2025-10-21
Il «pizzo musulmano» ingrassa le moschee
Un servizio di «Fuori dal coro» mostra il racket dei bengalesi a Monfalcone: o cedi metà del tuo stipendio oppure non lavori o, peggio ancora, vieni pestato. I soldi presi dai caporali servono anche a finanziare gli imam che predicano abusivamente.Da tempo Monfalcone ha un problema: la presenza, sempre più massiccia, di bengalesi in città (il 55% degli stranieri) che lavorano per piccole aziende del settore navale. Ma non solo. Negli ultimi anni, infatti, sono state chiuse diverse moschee abusive sorte là dove avrebbero dovuto esserci dei centri culturali o altri esercizi. Ora, un nuovo servizio di Fuori dal coro, il programma diretto da Mario Giordano, racconta una realtà drammatica, come nota l’ex sindaco della città e ora europarlamentare della Lega Anna Maria Cisint: «C’è un vero e proprio allarme rosso che riguarda la presenza di una “mafia islamica” annidata nel sottobosco dei subappalti». Ciò che emerge dall’inchiesta di Fuori dal coro, realizzata da Costanza Tosi, è chiaro: i soldi che vengono guadagnati dai lavoratori bengalesi vengono utilizzati anche per finanziare gli imam. «Chi si ribella a questo sistema viene minacciato e rischia anche di essere aggredito», racconta una donna che preferisce non farsi riprendere in volto. E che prosegue: «Hanno tutti paura». Samia, così si fa chiamare la donna che appare in video e che teme ripercussioni, continua dicendo: «Quando un immigrato si presenta per farsi assumere, i capi della ditta si fanno promettere di farsi restituire almeno 500 euro dello stipendio ogni mese. Solo chi accetta viene assunto: è un ricatto». Un vero e proprio «pizzo» che finisce poi nelle tasche dei caporali, come testimoniano le riprese fatte da Fuori dal coro, dove si vedono i quattrini passare di mano in mano. La donna non ha dubbi: «I soldi servono per finanziare gli imam».Anche Kabir, un altro intervistato che teme rappresaglie, racconta la stessa versione. Pure lui ha dovuto dare metà della prima busta paga ai suoi capi. I caporali, appunto. Poi però si è ribellato ed è a quel punto che gli hanno fatto vedere una pistola. Una minaccia chiara. Oggi ha paura. E non senza motivo: «Mi hanno picchiato così forte che non ci sento più da un orecchio», racconta. «Mi vogliono fare ancora del male». Del resto la cronaca è nota: lo scorso gennaio un lavoratore non voleva più pagare il pizzo ed è stato accoltellato.L’inviata di Fuori dal coro, Costanza Tosi, va dai caporali per chiedere informazioni su ciò che ha documentato, ma tutti dicono di non sapere, di non essere al corrente di nulla. Eppure le immagini parlano chiaro. Così come la paura di chi il pizzo ha dovuto pagarlo. Cisint non ha dubbi: «Questo è quello che emerge, ancora una volta e in modo eclatante, dai racconti e dalle testimonianze di giovani lavoratori bengalesi: storie che, in questi anni da sindaco, ho più volte ascoltato personalmente e che oggi, tramite la loro voce, emergono sempre più spesso trovando il coraggio di esporsi e denunciare ciò che subiscono. Un sistema oscuro, alimentato e diretto da vertici di aziende bengalesi che sfruttano i propri connazionali sottoponendoli a minacce, violenze e ricatti per estorcere denaro destinato anche a finanziare le predicazioni fondamentaliste degli imam». Del resto, proprio a Monfalcone, a novembre del 2023 il grido «Allah akbar» era risuonato con forza contro Israele. E poi ancora una volta quando, per pregare, gli islamici avevano coperto una statua cristiana. L’integrazione lì è impossibile. Così come vivere nella legalità. Come nota Cisint: «Il meccanismo è chiaro e inquietante: nella giungla dei subappalti a cascata, composta da ditte bengalesi attive sia a Monfalcone che in altre sedi produttive, si nasconde un sistema criminale basato sullo sfruttamento: da quanto raccontato gli operai vengono formalmente assunti con contratti apparentemente regolari, ma nella realtà sono costretti a restituire fino alla metà dello stipendio ai propri datori di lavoro. Un fatto di per sé gravissimo, che assume contorni ancora più allarmanti quando si scopre che parte di quel denaro serve a finanziare moschee abusive e l’attività dell’imam. Le testimonianze raccolte delineano uno schema di intimidazione perfettamente organizzato». O paghi o non lavori. O, peggio ancora, prendi le botte. La comunità bengalese deve pagare gli imam. Tutti devono farlo perché sono i predicatori il cuore di tutto. «Un sistema che non solo sfrutta la manodopera», prosegue l’europarlamentare della Lega, «ma favorisce la radicalizzazione. Ci troviamo di fronte a un sistema corrotto e malato che distrugge i diritti dei lavoratori e lede la dignità del nostro Paese, per via di un intreccio pericoloso tra criminalità, fondamentalismo e omertà: una forma di criminalità che, se confermata in tutti i suoi elementi, non faccio difficoltà a definire mafiosa a tutti gli effetti, che mostra tutti i segni distintivi dell’associazione di stampo mafioso, dall’intimidazione all’omertà. Per questo, insieme al mio partito, abbiamo già attivato la verifica della possibilità di portare a Roma, nelle commissioni competenti come quella antimafia tale vicenda, affinché venga fatta piena luce su quanto sta accadendo in Italia attorno al sistema dei subappalti, allo sfruttamento dell’immigrazione e agli ingressi continui di manodopera musulmana che devono fermarsi. È il momento di dire basta: non possiamo più tollerare né il rischio di radicalizzazione, né l’infiltrazione di modelli criminali e sovversivi che minano la sicurezza, i valori e la stessa economia del nostro Paese».
Laura Boldrini e Nancy Pelosi (Ansa)