Nel 2011, ancora studente a Yale, JD Vance partecipa con i compagni di corso alla conferenza di un venture capitalist assai noto, che ha quasi sempre fuggito le luci dei riflettori: Peter Thiel. È un incontro folgorante, decisivo per la carriera futura di quel laureando che tanta strada avrebbe fatto assai in fretta. Thiel va a Yale per spiegare agli studenti che con l’università non avrebbero fatto grande carriera, mentre il salto decisivo sarebbe avvenuto lasciando ogni piano progettato per correre nella Silicon Valley, per cambiare verso al simbolo che stava smarrendo la sua missione nel costruire il futuro del mondo. Nove anni dopo, Vance racconta quella conferenza in un saggio pubblicato sulla rivista The Lamp. «Thiel sostenne che eravamo sempre più coinvolti in competizioni professionali spietate», racconta JD, «noi studenti di legge saremmo stati in competizione per i posti di assistente in appello e poi per quelli presso la Corte suprema. Saremmo stati in competizione per un posto di lavoro in studi legali d’élite, e poi per una partnership in quegli stessi posti. In ogni momento, ha detto, avrebbero potuto chiederci orari di lavoro più lunghi, alienazione sociale dai nostri coetanei […]. Ha anche spiegato che il suo mondo, la Silicon Valley, stava dedicando troppo poco tempo alle scoperte tecnologiche che migliorano la vita, come quelle nel campo della biologia, dell’energia e dei trasporti, e troppo invece ai software e ai telefoni cellulari. Se l’innovazione tecnologica avesse guidato davvero la prosperità, le nostre élite non si sarebbero sentite sempre più in competizione tra loro per un numero sempre minore di risultati importanti». Il discorso di Thiel suscita una radicale crisi personale in J.D.: «Ero ossessionato dai risultati in sé, non come fine di qualcosa di significativo, ma per vincere una competizione sociale. […] Mi ritenevo istruito, illuminato e soprattutto saggio, almeno rispetto alla maggior parte degli abitanti della mia città. Eppure, ero così ossessionato dall’ottenimento di credenziali professionali - un tirocinio presso un giudice federale e poi un posto da associato in uno studio prestigioso - da non capire altro. Ho guardato al futuro e mi sono reso conto di aver fatto una corsa disperata in cui il primo premio era un lavoro che odiavo. Iniziai subito a pianificare una carriera al di fuori dell’avvocatura, ed è per questo che dopo la laurea ho trascorso meno di due anni come avvocato praticante». Alla fine del proprio intervento a Yale, Thiel dice agli studenti che vogliano approfondire il discorso: «Potete contattarmi e venirmi a trovare». Lascia i suoi recapiti e uno di loro - ovviamente, JD - lo contatta al volo, dando una svolta inimmaginabile alla propria vita professionale.
Peter Thiel è uno dei personaggi più geniali e controversi della storia della Silicon Valley. Fonda PayPal, il primo sistema di pagamenti alternativo alla rete bancaria, facendolo diventare un colosso internazionale fondendolo con la X.com di Elon Musk, suo grande amico. Investe su Mark Zuckerberg, mettendo una quota di capitale nel lancio di Facebook (che poi avrebbe venduto con una plusvalenza di oltre un miliardo di dollari). Nato in Germania, a Francoforte, emigrato negli Stati Uniti con la sua famiglia prima a Cleveland in Ohio e poi in California (ma nel frattempo si è spostato con i suoi in Sudafrica e in Namibia), cambia sei istituti e tre Paesi durante le scuole elementari; eppure, nonostante le difficoltà, appare subito un bambino prodigio. Si appassiona al gioco degli scacchi, risultando così abile da entrare dopo pochi anni nella top ten dei migliori scacchisti d’America. Inizia a divorare dai dieci anni in poi i libri di fantascienza di Isaac Asimov, innamorandosi anche dello Hobbit e del Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Nel 2014 è il primo miliardario americano a fare coming out, rivendicando la sua omosessualità. Da sempre geniale e assai poco convenzionale, perfino un po’ folle, come Musk. Costruisce un impero finanziario mantenendo l’ossessione per Tolkien: la sua prima società di investimento l’ha chiamata Palantir, dal nome della pietra talismano che vede e prevede nel Signore degli Anelli, e con nomi tratti dall’opera di Tolkien battezza ben sei società di venture capital. Fonda anche movimenti politici nel campo conservatore e litiga con tutti i grandi della Silicon Valley, quando nel 2016 decide di appoggiare anche finanziariamente la scalata di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Cavalca i temi della destra americana, ma è al contrario angosciato dal cambiamento climatico, che vede come l’Apocalisse biblica (è anche profondamente credente). [...]
