2021-03-20
PopVicenza, la grande beffa. Zonin & C. condannati a un passo dalla prescrizione
Sei anni e mezzo all'ex presidente per il buco da 5 miliardi che ha affossato la banca. Riconosciuti colpevoli anche tre manager. Tempi lunghi per l'inchiesta sul fallimento Giovanni Zonin, sono sei anni e sei mesi. Come quelli che ci sono voluti per arrivare, ieri, alla sentenza di primo grado. A meno che l'ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, protagonista di un buco da cinque miliardi di euro che ha travolto 120.000 risparmiatori, non faccia il bel gesto di rinunciarvi, a fine anno la prescrizione cancellerà tutto quanto. Sull'ipotesi di bancarotta fraudolenta, l'unica contestazione che potrebbe portare a una condanna vera, la Procura di Vicenza è ancora alle indagini preliminari. In compenso, impazza la retorica del «maxiprocesso», che invece è nato monco ed è finito mini.Ieri pomeriggio, poco dopo le 16, nell'aula «C» del tribunale di Vicenza lo Stato ha dunque fatto la faccia feroce. Soprattutto nei confronti di un signore che ormai, avendo 83 anni, giustamente non farà mai un giorno di carcere. Un collegio di sole donne, presidente Deborah De Stefano, dopo 26 ore di camera di consiglio ha condannato il re del vino a sei anni e sei mesi di reclusione. L'accusa aveva chiesto per Zonin ben dieci anni, ma con la prescrizione in arrivo (e l'età dell'imputato) poteva anche chiederne quaranta e sarebbe stato lo stesso. Per quanto riguarda gli altri imputati, l'ex vicedirettore generale Emanuele Giustini è stato condannato a sei anni e tre mesi (su otto anni e mezzo chiesti dai pm), gli altri ex vice direttori Paolo Marin e Andrea Piazzetta hanno avuto sei anni (le richieste erano rispettivamente di sei e cinque anni). Assolti perché il fatto non costituisce reato l'ex consigliere di amministrazione Giuseppe Zigliotto, per il quale l'accusa voleva otto anni e due mesi, e l'ex dirigente Massimiliano Pellegrini, per il quale erano stati chiesti otto anni. I reati contestati, a vario titolo, erano il falso in prospetto, l'aggiotaggio e l'ostacolo alla vigilanza.Alla lettura della sentenza, Zonin non era presente, per evitare clamore inutile su una vicenda che comunque, a sette anni dal crac e dalla letale ispezione della Bce di Mario Draghi, pare già abbastanza rimossa, perfino dalla memoria collettiva dei vicentini. Ma è stato un imputato modello, presente a quasi tutte le udienze, con i suoi occhi azzurrissimi a guardare fisso ogni singolo testimone. Ed è stato, forse anche il suo modo per ringraziare una Procura e un Tribunale che nel corso delle lunghe indagini non aveva certo calcato la mano. Pur accusato di un'autentica voragine bancaria, a Zonin non mai è stato ritirato il passaporto e non ha fatto un giorno di carcerazione preventiva, come invece è toccato al suo collega Vincenzo Consoli, di Veneto Banca. Non solo, ma l'unica persona che poteva metterlo davvero in difficoltà al processo, il suo ex braccio destro, l'ex direttore generale Samuele Sorato, si è ammalato quasi subito e la sua posizione è stata quindi stralciata. Considerando che, almeno nelle intercettazioni telefoniche, Sorato e Zonin scaricavano le colpe delle famose «baciate» e dei buchi di bilancio l'uno sull'altro, si può ben capire che razza di processo è andato in scena.Così, a ridosso della sentenza e tacendo della prescrizione prossima ventura, la giustizia si è lodata a suon di numeroni. Secondo i dati ufficiali, per arrivare a questa sentenza di primo grado su uno scandalo del 2014-2015 ci sono volute 116 udienze in due anni (alcune anche al sabato), con 160 testi ascoltati, 7.780 parti civili costituite e un milione di pagine d'inchiesta. Colpe dei vigilanti? Non ce ne sono state e non ce ne potevano essere, così aveva ritenuto già la Procura, guidata durante le indagini da Antonino Cappelleri, che a novembre del 2019 ha poi ottenuto di fare il procuratore capo di Padova, città dove ha sempre vissuto. Il suo successore, Lino Giorgio Bruno, ascoltato la settimana scorsa dalla commissione parlamentare d'inchiesta sui crac bancari, quando gli hanno chiesto di eventuali responsabilità di Via Nazionale, ha sottolineato: «Bankitalia si è costituita parte civile, e i colleghi mi hanno riferito che la collaborazione da parte sua è stata assoluta». E quando in Commissione gli è stato domandato se il trasferimento della vigilanza a Francoforte avesse influito sull'emersione dello scandalo vicentino, il procuratore ha affermato: «Indubbiamente, il 2014-2015 segna un discrimine importante: la vigilanza su banche di questo tipo passa dalla Banca d'Italia alla Bce, e senza dubbio i criteri della Banca centrale europea hanno portato una nuova disciplina di dettaglio e regolamentare». Di sicuro, la Popolare di Vicenza non era una banca qualsiasi, visto che controllava l'istituto siciliano Banca Nuova, ovvero, come ha scoperto La Verità nell'autunno del 2017, la banca che ospitava tutti i conti dei servizi segreti.Insomma, niente arresti, niente processo con l'ex capo azienda Sorato, niente reati gravi come quelli fallimentari, Bankitalia e Consob subito considerate come vittime di raggiri e artifizi contabili e sentenza di primo grado dopo sei anni. Si capisce bene che per parlare di «maxiprocesso» tocca affidarsi alle statistiche tipo partita di Champions League, con il numero dei faldoni al posto dei chilometri percorsi dai centrocampisti.Ma visto che per sciogliere nell'acido la Popolare di Vicenza e Banca Nuova, regalandola a Intesa Sanpaolo, la si è dovuta mettere in liquidazione coatta, è rimasto in piedi il grande dubbio: è se si fosse trattato di un fallimento? Ebbene, dopo una lunga battaglia in punta di diritto, vari tribunali hanno deciso che sì, la Vicenza era fallita. E allora, un paio d'anni fa, è partita la vera inchiesta sulla Popolare, quella per bancarotta, distrazione e dissipazione del patrimonio aziendale. Nel mirino ci sono operazioni miliardarie in Lussemburgo e a Malta, con fondi offshore e finanziamenti eccellenti che avrebbero depauperato ulteriormente la banca. Si tratta di oltre 350 milioni e le rogatorie internazionali sono ancora in corso. Molti movimenti sospetti sono del 2012-2013, ma la bancarotta partirebbe dal 9 gennaio 2019 (data della liquidazione coatta), momento da cui scatta la prescrizione. Che in questo caso è di 15 anni. Sarebbe stato questo, semmai, il maxiprocesso.