
Improntata a un internazionalismo liberal dal deciso sapore clintoniano, la linea del neo presidente è chiara: l'America è tornata. Una sconfessione esplicita e plateale della dottrina America First del suo predecessore.Il discorso che Joe Biden ha tenuto da remoto in occasione della conferenza di Monaco sulla sicurezza la scorsa settimana costituisce una sorta di manifesto programmatico della sua politica estera.Intento evidente di Biden è quello di ripristinare i rapporti transatlantici, nel nome di un rilancio del ruolo della Nato e di una sostanziale alleanza dei sistemi democratici contro i regimi illiberali. In un simile quadro, i bersagli critici del neo presidente sono stati due: la Cina e la Russia. Tutto questo, sebbene - nel corso del suo intervento - Biden abbia riservato oggettivamente parole più dure a Mosca che a Pechino. Se in riferimento alla Repubblica Popolare si è limitato a parlare di «competizione strategica», venendo al Cremlino ha parlato di «minaccia», accusando Vladimir Putin di minare le democrazie occidentali attraverso lo strumento della corruzione. Una postura particolarmente aggressiva che conferma, una volta di più, come - agli occhi delle alte sfere del Partito democratico americano - la Russia costituisca un pericolo maggiore della Cina. Ora, molti hanno apprezzato il discorso di Biden, salutando un ritorno alla normalità da parte degli Stati Uniti. Eppure, al di là di come la si possa pensare nel merito, le parole del neo presidente si scontrano anche con una serie di nodi non poco significativi. In primo luogo, c'è da chiedersi se questa postura così aggressiva nei confronti di Mosca non rischi di spingere ulteriormente la Russia tra le braccia della Cina. È questa, per esempio, la tesi che, da alcuni anni, stanno avanzando alcuni studiosi americani di orientamento neorealista (come Christopher Layne). Se è vero che la strategia di Biden si spieghi con un richiamo all'alleanza tra i sistemi democratici, è altrettanto vero che sia lecito dubitare dell'efficacia di una simile linea. Viene, in altre parole, da chiedersi se non sia più utile cercare di sganciare la Russia dall'orbita cinese, magari facendo leva su quelle fratture sotterranee che caratterizzano da tempo il rapporto tra Mosca e Pechino. Una prospettiva, questa, che Donald Trump - pur tra alterne fortune - aveva cercato invece di coltivare. Insomma, il rischio è che con una postura tanto antirussa, Biden possa indirettamente rafforzare la Cina, anziché isolarla. In secondo luogo, si scorge un altro problema. Come accennato, uno dei leitmotiv della linea del neo presidente è la ripresa del multilateralismo nei rapporti con gli alleati europei: una scelta che, sostiene la Casa Bianca, mira di fatto ad archiviare i quattro anni della presidenza Trump. Eppure, al di là della teoria, non è affatto detto che questo auspicio sia nella pratica semplice da realizzare per Biden: d'altronde, una parte non indifferente dell'Unione europea non sembra troppo propensa ad accettare una simile strategia. Se i Paesi baltici possono apprezzare la svolta americana, con la Germania la situazione è per esempio ben diversa. Berlino sta infatti perseguendo (e non certo da oggi) una Ostpolitik nei confronti di Russia e Cina. Non dimentichiamo che sia stata proprio Angela Merkel il principale sponsor del controverso trattato tra Bruxelles e Pechino sugli investimenti. Quella stessa Merkel che ha aperto a Putin sul vaccino Sputnik V e sul gasdotto Nord Stream 2. Considerando il peso che la Germania riveste ai piani alti di Bruxelles, è ben difficile ritenere che l'Unione europea si accomoderà senza batter ciglio al nuovo corso americano. Davanti a questo nodo si delineano quindi due scenari alternativi: o Biden si limiterà a invocazioni di principio sul multilateralismo oppure - soprattutto sulla Russia - adotterà alla fine misure unilaterali (circostanza, questa, in parte già verificatasi con il recente invio di cacciabombardieri B-1 in Norvegia). Tra l'altro, sarà interessante vedere come si muoverà il governo di Mario Draghi nel mezzo di queste tensioni tra Washington e Berlino. Un terzo e ultimo punto problematico della prospettiva di Biden riguarda la politica interna americana. L'internazionalismo liberal è una strategia costosa da mettere in atto: in termini economici, militari e (potenzialmente) di vite umane. Ora, è cosa nota che - da diversi anni - l'opinione pubblica statunitense sia sempre più restia ad accettare coinvolgimenti militari all'estero. Tutto questo, mentre la sinistra del Partito Democratico ha costantemente criticato le cosiddette «guerre senza fine»: una linea, quest'ultima, che condivideva d'altronde con lo stesso Trump. Se vorrà quindi essere consequenziale con quanto affermato alla conferenza di Monaco, Biden dovrà prepararsi ad affrontare dure opposizioni all'interno del suo stesso partito. Opposizioni che del resto su altri temi (dal salario minimo al prestito studentesco) si stanno già registrando. «America is back», insomma, rischia di rivelarsi un principio più facile da enunciare che da realizzare.
Donald Trump (Ansa)
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