Questo è il genio folle e controverso che, nel 2011, rimane colpito da quel giovane studente che bussa alla sua porta per approfondire i temi della conferenza a Yale, forse anche rispecchiandosi in lui.
Tra i due scocca subito l’intesa, e il futuro Vance getta alle ortiche i progetti di carriera legale, imparando dal nuovo mentore l’arte della finanza e anche la passione per Tolkien, che da subito lo contagia. JD viene assunto con qualifica dirigenziale nel 2016 da Thiel in una sua società di venture capital, la Mithril capital di Austin, Texas, fondata nel 2012 con il nome del metallo immaginario che Tolkien fa estrarre nelle miniere di Moria dai Nani e fa forgiare dagli Elfi. Il ragazzo si fa le ossa e impara rapidamente i rudimenti della finanza, anche se non dimentica la passione politica, che coltiva appena può. Lì non dura molto: i colleghi dell’epoca sosterranno che raramente si vedeva Vance in azienda e uno di loro - che resta anonimo - spiegherà al New York Times che la sola impronta del giovane in azienda era stata di fare sostituire la bibita iconica della Silicon Valley, la Croix (un’acqua minerale gassata e aromatizzata con vari gusti di frutta), con la Big Red, una bevanda effervescente dolcissima al gusto di chewing gum. Mentre il suo nuovo sponsor Thiel corre a finanziare la campagna elettorale di Trump, Vance comincia ad avere una certa popolarità grazie a Hillbilly Elegy e la sfrutta con qualche ospitata televisiva, come a Cbs morning, condotto da Charles Peete Rose Jr. Sorprende tutti in azienda, definendosi «un ragazzo che non sarà mai trumpiano». Qualche mese dopo, lascia la Mithril dopo un furioso litigio con il socio di Thiel, Ajay Royan, per quanto il dissidio verrà poi negato ufficialmente dalla società. Nei primi mesi del 2017, JD si trasferisce a Washington per lavorare sotto le insegne di un’altra venture capital, la Revolution [...]. Al termine di quella breve esperienza professionale, Thiel torna a dare una mano a Vance. Insieme a lui e ad altri amici della Silicon Valley ha lanciato una nuova società di venture capital, battezzata, manco a dirlo, con un riferimento al Signore degli Anelli: Narya Capital. Narya è l’anello rosso, uno dei tre anelli del potere in mano agli Elfi nel romanzo di Tolkien. Ceduto a Gandalf, lo stregone del Bene, quell’anello preserva le forze di chi lo indossa e non è assoggettabile dal Male. Si tratta di un riferimento assai ambizioso per una società finanziaria che vede all’inizio due soli soci fondatori: JD e Colin Greenspon, già suo superiore come amministratore delegato di Mithril. La società però, con queste sole risorse finanziarie, non sarebbe mai partita davvero. A darle capitale ci pensa Thiel, che raccoglie in breve tempo 93 milioni di dollari [...]. La società di venture capital, fin dall’inizio, risente molto dell’impronta di Vance, poiché l’idea originaria è di far nascere imprese e portare investimenti in quella parte profonda d’America abbandonata a se stessa, vittima della globalizzazione e della conseguente de-industrializzazione. Ben presto Narya diventa anche un piccolo braccio finanziario della nascente nuova destra repubblicana. [...] Tre investimenti di Narya sono fatti direttamente in Ohio, la terra natale di JD, e tutti hanno un certo successo, anche perché nel capitale raccolto rientrano decine di altri finanziatori. Tutti e tre gli investimenti sono puntati sulla città più grande dello Stato, Columbus. La prima società è Branch, fornitrice di assicurazioni per la casa e l’auto; la seconda è un’azienda farmacologica innovativa, AmplifyBio, che sviluppa anche alcuni vaccini per l’uomo; la terza è una società finanziaria, la Strive Asset Management, che commercia alcuni fondi indicizzati. Quando, nel 2022, Vance decide di affrontare la corsa nelle primarie repubblicane in Ohio per l’elezione in Senato, questi tre investimenti sono un fiore all’occhiello della sua campagna elettorale. «Ho creato mille posti di lavoro in questa terra», dice JD nei vari comizi. Gli americani sono però un pizzico pignoli e passano ai raggi x qualsiasi cosa dica un politico, perfino un candidato non così rilevante come era in quel momento Vance. Un portavoce della stessa Narya viene costretto a precisare il numero reale di quei posti di lavoro creati in Ohio: 750. Sono meno di mille, ma restano comunque una bella medaglia da appuntarsi sul petto.
