
Il conflitto ucraino riaccende micce nel Karabakh (dove Volodymyr Zelensky e lo zar sostenevano schieramenti opposti) e tra Hamas e Israele. Rialzano la testa persino la Corea e l’Isis.Vladimir Putin? «È come il Sars Cov-2, perché dove appare mostra tutte le fragilità esistenti». Questa in sintesi è l’opinione del politologo americano Edward Luttwak su quanto sta accadendo da quasi 60 giorni in Ucraina. Ora, se nessuno può prevedere quanto durerà ancora il conflitto, visto che anche i più ottimisti hanno compreso che al tavolo negoziale sono state segate le gambe fin dall’inizio, è sicuro che il conflitto russo-ucraino farà sentire i suoi effetti per i prossimi decenni e non solo nell’area. Innanzitutto, chi gestirà il post conflitto a Mosca? Difficile che possano essere ancora Vladimir Putin e il suo ministro degli Esteri, Mister Niet Sergej Viktorovič Lavrov (che chiuderà qui la sua lunghissima carriera), di fatto diventati «impresentabili». E in tal senso, l’attivismo di questi giorni del fedelissimo Dmitrij Anatol’evič Medvedev, che con Putin si è più volte scambiato la poltrona, potrebbe essere la risposta al quesito. Intanto, la regione del Caucaso meridionale è in fibrillazione e in particolare Armenia, Azerbaigian e Georgia, che devono districarsi tra le possibili rappresaglie russe e i forti legami con l’Ucraina. In queste settimane si è parlato pochissimo del fatto che in Nagorno Karabakh, dopo oltre un anno di cessate il fuoco, interrotto da qualche isolato scambio di pallottole sulle linee transfrontaliere, si è tornati a sparare e tutto questo nonostante la presenza dei peacekeeper russi. Qui, come riportato da Marisa Lorusso dell’Osservatorio Balcani, Caucaso e Transeuropa, «a marzo la situazione di sicurezza è ulteriormente peggiorata: Khramort è stata prima evacuata e poi i suoi cittadini sono rientrati, mentre in numerose occasioni gli azeri con gli altoparlanti hanno allertato la popolazione armena ad andarsene. Dall’8 marzo poi il Karabakh è rimasto in gran parte senza gas. Un tubo è stato rotto o manomesso, i tempi del ripristino sono stati protratti, e poi il servizio è stato sospeso di nuovo. C’è la neve in Karabakh, senza gas si congela». Chi ha ragione? Tutti e nessuno, perché «gli armeni del Karabakh e di Yerevan accusano Baku di stare forzando un esodo con misure coercitive, come l’intimidazione, l’esclusione da servizi essenziali come il riscaldamento, le violazioni del cessate il fuoco. Baku nega e rinfaccia le responsabilità addebitandole alla condotta armena nei territori occupati fra il primo e il secondo cessate il fuoco, dal 1994 al 2020, e ricorda che il gasdotto è stato posato illegalmente». Anche su questa guerra Kiev e Mosca sono divise, con Volodymyr Zelensky che da subito si era schierato con gli azeri, mentre il Cremlino armava gli armeni. Secondo il consulente strategico Marco Rota, Putin sta soffiando sul fioco della guerra tra Armenia e Azerbaijan: «Ha esteso l’influenza russa nell’area caucasica, accentuando la presenza militare di Mosca in Nagorno Karabak, che fa seguito al posizionamento già in essere in Abkhazia, Ossetia, Armenia. Questa presenza militare può minare la sicurezza di Azerbaijan e Georgia, potendo anche contare sul sostegno di Teheran che così potrebbe ottenere guadagni territoriali a spese di Baku. Il presidente russo ora tenta di acquisire la Crimea e il Donbass (difficile) dopo aver provato a occupare tutta l’Ucraina, per aprire in modo definitivo il dossier del futuro del Caucaso e riscriverlo. A mio parere a tutto vantaggio della Cina. Il silenzio cinese su tutto quello che sta accadendo non è frutto di un imbarazzo ma di un permesso precedentemente accordato da Pechino. L’obiettivo è sempre la saldatura euroasiatica, che necessita del Caucaso, dell’Iran e del Kazakistan». A proposito di Iran e Russia, queste non sono certo estranee a quanto sta accadendo nella striscia di Gaza, così come non sono di certo casuali le casse contenenti i missile terra-aria Strela che è fabbricato in Russia. E chi paga e chi li fa arrivare ad Hamas? Naturalmente l’Iran, che ora approfitta delle tensioni russo-israeliane, seguite al fallimento della mediazione tentata dal premier Naftali Bennett, al quale lo zar di Mosca ora chiede la restituzione della chiesa di Sant’Alessandro Nevsky a Gerusalemme. E Teheran è lo stessa con cui l’amministrazione americana vorrebbe arrivare ad un accordo sul nucleare. Dopo lo sciagurato ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan dell’estate scorsa, Vladimir Putin ha capito che poteva osare in Ucraina (fece lo stesso in Crimea nel 2014 con gli Usa in difficoltà nel «Siraq»), un fatto che ha motivato gente come il leader coreano Kim Jongun, che ha ricominciato a sfidare la Corea del Sud, il Giappone e quindi gli Stati Uniti con lancio dei suoi missili, ma anche i terroristi islamici. Lo Stato islamico, non più tardi di quattro giorni fa, ha diffuso un audio letto dal nuovo portavoce Abu Omar Al Muhajir, intitolato Combattili, Dio li tormenterà per mano tua, nel quale ci sono accenni alle tensioni nella Striscia di Gaza e in Ucraina. Secondo l’analista strategico Franco Iacch, «nella ricostruzione jihadista del corso degli eventi (come la “benedetta operazione” in Israele), quindi, la concomitanza di alcuni fattori eccezionali (il conflitto in Europa durante il Ramadan) deve essere vista come un inequivocabile segno divino per raddoppiare gli sforzi nel colpire gli infedeli durante il “mese di conquista” poiché l’arena della jihad è rimasta vuota per molto tempo».
Darmanin (Giustizia): «Abbiamo fallito». Rachida Dati (Cultura) parla di pista straniera. Le Pen all’attacco: «Paese ferito nell’anima».
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Lo si trova nei semi oleosi e nelle noci, così come in salmone, tonno e acciughe. Però oggi molti tendono ad assumerne quantità eccessive.
Paolo Violini (Youtube)
Il nuovo direttore del laboratorio. Restauro dipinti e materiali lignei del Vaticano: «Opereremo sul “Giudizio universale” e sulla Loggia del Sanzio nel cortile di San Damaso. Quest’ultimo intervento durerà cinque anni».
Ansa
Il dossier del nucleare iraniano sta tornando al centro dell’attenzione. Sabato, Teheran ha dichiarato decadute tutte le restrizioni previste dall’accordo sull’energia atomica, che era stato firmato nel 2015.





