2018-12-29
Porcheria all’italiana: puniti gli innocenti
La chiusura di San Siro per due turni colpisce decine di migliaia di abbonati onesti, del tutto estranei alla vergogna di Inter-Napoli. È la fotografia della debolezza dello Stato e del sistema calcio: non sapendo isolare i colpevoli, si spara nel mucchio per fingere forza.L'ex difensore del Napoli Fabiano Santacroce: «Gli insulti per il colore della pelle piovono sugli avversari bravi, come Koulibaly. È ignoranza».Lo speciale contiene due articoli.Bisogna fermarli. Ma chiudere gli stadi è la contromisura giusta e, soprattutto, è efficace? Non si direbbe, visto che lo si è fatto decine di volte, eppure i cori razzisti non smettono d'infestare le curve e gli ultrà continuano a scatenare la guerriglia. Si parla da anni d'allontanare i violenti e riavvicinare le famiglie al calcio, ma ogni volta a rimetterci sono proprio queste ultime. La gente normale, la stragrande maggioranza di chi va a godersi la partita, che mai sognerebbe d'armarsi neppure di uno spillo o d'offendere un giocatore dalla pelle scura. Invece sono questi, gli amanti del calcio che non strepitano per imporre la loro voce, a essere allontanati dal rito collettivo della domenica. Che è un rito di pace e non di guerra, come invece sembrerebbe leggendo i giornali in questi giorni. E a farne le spese è tutta la comunità del pallone, fatta di sfottò bonari ma anche pacche sulle spalle.Può essere scontato tirare fuori qualche proverbio, però in questo caso ci azzeccano: non si fa di tutta l'erba un fascio, non si butta via il bambino con l'acqua sporca.Questa maggioranza silenziosa, che vive la partita come un modo di stare assieme e divertirsi, è la prima a essere defraudata dalla decisione del giudice sportivo di chiudere San Siro per due giornate e di far disputare un terzo match senza curva Nord. Ha senso punire tutti per colpa di un manipolo di delinquenti? O piuttosto è una sconfitta per il mondo e la filosofia dello sport? E poi chi ripagherà quei tranquilli tifosi che hanno già acquistato i biglietti o l'abbonamento stagionale? Sul sito dell'Inter non c'è, al momento, alcun riferimento. Si parla giustamente del fatto che «Inter significa integrazione, accoglienza e futuro» e si prendono le distanze dagli ultrà: «Chi non dovesse comprendere e accettare la nostra storia, questa storia, non è uno di noi». Ma ancora nulla al riguardo di eventuali rimborsi, che ci auguriamo arrivino. Perché chi non potrà andare allo stadio con gli amici, il figlio o la moglie, non ha proprio nulla a che fare con la morte di Daniele Belardinelli o i cori contro Kalidou Koulibaly. Ma non è soltanto questione di soldi, ci sono le emozioni perdute che non possono essere risarcite, così come la passione e il rammarico di gioire o disperare insieme, fino allo scoccare del 90°. Perché il calcio è anche questo.Nello sproloquio di questi giorni, in cui si è sentito anche minacciare l'abolizione del campionato, ci piace riportare la voce di Gian Piero Gasperini, allenatore dell'Atalanta: «L'idea di sospendere le partite è una grande stupidata, non è questo il modo di prendere provvedimenti. San Siro conta tutto l'anno 60.000 persone per Inter e Milan, sospendere le gare e chiudere gli stadi non è assolutamente la soluzione. Sono provvedimenti che fanno male al calcio e che, di conseguenza, fanno star male anche il sottoscritto. Il problema non è solo il razzismo, tutte le squadre hanno giocatori di colore. È tutto più ampio e serio. Si può combattere ma non chiudendo gli stadi e lasciando la gente fuori. Si deve iniziare prendendo le persone singole responsabili. Se sono dieci, vanno a casa».Proprio qui sta il nocciolo della questione, il provvedimento ha colpito l'interezza dei tifosi, senza alcuna distinzione. Non importa se colpevoli o meno, ma sicuramente gli innocenti sono immensamente più numerosi. Anche il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, solleva dubbi sulla decisione di sbarrare i campi: «Chiudere gli stadi e vietare le trasferte condanna i tifosi veri, che vanno distinti dai delinquenti, ed è la risposta sbagliata». Ma allora cosa si può fare? Certamente non si può accettare di piegarsi ai balordi, che si aggirano attorno a San Siro incappucciati e armati di coltelli. Il vicepremier spiega che convocherà «le società sportive, le tifoserie e gli arbitri per ragionare tutti insieme su come portare pulizia, tranquillità e sorriso nei campi di calcio». E avanza una possibile soluzione: «Certe partite non si giocheranno più in notturna, quelle più a rischio si devono giocare alla luce del sole e con elicotteri che possano controllare i delinquenti». Basterà? Ci riserviamo un giudizio quando il piano sarà più definito. Ma intanto, mentre si pensa alle contromisure, il prefetto di Milano, Renato Saccone, annuncia che la prossima partita in casa dell'Inter con tutto il pubblico sarà soltanto a metà febbraio. Spiega anche che l'obiettivo è isolare i violenti, che non si può far pagare a tutti comportamenti criminali. Come invece puntualmente accade. E, sempre aspettando di disinnescare i facinorosi, il Gos, il Gruppo operativo per la sicurezza che raggruppa le forze dell'ordine, dispone che per l'odierna Empoli-Inter la vendita dei biglietti sia limitata solo ai residenti in Toscana. Tutti gli altri per vedere la partita, soli e sul divano, devono pagarsi un abbonamento alla pay tv.