2023-02-11
Palazzo Chigi ottiene flessibilità sul Pnrr. Ma sul fondo sovrano continua lo stallo
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Luci e ombre: risolti i problemi ereditati da Mario Draghi e Pd, però manca la strategia per affrontare la nuova crisi dell’Unione.Il premier Giorgia Meloni si è detta soddisfatta della due giorni di Consiglio europeo. Fra i temi in ballo, oltre a immigrazione e Ucraina, anche gli strumenti per contrastare l’inflazione e l’ingente massa di sussidi messa a terra dalla Casa Bianca che va sotto il nome di Ira, Inflation reduction act. «La proposta italiana per il vertice europeo era quella della possibilità di una flessibilità sui fondi esistenti», ha detto ieri Meloni durante la conferenza stampa, «L’altra cosa che abbiamo chiesto è che nella futura discussione sul Patto di stabilità si tenesse conto del fatto che i cofinanziamenti nazionali messi in campo impattino sul rapporto tra deficit e Pil». Facile comprendere la soddisfazione di ottenere la tanto richiesta flessibilità e quindi l’allentamento dei vincoli Ue sui fondi di coesione e sullo stesso Pnrr. Comprensibile che il governo Meloni festeggi, ma non va dimenticato che si tratta semplicemente di buon senso. Basti pensare che l’aumento medio dei prezzi delle materie prime ha spinto i costi dell’edilizia ben il 30% in su rispetto a quelli che erano i valori concordati nel 2019, cioè alla vigilia della stesura del Pnrr. Il fatto che Bruxelles abbia accettato la flessibilità porta i Paesi più indebitati come l’Italia a tirare un sospiro di sollievo. Riutilizzare fondi messi a bilancio per interventi mirati e aggiornati all’attualità rende il sistema Paese più efficace e soprattutto può permettere risposte a problemi emersi dopo lo scoppio della guerra. Il punto di caduta sulla flessibilità è stato raggiunto grazie a un palese accordo con la Germania guidata da Olaf Scholz e che a sua volta ha lasciato in disparte la Francia per due motivi. Il primo è dovuto a una normale reazione al solito tentativo di Emmanuel Macron di strappare la volata, il secondo perché Parigi pensa di potersi muovere da sola nelle trattative con gli Stati Uniti. L’appoggio tedesco ha però avuto un pesante contraccolpo sull’altro elemento di discussione del Consiglio: il fondo sovrano Ue. «Abbiamo chiesto che la Commissione faccia una proposta sul fondo sovrano europeo, che vada nella direzione delle esigenze strategiche europee», ha ribadito ieri la Meloni. «Si tratta di dare una soluzione europea a un problema europeo», ha detto ricordando che c’è «una discussione aperta sull’allentamento degli aiuti di Stato, in particolare la richiesta da nazioni che hanno spazio fiscale». Verissima quest’ultima parte, ma piena di incognite la prima affermazione, quella relativa al fondo sovrano. Berlino vuole evitare di caricarsi sulle spalle nuovo debito per finanziare un fondo comune e contemporaneamente ridurre i vincoli sugli aiuti di Stato per aumentare i finanziamenti nei settori green. Una strategia che potrebbe premiare chi, proprio come la Germania, ha bilanci più solidi di altri (tra cui l’Italia) e di conseguenza più margini d’intervento tramite la spesa pubblica. Il settore dell’auto tedesca, d’altronde, è quello che in Europa è più messo in difficoltà dal piano statunitense Ira e per questo il timore del governo federale di ripercussioni sull’economia nazionale è alto. Al tempo stesso i falchi tedeschi premono sui vertici della Bce perché non cambi strategia. Se Christine Lagarde dovesse proseguire con l’attuale rialzo dei tassi o comunque stabilizzare i punti base intorno al 3,5% l’effetto sarebbe una penalizzazione di chi ha un bazooka più piccolo. Tradotto in altre parole, l’Italia rischierebbe di pagare anche l’inflazione prodotta dalla liquidità messa in circolo dai Paesi del Nord. Da qui l’idea di un fondo sovrano che spalmi i rischi in modo equivalente. Ma qui la trafila si prospetta nella forma e nella sostanza molto simile a quella del price cap. «Dovrebbero», si legge nel documento di sintesi del Consiglio europeo, «essere esplorate nuove opzioni per facilitare l’accesso ai finanziamenti. Il Consiglio europeo invita la Commissione e il Consiglio a garantire la piena mobilitazione dei finanziamenti disponibili e degli strumenti finanziari esistenti». Solo che alla voce «nuovo fondo sovrano», nelle conclusioni si dice soltanto che «il Consiglio europeo prende atto dell’intenzione della Commissione di proporlo prima dell’estate 2023». Una formula che di chiaro ha il senso della spaccatura. Troppe nazioni non sono d’accordo. Ne consegue un problema. Il viaggio della Meloni ha garantito un grande successo per tentare di risolvere i problemi che la sinistra e pure il governo Draghi avevano lasciato nel cassetto. Intervenire sul Pnrr e sui fondi già stanziati seguendo la linea del buon senso consente di abbandonare l’atteggiamento fideistico di chi ritiene che ciò che vuole l’Ue non si possa cambiare nemmeno di fronte alla realtà. Non si può dire lo stesso sulle grane che si stanno abbattendo ora sull’Ue. Il freno a mano tirato non consente al momento di affrontare il consolidamento dei mercati digitali e dell’innovazione tecnologica. Tanto meno di comprendere come il Vecchio continente possa diventare player nella corsa alle materie prime e alla sovranità tecnologica, evitando così di rimanere schiacciato tra Usa e Cina.