C’era una volta la dinastia Agnelli, quella che ha dominato l’Italia per decenni. E poi c’era Maria Sole Agnelli, la più defilata, la più elegante, la meno interessata ai bulloni del potere industriale. Quella che, potendo sedersi al tavolo dove si decideva il destino della Fiat, preferì sempre un altro tavolo: quello della vita, della cultura, dei cavalli, dei comuni di Provincia, delle scuole da rimettere a posto. È morta ieri, a 100 anni compiuti, chiudendo in silenzio un capitolo laterale ma indispensabile della saga Agnelli.
Maria Sole a differenza di Susanna, non si è mai occupata attivamente del gruppo Fiat, nemmeno nei momenti più difficili, quelli delle crisi industriali, delle ristrutturazioni, delle notti lunghe in corso Marconi. Non per disinteresse, ma per scelta. Delegò tutto prima a Gianni e poi al nipote John Elkann con quella distanza gentile che è spesso più incisiva della presenza ossessiva.
Nata a Villar Perosa il 9 agosto 1925 Maria Sole arrivò al mondo quando il nome Agnelli era già sinonimo di potere. Mentre Gianni si preparava a diventare «l’Avvocato» e Susanna a frequentare la diplomazia e la politica nazionale, Maria Sole costruiva un profilo tutto suo. Moderna senza clamore, indipendente senza mai doverlo rivendicare. Non amava i riflettori, ma sapeva usarli quando serviva. E soprattutto sapeva spegnerli. La sua prima grande scelta di autonomia arrivò lontano da Torino e ancora più lontano dalla Fiat: l’Umbria. Dopo la morte del primo marito, Ranieri Campello della Spina, Maria Sole accettò una sfida che nessuno si aspettava: diventare sindaco di Campello sul Clitunno. Era il 1960, l’Italia stava scoprendo il boom economico e le donne in politica erano ancora un’eccezione. Lei vinse senza comizi, senza slogan, senza campagne elettorali. Ottocentocinquanta voti su 1.200 aventi diritto. Un plebiscito senza la Fiat sullo sfondo. Per dieci anni, fino al 1970, amministrò il piccolo Comune umbro con concretezza e buon senso: strade, scuole, valorizzazione delle Fonti del Clitunno, turismo culturale ed enogastronomico quando ancora non era una moda ma una necessità.
Accanto alla politica, un’altra grande passione: i cavalli. Una vocazione autentica. La sua scuderia divenne una delle più importanti del secondo dopoguerra italiano. Il purosangue Woodland la portò sul podio olimpico, con la medaglia d’argento nell’equitazione individuale ai Giochi di Monaco del 1972.
La famiglia rimase sempre il centro di gravità permanente. Dal primo matrimonio nacquero Virginia, Argenta, Cintia e Bernardino; dal secondo, con Pio Teodorani Fabbri, arrivò Edoardo.
Se c’è stato un luogo in cui Maria Sole ha esercitato un’influenza profonda e duratura, quello è stata la Fondazione Agnelli. Per 14 anni, fino al 2018, ne è stata presidente, guidando progetti su istruzione, cultura e ricerca. Lì, lontano dalle catene di montaggio e dalle assemblee degli azionisti, Maria Sole ha lasciato un segno concreto, puntando sulle scuole, sulle nuove generazioni, sulla qualità del sistema educativo. Un lavoro silenzioso, ma decisivo. Come lei.
Negli ultimi anni era tornata suo malgrado sotto i riflettori per una rapina choc nella sua villa di Torrimpietra, vicino a Roma. Un episodio di cronaca nera che aveva colpito l’opinione pubblica più per il nome che per i gioielli rubati. Lei, anche in quel caso, aveva attraversato l’evento con la stessa compostezza con cui aveva attraversato un secolo intero.



