasore si pizzica grazie alla bravura della nostra Guardia di Finanza. Ma il corpaccione del nero non si riesce mai ad intaccare davvero.
Ed è facile capirne il motivo: intere aree dell’Italia sono amministrate dalla criminalità organizzata (italiana ma anche cinese, albanese, rumena, asiatica etc..) che si sostituisce in tutto e per tutto allo Stato. Il nero è il suo habitat naturale, e il bancomat obbligatorio non è l’arma letale in grado di eliminarlo. Come assai poco può fare il limite al contante all’altro sommerso che circola in tutto il Paese: il reddito da lavoretti di complemento per integrare o stipendi assai bassi (penso a quello degli insegnanti) o sussidi pubblici che disincentivano il lavoro regolare e richiedono una integrazione, come reddito di cittadinanza o Naspi concessi con grande leggerezza e senza particolare sistema di controllo. Forse è più utile pensare a questo che prendersela con commercianti e anziani per l’uso del contante.
La torbida vicenda che ruota attorno alla controversa figura di Jeffrey Epstein è tornata di prepotenza al centro del dibattito politico americano: nuovi documenti, nuovi retroscena e nuove accuse. Tutte da verificare, ovviamente. Anche perché dal 2019, anno della morte in carcere del miliardario pedofilo, ci sono ancora troppi coni d’ombra in questa orribile storia fatta di abusi, ricatti, prostituzione minorile, silenzi, depistaggi e misteri. A partire proprio dalle oscure circostanze in cui è morto Epstein: per suicidio, secondo la ricostruzione ufficiale, ma con i secondini addormentati e l’assenza delle riprese delle telecamere di sicurezza.
Lo Scico della Guardia di finanza ha eseguito ieri un decreto di sequestro per circa 2,2 milioni di euro emesso dal Tribunale di Roma su proposta dei pm della Direzione distrettuale Antimafia, nei confronti di Giancarlo Tulliani, attualmente latitante a Dubai e fratello di Elisabetta Tulliani, compagna dell’ex leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini. La sezione Misure di prevenzione del Tribunale della Capitale ha disposto nei confronti di Tulliani il sequestro di una villa a Roma, di conti correnti accesi in Italia e all’estero e due autovetture di cui una di lusso, per un valore complessivo, come detto, di circa 2,2 milioni di euro. «Il profitto illecito dell’associazione, oggetto di riciclaggio, veniva impiegato, oltre che in attività economiche e finanziarie, anche nell’acquisizione di immobili da parte della famiglia Tulliani, in particolare Giancarlo», spiega una nota. «Quest’ultimo, dopo aver ricevuto, direttamente o per il tramite delle loro società offshore, ingenti trasferimenti di denaro di provenienza illecita, privi di qualsiasi causale o giustificati con documenti contrattuali fittizi, ha trasferito le somme all’estero, utilizzando i propri rapporti bancari.
Casalasco apre l’Innovation Center: così nasce il nuovo hub del Made in Italy agroalimentare
Casalasco, gruppo leader nella filiera integrata del pomodoro, ha inaugurato oggi a Fontanellato il nuovo Innovation Center, un polo dedicato alla ricerca e allo sviluppo nel settore agroalimentare. L’obiettivo dichiarato è rafforzare la competitività del Made in Italy e promuovere un modello di crescita basato su innovazione, sostenibilità e radicamento nel territorio.
All'evento hanno partecipato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, l’amministratore delegato di FSI Maurizio Tamagnini, il presidente della Tech Europe Foundation Ferruccio Resta e il management del gruppo. Una presenza istituzionale che sottolinea il valore strategico del progetto.
Urso ha definito il nuovo centro «un passaggio fondamentale» e un esempio di collaborazione tra imprese, ricerca e istituzioni. Per Marco Sartori, presidente di Casalasco Spa e del Consorzio Casalasco del Pomodoro, l’hub «non è un punto d’arrivo ma un nuovo inizio», pensato per ospitare idee, sperimentazioni e collaborazioni capaci di rafforzare la filiera.
L’amministratore delegato Costantino Vaia parla di «motore strategico» per il gruppo: uno spazio dove tradizione e ricerca interagiscono per sviluppare nuovi prodotti, migliorare i processi e ridurre l’impatto ambientale. Tamagnini, alla guida di FSI – investitore del gruppo – ricorda che il progetto si inserisce in un percorso di raddoppio dimensionale e punta su prodotti italiani «di qualità valorizzabili all’estero» e su una filiera sostenibile del pomodoro e del basilico.
Progettato dallo studio Gazza Massera Architetti, il nuovo edificio richiama le cascine padane e combina materiali tradizionali e tecnologie moderne. I mille metri quadrati interni ospitano un laboratorio con cucina sperimentale, sala degustazione, auditorium e spazi di lavoro concepiti per favorire collaborazione e benessere. L’architetto Daniela Gazza lo definisce «un’architettura generativa» in linea con i criteri di riuso e Near Zero Energy Building.
Tra gli elementi distintivi anche l’Archivio Sensoriale, uno spazio immersivo dedicato alla storia e ai valori dell’azienda, curato da Studio Vesperini Della Noce Designers e da Moma Comunicazione. L’arte entra nel progetto con il grande murale di Marianna Tomaselli, che racconta visivamente l’identità del gruppo ed è accompagnato da un’esperienza multimediale.
All’esterno, il centro è inserito in un parco ispirato all’hortus conclusus, con orti di piante autoctone, una serra e aree pensate per la socialità e il benessere, a simboleggiare la strategia di sostenibilità del gruppo.
Casalasco guarda già ai prossimi sviluppi: accanto all’edificio sorgerà un parco agri-voltaico realizzato con l’Università Cattolica di Piacenza, che unirà coltivazioni e produzione di energia rinnovabile. L’impianto alimenterà lo stesso Innovation Center, chiudendo un ciclo virtuoso tra agricoltura e innovazione tecnologica.