Milioni di euro per costruire i prefabbricati per le relazioni dei detenuti
All'improvviso il via libera è arrivato in contemporanea sia dal ministero della Giustizia che dal ministero dell'Economia e delle Finanze. Grazie allo sblocco di Marta Cartabia e Daniele Franco ora ci sono i 28,3 milioni di euro che serviranno alla nuova legge sulle «relazioni affettive dei detenuti» che potrà marciare spedita in commissione giustizia del Senato.
La somma è importante, e certo sarà difficile capirne l'urgenza nel bel mezzo di una guerra in Europa, con imprese italiane e cittadini che soffrono la crisi energetica che ne è derivata e il Pnrr che sta mostrando tutti i suoi limiti e lentezze. Ma evidentemente anche per il governo di Mario Draghi è importante in questo momento pensare alle relazioni affettive dei detenuti. Ed è un pensiero costoso a luci rosse.
Perché l'ok che si sta dando è a un provvedimento che punta già nel 2022 a porre un prefabbricato (tipo quelli in cui vivono ancora i terremotati del centro Italia) all'interno di una casa circondariale in ogni regione, ristrutturando rapidamente ove già esistano alcuni fabbricati trasformabili in appartamento. Venti casette dell'amore entro fine anno, perché questa sarà la loro funzione: ospitare detenuti in regime di carcerazione duro e che quindi non possano godere di permessi premio, fino a un massimo di 24 ore consecutive al mese per fare sesso con la propria consorte, fidanzata, amante (anche per quella sola notte) ammessa per questo motivo alla visita nella casa circondariale.
Con tutto il rispetto per le relazioni familiari stabili e la loro esigenza di carnalità, più che una casetta in ogni carcere dunque arriverà qualcosa di più simile a un casino, perché la sua funzione principale era proprio quella esercitata nelle case chiuse prima della legge Merlin. Nel «modulo abitativo» (così viene definito dal ministero Giustizia) infatti potranno esserci in contemporanea tre detenuti con la propria o il proprio partner.
Il costo 2022 dell'operazione è 3,6 milioni di euro nel 2022 cui però si aggiungeranno altri 24,7 milioni di euro in un biennio per pagare 100 casette nuove e ristrutturare allo scopo altri 90 fabbricati esistenti in tutte le altre 190 carceri italiane. Nella relazione tecnica il governo scrive che «nell'ambito del panorama italiano lo strumento attraverso il quale meglio si realizza la soddisfazione dei bisogni affettivi e sessuali del detenuto è attualmente ancora quello del permesso premio, di cui all’art. 30 ter O.P., che la legge prevede anche al fine di coltivare interessi affettivi.
Tale beneficio, tuttavia, non costituisce una soluzione al problema, non essendo fruibile dalla generalità dei detenuti: esso infatti è riservato ai soli condannati che si trovino nelle condizioni descritte dalla legge». Il testo che ora si sblocca dunque innova e ha come suo fine «garantire l’esercizio del diritto all’affettività e alla sessualità dei soggetti in stato di detenzione conformandosi agli indirizzi europei richiamati (…) indirizzi che trovano nel dettato costituzionale riconoscimento e forza nel riferimento al diritto alla salute e al suo mantenimento garantito dall’articolo 32 della Costituzione, considerando che la salute psico-fisica viene compromessa da forzati e prolungati periodi di astinenza sessuale».
Per risolvere questa astinenza dunque si procede con la costruzione dei “casini” dell'amore, e via con i 28,3 miliardi che sbloccano ora un testo all'esame del parlamento su corsie preferenziali, ma che porta la firma del consiglio regionale della Toscana dove fu approvato fra lunghe battaglie del centrodestra dal solo Pd che da quelle parti però ha la maggioranza assoluta.
L'analisi sul governo
È corso un brivido prima sulla schiena di molti ministri, ieri pomeriggio quando alle 17,27 la portavoce del presidente del Consiglio Mario Draghi ha inviato nella chat dei giornalisti che seguono Palazzo Chigi tre righe improvvise: «Consiglio dei ministri convocato alle ore 18.00. All’odg Comunicazioni del Presidente». Perfino le maiuscole messe un po’ a capocchia hanno contribuito all’agitazione: nessuno dei convocati ne sapeva nulla, e c’è stato anche chi ha temuto un fulmine a ciel quasi sereno: le dimissioni del presidente del Consiglio.
