Sfida all’ultimo voto per la pubblicazione delle mail di Epstein. Chi trema di più?

La torbida vicenda che ruota attorno alla controversa figura di Jeffrey Epstein è tornata di prepotenza al centro del dibattito politico americano: nuovi documenti, nuovi retroscena e nuove accuse. Tutte da verificare, ovviamente. Anche perché dal 2019, anno della morte in carcere del miliardario pedofilo, ci sono ancora troppi coni d’ombra in questa orribile storia fatta di abusi, ricatti, prostituzione minorile, silenzi, depistaggi e misteri. A partire proprio dalle oscure circostanze in cui è morto Epstein: per suicidio, secondo la ricostruzione ufficiale, ma con i secondini addormentati e l’assenza delle riprese delle telecamere di sicurezza.
Sia come sia, il cadavere di Epstein continua a essere parecchio ingombrante. La Camera degli Stati Uniti ha raggiunto la soglia delle 218 firme necessarie per forzare il voto sulla pubblicazione integrale dei file legati al finanziere amico dei Clinton. Lo Speaker repubblicano Mike Johnson, pressato da una petizione bipartisan e incalzato dalla base Maga del Gop, ha annunciato che la proposta approderà in Aula la prossima settimana, anche se alcune testate americane parlano di un possibile slittamento a inizio dicembre. Il voto, insomma, servirà anche a misurare fino a che punto Donald Trump tiene ancora le redini del suo partito.
A far precipitare gli eventi è stata la divulgazione di una parte delle oltre 20.000 pagine di materiali riservati che gli eredi di Epstein hanno consegnato alla commissione Vigilanza. I democratici hanno diffuso una selezione dei documenti sostenendo che il loro contenuto dimostrerebbe «legami opachi» tra Trump ed Epstein ben oltre quanto finora ammesso dal tycoon. La Casa Bianca, da parte sua, ha reagito duramente, accusando l’opposizione di aver pubblicato messaggi «selezionati in modo tendenzioso» per danneggiare il presidente: «Queste email non provano nulla, se non che Trump non fece niente di male», ha ribadito la portavoce Karoline Leavitt.
Tra i passaggi più ripresi dai media figurano ora non solo le email già note, ma anche uno scambio di messaggi tra Epstein e Kathryn Ruemmler, ex consigliere legale della Casa Bianca sotto Barack Obama. La Ruemmler inviò al miliardario un link a un editoriale del New York Times sul caso della pornostar Stormy Daniels, commentando: «Non importa se erano soldi suoi (di Trump, ndr), il problema è la mancata dichiarazione». Epstein avrebbe risposto di «sapere quanto è losco Donald». In altre email, datate 2012 e 2019, alcuni collaboratori di Epstein discutevano delle finanze di Trump, arrivando a definirle «una farsa» o «cento pagine di assurdità». Non è tuttavia chiaro in quale contesto tali analisi siano state condotte né con quali obiettivi.
Accanto a queste rivelazioni figurano inoltre i messaggi del 2015 e del 2018 pubblicati da alcune testate liberal, nei quali Epstein avrebbe offerto a un giornalista del New York Times fotografie compromettenti del tycoon e si sarebbe vantato di essere «l’unico in grado di abbattere Trump». Ma il documento più dirompente è certamente quello in cui il finanziere pedofilo sostiene che Trump «sapeva delle ragazze»: frase che i democratici hanno cavalcato con forza, ma che la Casa Bianca giudica «totalmente destituita di fondamento». La «vittima senza nome» menzionata in un’email del 2011, per il resto, è stata identificata dai repubblicani in Virginia Giuffre, che però ha sempre escluso comportamenti illeciti da parte di Trump.
Al di là delle accuse incrociate, rimane accertato che Epstein, nel corso degli anni, aveva intrecciato rapporti soprattutto con figure di primo piano dell’establishment democratico e finanziario: la sua era, di fatto, una rete che attraversava in modo trasversale il potere americano. Del resto, i tentacoli della piovra Epstein e di Ghislaine Maxwell, ex amante e braccio destro del magnate pedofilo, si estendevano ben oltre l’Atlantico. A farne le spese è stato anche il principe Andrew. Alcune email del 2011 ora pubblicate, infatti, mostrano Andrew scrivere ai due «non ne posso più» dopo aver appreso che un tabloid britannico stava per pubblicare un articolo sulle sue frequentazioni. I democratici hanno chiesto all’ex duca di York di testimoniare da remoto, ma finora non è arrivata risposta.
A proposito della complice ed ex fiamma di Epstein, ieri la Cnn ha dedicato un’inchiesta ai privilegi di cui godrebbe la Maxwell nel penitenziario texano in cui sta scontando una condanna a 20 anni per adescamento di minori e altri reati commessi per conto dell’ex compagno: pasti personalizzati, palestra privata, visite con rinfresco, ore di pet therapy e accesso gratuito a servizi che gli altri detenuti devono pagare.
Per il momento, Trump ha invitato i repubblicani a votare contro la desecretazione dei file, definendo la vicenda «una trappola» costruita dai democratici per distogliere l’attenzione dai loro problemi interni. Ma Thomas Massie, cofirmatario repubblicano della proposta insieme al democratico Ro Khanna, sostiene che tra i 40 e 50 deputati conservatori sarebbero pronti a disobbedire al loro leader. Del resto, altre figure fino a ieri vicine a Trump - come Marjorie Taylor Greene, Lauren Boebert e Nancy Mace - hanno già appoggiato l’iniziativa, portando alla luce del sole un malessere profondo nella base del partito. Il voto della prossima settimana, insomma, dirà se il Congresso è davvero disposto ad aprire completamente il vaso di Pandora del caso Epstein. E se, a quel punto, Trump riuscirà a uscire indenne da uno scandalo che minaccia di scuotere le fondamenta dell’intero establishment a stelle e strisce.












