2024-10-06
L’imputato è compagno di una pm di Roma. Un caso di stalking imbarazza la Procura
Il pm Stefano Pizza (Ansa)
Un dirigente di Fs rischia il processo dopo la denuncia di una donna a cui era legato. Ma il procedimento va a rilento.Quella che si presenta come una classica vicenda da Codice rosso deve aver creato non pochi imbarazzi all’interno delle stanze di Piazzale Clodio. Il pm che procede è Stefano Pizza, un magistrato noto per una certa inflessibilità nel trattare i casi che gli vengono affidati. È stato chiamato a gestire un fascicolo che indirettamente sfiora la vita privata di una collega. L’imputato, infatti, è il compagno di una pm antimafia che in passato è assurta agli onori delle cronache per aver interrogato Silvio Berlusconi, all’epoca ritenuto vittima di una tentata estorsione. Nel mirino è finito un ex ufficiale della Guardia di finanza che da tempo ha lasciato le Fiamme gialle e ha iniziato una nuova carriera da dirigente alle Ferrovie dello Stato, Giuseppe De Maio, che in passato Veneto Banca voleva assumere con un ingaggio da 160.000 euro annui, caso del quale si occupò la trasmissione Rai Report, perché il finanziere era in servizio nella zona in cui l’istituto di credito aveva la sua sede legale, finendo perfino al centro di una interrogazione del senatore Maurizio Gasparri. L’accusa è di atti persecutori nei confronti di un’appartenente alle forze dell’ordine transitata da qualche tempo in uffici governativi. Dal momento della chiusura indagini (9 agosto 2023) alla richiesta di rinvio a giudizio (11 marzo 2024), cioè quando il fascicolo era solo in mano alla Procura, sono passati sette mesi. L’udienza preliminare, però, è stata fissata ad aprile 2025. Una tempistica non da Codice rosso, dalla quale qualcuno rileva un possibile disagio in Tribunale. Di fatto, a quanto pare, tutto il procedimento nella fase delle indagini ha seguito il classico iter. Richieste di proroghe, deleghe alla polizia giudiziaria, acquisizione di documentazione telefonica. Il fascicolo è cresciuto in fretta, pagina dopo pagina. E stando alla ricostruzione della Procura, De Maio avrebbe «minacciato e molestato» la parte offesa, con la quale aveva avuto una relazione affettiva terminata nell’agosto 2021, «con condotte reiterate e prolungate», che le avrebbero procurato «un grave stato di ansia e di paura» che avrebbe ingenerato in lei «un fondato timore per l’incolumità sua e dei suoi figli conviventi».La donna, come spesso accade nei casi di stalking, sarebbe stata costretta a cambiare le abitudini e ricorrere alle cure di uno psicologo. I carabinieri che si sono occupati delle indagini hanno documentato sette danneggiamenti delle autovetture della donna (l’indagato avrebbe versato litri d’acqua nel serbatoio delle vetture, squarciato gli pneumatici e distrutto un lunotto), una Fiat Panda e una Smart, ma anche dei pedinamenti della figlia. Infine, quando la donna ha messo le sue auto in sicurezza prendendo in affitto un garage, di notte, l’indagato avrebbe lanciato contro la finestra della camera da letto e del salotto dell’abitazione della donna «pietre, sassi e pezzi d’asfalto». Un’azione che avrebbe ripetuto un mese dopo armato di una fionda.Le celle telefoniche hanno permesso ai carabinieri di geolocalizzare in alcuni casi il cellulare dell’indagato proprio sulle scene del crimine. O nei pressi. Mentre per alcuni degli episodi denunciati le sue utenze telefoniche hanno agganciato celle in altri punti della città. Gli inquirenti, elaborando le risultanze della documentazione fornita dalle compagnie telefoniche, hanno addirittura elaborato uno schema grafico che ricorda da vicino quelli mostrati nei telefilm polizieschi per circostanziare su mappa le zone d’interesse: la casa della parte offesa e quella dall’indagato, i luoghi dei fatti e l’itinerario che avrebbe seguito l’indagato.I due si erano conosciuti nel 1994, quando lei lavorava in tribunale e lui guidava la sezione di polizia giudiziaria della Guardia di finanza nella quale prestava servizio anche il marito della donna (che è stato sentito dagli investigatori e si è trasformato in un testimone). All’epoca però i rapporti erano esclusivamente professionali. Dopo essersi persi di vista per anni l’ex finanziere e la parte offesa si sarebbero ritrovati nel 2009, quando lui viene trasferito in un ufficio del servizio territoriale nello stesso quartiere in cui lei si era trasferita. Dopo un incontro casuale al supermercato sarebbe cominciata una frequentazione che, poi, si sarebbe trasformata in una relazione. La donna, però, nelle sue denunce ha definito il rapporto come «tossico». Lui sarebbe stato «psicologicamente violento». E «sebbene non le rivolgesse insulti», stando a quanto hanno ricostruito i carabinieri, l’avrebbe fatta sentire «sempre sbagliata e mai all’altezza delle situazioni, denigrandola anche a livello fisico, facendole notare che non apprezzava alcune parti del suo corpo e, non curandosi del fatto che lei non la prendesse bene, reiterava i comportamenti». I litigi sarebbero stati frequenti e lui, ricostruiscono i carabinieri, «spariva per intere settimane facendo perdere le sue tracce». Lei, però, «accettava i suoi ritorni, auspicando in un