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/porcheria-allitaliana-puniti-gli-innocenti-2624603521.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ti-gridano-negro-quando-capiscono-che-sei-il-piu-forte" data-post-id="2624603521" data-published-at="1758072614" data-use-pagination="False"> «Ti gridano “negro” quando capiscono che sei il più forte» Ansa «Chiudere tutto lo stadio è sbagliato, ci va di mezzo chi non c'entra nulla». Wellington Fabiano Santacroce è un calciatore italiano di colore. Nato nel 1986 in Brasile, a Camaçari, nello stato di Bahia, padre italiano e mamma brasiliana, Fabiano a 2 anni si trasferisce con la famiglia in Brianza, a Correzzana. Estroverso, gioviale, ha due passioni: il cinema e il calcio. Nel 1995 compare nel video Papà perché di Zucchero; l'anno dopo interpreta il ruolo di Jermal nel film Luna e l'altra di Maurizio Nichetti. Il ruolo che lo attrae di più, però, è quello di difensore: sceglie la strada del calcio, impara a marcare nel Brugherio e nel Bellusco, poi passa alle giovanili del Como. Nella squadra lariana debutta in serie C1 a 18 anni e si fa notare per agilità, abilità nell'anticipo e senso della posizione: si trova a suo agio sia come terzino che come centrale. Passa al Brescia in Serie B, poi segue le orme dei suoi compagni Marek Hamsik e Daniele Mannini e - nel gennaio 2008 - approda in serie A, dove esordisce col Napoli. Disputa tre stagioni in azzurro, costellate però da molti gravi infortuni. Dopo aver indossato le maglie di Parma, Padova, Ternana e Juve Stabia, oggi gioca a Cuneo. Ha anche disputato sette partite con l'Italia under 21. Fabiano, che ne pensi di quanto successo a Kalidou Koulibaly? «Sicuramente è stata una cosa tosta da sopportare per lui. So bene cosa significa essere presi di mira per il colore della pelle. A me è capitato già quando giocavo con le giovanili del Como. Avevo appena 16 anni quando ho iniziato a fare i conti con questo problema». Che ricordi di quelle esperienze? «In alcuni campi ricordo che addirittura i genitori degli avversari ululavano o facevano buuuu quando prendevo palla o intervenivo. Mi stuzzicavano, cercavano di innervosirmi per farmi perdere la concentrazione. Anche gli stessi avversari, a volte, mi insultavano con epiteti razzisti, e parlo di settore giovanile». Come reagivi? «All'inizio male, non erano i classici insulti da stadio, quelli rivolti alla squadra avversaria: erano indirizzati a me in quanto persona di colore. Mi ripetevo di non farci caso, di restare concentrato sulla partita. Devo dire che è una cosa che tocca, ferisce. Poi, col passare del tempo, maturando, ho iniziato a capire che mi prendevano di mira perché ero forte, perché marcavo bene, perché non lasciavo respirare gli attaccanti avversari». Non c'erano regole, sanzioni per i tifosi che si lasciavano andare a insulti razzisti? «Non esisteva nulla. Credo che non si tratti di razzismo vero e proprio, ma di profonda ignoranza. Queste persone tentano di disturbare l'avversario che giudicano forte, di farlo innervosire. Sono degli imbecilli, degli ignoranti che per far perdere le staffe al giocatore avversario si comportano in quel modo. Del resto, mica lo fanno solo i tifosi». E chi altri? «Sono un difensore, sapessi quante volte gli attaccanti avversari, quando li marcavo bene, mi hanno insultato con termini razzisti…». Anche in serie A? «Certo. È capitato diverse volte, anche quando giocavo col Napoli» E che ti dicevano? «“Negro di merda" e cose così. Lo fanno per innervosire, per provocare una reazione, per farti espellere. Mi dava molto più fastidio questo rispetto agli ululati dei tifosi». Fuori i nomi. «Assolutamente no». Torniamo ai fatti di San Siro… «Koulibaly è stato preso di mira perché è un giocatore forte che gioca in una squadra forte. Tra quella gente che si comporta così c'è di tutto: razzisti ma anche tanti ignoranti e imbecilli. Ma a me la cosa che ha dato più fastidio non sono stati gli ululati del pubblico». E allora cosa? «Il fatto che i giocatori di colore dell'Inter non si siano ribellati. Quando è capitato a qualche mio compagno o avversario nel mio piccolo ho protestato, ho cercato di farli smettere. Soprattutto quando è successo in campo: è la cosa più brutta». San Siro verrà chiuso per due turni: una decisione giusta? «Chiudere tutto lo stadio è sbagliato, ci va di mezzo la gente che non c'entra nulla. Persone perbene, famiglie, devono rinunciare a vedere quelle partite per colpa di alcuni imbecilli. Bisognerebbe invece colpire duramente i responsabili, non facendoli mai più entrare allo stadio. Ormai i nostri impianti sono pieni di telecamere, dovrebbero essere usate per individuare queste persone e punirle. E poi, ci vuole uno sforzo in più sul piano culturale. Bisogna partire dall'educazione, dal rispetto, altrimenti questi episodi succederanno sempre, come sono sempre successi». Noti differenze tra l'Italia e gli altri Paesi? «Gli insulti razzisti ci sono ovunque o quasi. È una vergogna difficile da combattere, perché alimentata dall'ignoranza, dalla stupidità».