2023-07-28
Più segnalazioni di scalate straniere. Ma pochi interventi di golden power
Studio dell’ufficio valutazione impatto del Senato (UVI) sugli investimenti esteri. Fra le criticità, l’incertezza normativa.È un report interessante quello recentemente pubblicato dell’Ufficio valutazione impatto del senato (UVI) sul golden power. Lo studio mette principalmente in evidenza come siano mutate le norme per tutelare le aziende strategiche negli ultimi 30 anni. «Un primo vettore di questo cambiamento ha riguardato la necessità di ridurre il debito pubblico e, di conseguenza, l’intervento pubblico diretto nel sistema economico, anche per riguadagnare fiducia sui mercati finanziari dopo la crisi dell’autunno 1992», si legge nel rapporto. «In secondo luogo», prosegue lo studio, «il processo di integrazione europea ha frenato il tentativo di mantenere il controllo sulle imprese nazionali mediante le cosiddette azioni auree (golden shares), che consentivano allo Stato di conservare un ruolo decisivo sulle aziende pur avendone privatizzato la maggior parte del capitale. Tale processo, pur implicando una riduzione del margine di discrezionalità politica di cui le autorità governative dispongono, non ha portato alla sua eliminazione». In questo quadro, il rapporto sottolinea che «l’esercizio dei relativi poteri, di imposizione di condizioni o di veto, deve fondarsi su criteri obiettivi, trasparenti e non discriminatori e deve essere giustificato da motivi di sicurezza o di ordine pubblico». Lo studio mette poi in evidenza che la prima funzione del golden power è quella di mantenere «informato» l’esecutivo sulla destinazione degli investimenti diretti esteri nel nostro Paese. Dall’altra parte, viene sottolineato anche un «approccio estremamente selettivo e prudenziale» da parte del governo. Tutto questo, mentre il numero delle notifiche alla presidenza del Consiglio è progressivamente cresciuto nel corso degli ultimi anni: 83 nel 2019, 342 nel 2020 e 496 nel 2021 (di cui 458 istruttorie già concluse). «Sulle 458 istruttorie già concluse in due casi è stato esercitato il potere di veto e in 22 casi sono stati esercitati i poteri speciali con prescrizioni e condizioni», precisa il report. Più nel dettaglio, lo studio mette in luce una serie di elementi. «L’uso di definizioni talvolta tanto ampie da poter apparire indeterminate può creare incertezze in ordine al momento in cui sorge l’obbligo di notifica, alla cui violazione sono collegate significative sanzioni», si legge. «Una complessiva incertezza del quadro regolatorio potrebbe dipendere dall’assenza di una tipizzazione delle prescrizioni e delle condizioni che il governo può imporre», prosegue il rapporto, secondo cui ulteriore incertezza deriverebbe da una «stratificazione normativa» che «ha restituito un quadro regolatorio frammentato, del quale appare opportuna una complessiva risistemazione». È interessante notare anche i dati citati sulle barriere al commercio che, negli ultimi anni, sono significativamente aumentate. «Con la crisi sanitaria, inoltre, è cresciuto il ruolo di molti governi negli assetti proprietari delle relative imprese nazionali, sono stati approvati vasti programmi di incentivi pubblici legati al requisito della località delle imprese destinatarie». Non solo: sono state imposte delle restrizioni all’export di alcune materie prime e di elementi industriali strategici (come i chip). Una situazione, questa, su cui ha pesato anche l’invasione russa dell’Ucraina. Vale infine la pena notare che due settimane fa sono entrate in vigore le nuove regole dell’Ue per mettere sotto controllo gli investimenti esteri considerati ostili. È chiaro che la preoccupazione maggiore di Bruxelles e Roma è rappresentata dalla Cina: un dossier tanto più urgente alla luce del fatto che il nostro governo sarebbe pronto a non rinnovare il controverso memorandum d’intesa che, nel 2019, ci portò tra le braccia della Nuova via della seta. D’altronde, la questione delle interferenze e della coercizione economica da parte di Pechino è avvertita tanto a Roma quanto a Bruxelles e Washington. Il nodo non è soltanto economico ma anche geopolitico.