O ancora peggio in questi tempi di guerra. Il mistero si è chiarito nel giro di una mezzoretta: Draghi per la prima volta dopo molto tempo ha voluto battere un colpo da Draghi. Davanti ai ministri è apparso un premier irritato e anche un po’ stufo delle liturgie e dei freni messigli da una strana e litigiosa maggioranza. Così Draghi ha voluto fare vedere a tutti che quando vuole sa battere i pugni. Non sulla guerra, non sul gas e sul petrolio, ma a sorpresa su un argomento che non sembrava in questo momento proprio in cima all’agenda politica: il ddl concorrenza che starebbe andando un po’ troppo per le lunghe per via della norma sui balneari che non passa in Senato con il centrodestra che frena la liberalizzazione delle spiagge.
Può fare simpatia ed essere anche popolare il Draghi che batte i pugni, e può trovare non pochi sostenitori anche sul punto delle concessioni sulle spiagge. Certo, avere fatto correre un brivido non solo ai ministri (che nulla sapevano prima che iniziasse il consiglio), ma pure ai mercati per una vicenda che onestamente sembra minore rende un po’ più difficile capire questa enfasi. Può essere che i partiti stiano stufando chi li deve tenere insieme. Ma che il suo compito non potesse essere una passeggiata doveva essere noto a Draghi le due volte (un anno fa e pochi mesi fa) in cui ha accettato l’incarico datogli da Sergio Mattarella. Ed è anche giusto in un paese normale che sia faticoso tenere insieme una maggioranza politica innaturale, che rappresenta due Italie diverse e spesso contrapposte negli interessi e nelle idee.
L’anomalia in un sistema democratico è un governo di questo tipo, non che fatichino a stare insieme Lega e Pd, Forza Italia e Cinque stelle: questo è naturale che accada. Se Draghi quella fatica voleva risparmiarsi doveva porsi il problema nel giorno stesso in cui ha fatto la lista dei ministri, scegliendo uomini e donne che voleva lui senza passare attraverso i vertici dei partiti. Ora diventa una fatica in più per il presidente del Consiglio: se i ministri di Forza Italia - per fare un esempio - dicono ok, questo non comporta affatto che i gruppi parlamentari seguano l’accordo, anzi. Quindi per portare a casa i provvedimenti tocca fare due giri: quello inutile in consiglio dei ministri, e poi i lunghi incontri con i leader di partito a cui Draghi non si sottrae, vivendoli però con lo stesso piacere di uno a cui si chiede di passare a gambe nude in mezzo a un sottobosco di ortiche. Ieri sera c’è stata la dimostrazione plastica di questa situazione: Draghi ha fatto minacciare la fiducia sul ddl concorrenza, che in effetti risale al dicembre scorso ed è ancora in prima lettura in commissione, sostenendo che l’approvazione è necessaria per ottenere i miliardi del PNRR e che questa era la missione primaria del suo esecutivo.
Gli hanno risposto con una cortese pernacchia i capigruppo di Forza Italia e Lega in Senato che in un comunicato hanno rivendicato la loro difesa dei balneari, aggiungendo ipocriti e pungenti allo stesso tempo: «Siamo ottimisti che si possa trovare un accordo positivo su un tema che, peraltro, non rientra negli accordi economici del PNRR». Il centrodestra vuole lo stralcio della norma, il governo non lo concederà e metterà la fiducia sul testo come è oggi convinto delle sue ragioni, che sono identiche a quelle della procedura di infrazione europea verso l’Italia e quelle con cui il Consiglio di Stato italiano ha bocciato ipotesi alternative. Chi vincerà il braccio di ferro? Se devo scommettere un euro in questo momento lo punto su Draghi, perché dallo sfogo di ieri non tornerà indietro e in questo momento una crisi politica danneggerebbe di più chi la va a provocare. Le spiagge interesseranno di sicuro i 100 mila che vi lavorano, ma agli altri milioni di italiani interessa solo potere trovare una sdraio e un ombrellone dove tirare il fiato qualche giorno con le proprie famiglie la prossima estate. Vincerà Draghi, e poi si metterà a posto in qualche modo per salvare la faccia a tutti. Ma questa giornata resterà come una ferita importante a pochi mesi dalla fine della legislatura. Passata la buriana sulla concorrenza resterà un governo davvero balneare a trascinarsi fino alla imminente fine...