cambiamento», ma la situazione l’avrebbe posta «in una situazione di svantaggio e di sofferenza». In una occasione, poi, relazionano i carabinieri, «sarebbe stato anche fisicamente violento». Mentre erano a Fregene, durante uno dei battibecchi, lei gli avrebbe detto «così rispondi a tua sorella» e lui le si sarebbe scagliato contro «afferrandole il viso con una mano e dicendole «se hai il coraggio ripeti quello che hai detto», con «una violenza tale da attirare l’attenzione dei passanti». Sarebbero seguiti episodi di scatti di ira, con lancio di oggetti a terra o contro il muro e con lui che si giustificava sostenendo che lei «lo faceva uscire fuori di sé». Il lungo verbale della parte offesa di episodi di questo genere ne contiene diversi. A Napoli, per esempio, dopo una discussione, racconta la donna, «sono rimasta senza soldi e senza valigia, in piena notte, vagando in una città a me del tutto sconosciuta». Lui sarebbe tornato da lei, mette a verbale la parte offesa, «solo dopo che lo avevo implorato di venirmi a prendere». Dopo una vacanza all’Isola d’Elba descritta come un incubo per le frequenti litigate, sarebbe cominciato quello che nella denuncia viene definito «un tira e molla». I due si vedono sempre più sporadicamente e disdicono una vacanza sulle Dolomiti.Si contendono perfino chi dovrà chiamare il personale dell’hotel per comunicare che non sarebbero stati più ospiti. E infine, dopo una telefonata durante la quale lei sentì la voce di un’altra donna che probabilmente era vicino al finanziere, decise di troncare. E sarebbero cominciati i danneggiamenti. La donna si presenta dai carabinieri e denuncia. I primi danneggiamenti sarebbero avvenuti in concomitanza con il tentativo (fallito) di lui di sentirla a telefono. Lei torna più volte in caserma. Finché afferma «di temere per la sua incolumità e per quella dei suo figli» e di «vivere nel timore» che l’uomo «possa reiterare le sue condotte ovvero di aggravarle, vista la sua imprevedibilità». La donna, infatti, precisa anche che «non si aspettava che potesse arrivare a tanto, potendo immaginarlo come mandante dei danneggiamenti ma mai come diretto esecutore». La sua vita ormai era cambiata. E ogni volta che rientrava a casa dal lavoro entrava in uno stato di agitazione, guardandosi continuamente intorno, perché si sarebbe sentita «costantemente controllata». L’episodio del lancio di pietre e di pezzi d’asfalto con la fionda, poi, deve averla ulteriormente turbata. Un suo vicino di casa, testimone dell’accaduto, le ha riferito di aver visto una persona che «indossava una tuta nera, con il cappuccio che copriva il viso». Il testimone avrebbe anche urlato dalla sua finestra. A quel punto «il soggetto si è bloccato», ha raccontato agli investigatori il vicino di casa, «ha indietreggiato ed è scappato a piedi». Da quel momento la parte offesa avrebbe cominciato ad affacciarsi continuamente alle finestre. A ogni rumore, di notte, si sarebbe alzata dal letto per controllare, immaginando che l’evento si sarebbe ripetuto. E infatti, esattamente un mese dopo, chiama i carabinieri, segnalando la presenza di un uomo sotto la sua abitazione intento a lanciare pietre contro le sue finestre. I carabinieri arrivano velocemente sul posto e notano il tizio con la tuta nera e il cappuccio allontanarsi velocemente. Lo fermano e lo identificano. È De Maio che, al momento dell’identificazione, annotano i militari nella loro relazione di servizio finita tra la documentazione a sostegno dell’accusa, «estraeva dalla propria tasca e lanciava dietro un’autovettura parcheggiata una fionda prontamente recuperata dagli operanti». Insomma i carabinieri hanno descritto l’operazione come se l’avessero beccato in flagranza. Una ricostruzione confutata dai difensori di De Maio che, invece, l’hanno così descritta: «La notte in contestazione il signor De Maio, prima di rincasare si fermava all’inizio della strada (senza uscita, ndr) per espletare un bisogno fisiologico. Arrivato sul posto notava un gruppo di giovani che stavano scherzando ad alta voce. Una volta allontanatisi i giovani entrava nella via una pattuglia dei carabinieri che immediatamente si avvicinava a lui. Gli operanti procedevano all’identificazione e nonostante lo stupore di De Maio l’indagato si rendeva disponibile. Del tutto inspiegabilmente, dopo l’identificazione, uno dei due operanti riferiva di aver sentito un rumore simile al lancio di un sasso». A quel punto «l’operante che qualche minuto prima aveva udito il rumore», nella ricostruzione degli avvocati, avrebbe cominciato a «ispezionare la strada con una torcia, controllando anche sotto le vetture parcheggiate». E, «affossata sotto del fogliame», sostengono i difensori, in un punto «distante dall’indagato», rinveniva «una fionda». Stando alla tesi difensiva sarebbe apparso subito chiaro che «l’oggetto non potesse essere stato appena lanciato, in quanto ricoperto di residui (probabilmente terreno e fogliame, ndr)». Il possesso di quell’oggetto, però, è stato attribuito all’indagato. Che si è beccato la contestazione nel capo d’imputazione, dal quale ora dovrà difendersi.
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)
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